La folla cura per la felicità

E La folla, cura per la felicità Il ritorno al dialogo decisivo nella guarigione E RA come la voce nuova di un uomo risanato. Cantava, in latino, con le parole dell'antico salmista biblico, la sua serenità nelle mani di Dio: «Adiutorium nostrum in nomine Domini», il nostro aiuto è nel nome del Signore. E cantava, come un romantico poeta del Dolce Stil Novo, il suo amore alla Donna amata, alla Donna celeste: «Totus tuus sum», che è il grido e l'offerta di sé che egli ha sul suo stemma di vescovo e di Papa. Poi, come un fanciullo che non riesce a star fermo, non ha resistito a non affacciarsi alla finestra, a venire a vedere, a parlare, a scherzare con gli uomini e le donne che tendevano gli sguardi in alto verso di lui. Proprio, c'era un uomo, c'era un Papa felice, ieri, alla finestra dell'Ospedale Gemelli. Era felice di essere guarito, era felice di aver ritrovato il vigore della sua voce, era felice di poterla offrire ancora alla folla, insieme al suo sorriso e al suo scherzare. Un Papa, almeno un Papa come Wojtyla non si carica di sovranità «e di seriosità come un qualsiasi Capo di Stato che si presenta alla propria nazione. Wojtyla non ha una nazione, ha un popolo che è su tutta la terra, ha il grande mondo degli uomini a cui rivolgersi. E il mondo è fatto di poveri e di ricchi, di poveri di pane e di poveri di spirito, ai quali egli parla, non con il linguaggio dei grandi e dei dotti, non con l'ecclesiastichese, ma con il linguaggio della gente comune. Queste parole semplici, comprensibili a tutti, Wojtyla ha scelto di dirle da una finestra. Papa Giovanni affermava di voler essere come la fontana del villaggio, alla quale tutti vanno a dissetarsi. Le fontane, grandi, gonfie d'acqua, le aveva davanti alla splendida basilica vaticana Ma egli, per primo, aveva scelto di affacciarsi a quella sua normale finestra su piazza San Pie tro, e parlava della luna che sor rideva in cielo e mandava una carezza ai bambini. Un Papa, almeno un Papa come Wojtyla (o come Papa Giovanni), ha bisogno di una finestra per affacciarsi sul mondo e parlare agli uomini. Lui, Wojtyla, ha detto di averne tre di quelle finestre: una su piazza San Pietro, una su un cortile di Castelgandolfo, una ormai anche sul piazzale del Gemelli. Un giorno, quel piazzale dovranno pure dedicarlo al suo nome! Perché una finestra? Perché essa è qualcosa che si apre a un orizzonte, si apre a una folla. Wojtyla ha bisogno di quella finestra e di quella folla. Ne ha bisogno per esercitare magistero, per esprimere famigliarità, per comunicare gioia, per donare partecipazione a un dolore di uomini o di popoli. Forse Wojtyla ne ha bisogno anche per completare la sua guarigione. Lo hanno guarito i medici, ma ieri un poco l'ha guarito anche la folla. Deve avergli fatto un gran bene quel ritornare a dialogare con la gente, quel pronunciare i suoni cari e famigliari della lingua natale con i suoi connazionali polacchi, e persino quell'avventurarsi, senza timore o imbarazzo, sebbene dopo ormai 18 anni di pontificato romano, in un italiano che è malfermo più della sua salute. «Ora andare in camera di letto», ha esclamato, decidendo finalmente, ma a stento, di ritirarsi dalla finestra. Viene alla mente la sgangherata invenzione grammaticale che aveva offerto alla folla in piazza San Pietro la sera stessa della sua elezione a pontefice, quando si era affacciato alla loggia centrale della basilica vaticana, rompendo improvvisa¬ mente una tradizione papale. Gli altri Papi, appena eletti, si presentavano alla folla, benedicevano, facevano ampi gesti di saluto con le mani, sorridevano, devoti, commossi, ma in silenzio. Lui si affacciò con un potente «Sia lodato Gesù Cristo!». Fece un discorsetto e disse: «Non so se posso bene spiegarmi nella vostra, nella nostra lingua italiana. Se sbaglio, mi corigerete». Quella sera, fu anche quell'errore grammaticale che lo avvinghiò subito alla folla, incantata e sorpresa. Lo stesso incanto, la stessa sorpresa, che erano, ieri, in una bella domenica di ottobre, sotto la finestra di un ospedale a Roma. Domenico Del Rio