Washington assedio ispanico di Franco Pantarelli

Per la prima volta la grande comunità latino-americana si è mobilitata per chiedere più potere Per la prima volta la grande comunità latino-americana si è mobilitata per chiedere più potere Washington, assedio ispanico Centomila in corteo: ci siamo pure noi NEW YORK NOSTRO SERVIZIO «Il gigante si è svegliato», ha detto a un certo punto uno degli oratori, Fabian Nunez, e quello è stato forse il momento più significativo della marcia su Washington dei «latinos» che ieri hanno invaso in centomila la capitale americana. La loro comunità, infatti, è da sempre chiamata «il gigante addormentato» perché, a differenza di altre minoranze della variopinta società americana, ha raramente fatto sentire la sua voce in modo organizzato e «pesante». Certo, la presenza di oltre 20 milioni di persone provenienti dall'America Latina è estremamente visibile, in tutte le città americane c'è il «quartiere ispanico»; il «Caribian Day», che si celebra in settembre, è la parata più affollata, allegra, appassionata, fra le tantissime che hanno luogo ogni anno a New York e si sa che a un certo punto il lancio in grande stile del gioco del calcio anche negli Stati Uniti è stato deciso proprio contando sulla «base di mercato» che questa gente assicurava. Ma quanto a esercitare un proprio peso politico, la comunità ispanica è rimasta per anni al di sotto delle sue potenzialità. Fino a ieri. Spinto dall'offensiva lanciata contro di lui, il «gigante» ha reagito con questa manifestazione che a molti ha ricordato la «marcia di un milione di uomini» compiuta l'anno scorso dai neri e di cui proprio mercoledì prossimo verrà celebrato l'anniversario con una manifestazione a New York. Cominciato ad Adams Morgan, il quartiere ispanico di Washington che quattro anni fa fu teatro di due giorni di disordini dopo una sparatoria con la polizia, il grande corteo ha percorso le strado della città ed è finito nel Mail, l'enorme spianata verde piena di musei e «memorial», una specie di «aitare imperiale» per celebrare la grandezza degli Stati Uniti, dove era in corso un'altra manifestazione, quella per sollecitare una più efficace lotta all'Aids, con il dispiego di una gigantesca «trapunta» composta dai nomi delle 70.000 vittime americane del male. Anche Bill Clinton e Albert Gore sono andati a visitarla e, accompagnati dalle loro mogli, vi hanno a lungo indugiato. Insomma quello vissuto ieri dalla capitale americana è stato un sabato di grande passione politica. I cartelli che gli ispanici agitavano, gli slogan che scandivano, i discorsi che i loro oratori pronunciavano erano tutti centrati su temi specifici (le recenti leggi restrittive contro l'immigrazione, i provvedimenti in alcuni Stati che negano la scuola pubblica ai figli degli immigrati) e su richieste concrete (esemplificazione delle norme per l'acquisizione della cittadinanza, tariffa minima oraria di 7 dollari, amnistia per gli immigrati illegali); ma proprio come quei provvedimenti denotano, la paura dell'America «bianca», cioè degli immigrati di ieri che, una volta rea- lizzato il loro «sogno», non vogliono fra i piedi altri partecipanti al festino, il senso profondo della manifestazione di ieri la prima - stava probabilmente nell'annuncio che dava: d'ora in poi la società americana dovrà fare i conti con questo nuovo «soggetto», appunto il gigante che si è stancato di dormire. «Sappiamo benissimo che questa marcia non produrrà miracoli - diceva per esempio un altro dei leader, Hector Alvarado -, ma è fondamentale perché impariamo a organizzarci, a unirci e a farci sentire». Lo sforzo organizzativo è stato notevole. I «marciatori» sono venuti da almeno 39 Stati, con consistenti rappresentanze di città come New York, Los Angeles, Phoenix, San Antonio, Houston, Seattle, e hanno avuto l'appoggio formale dell'Afl-Cio, la grande organizzazione sindacale la cui vicepre- sidente. Linda Chavez-Thompson, è stata fra gli oratori ufficiali, e di tante organizzazioni sindacali di categoria e locali. Né è stato trascurato il lato dell'«intrattenimento», con i cantanti Carlos Santana, Willie Colon, il gruppo Aztec Generation, gli attori Rita Moreno, Ruben Blades, Edward Olmos e molti altri. L'opposizione invece era rappresentata da un gruppo chiamato Social Contract, che distribuiva volantini per spiegare i guai che l'amnistia provocherebbe. Il suo leader si chiama Billy King ed è un ex ufficiale della polizia di frontiera. Anche per gli altri manifestanti, quelli dell'Aids, il programma era molto intenso. Guidati da Elizabeth Taylor, che da tempo ha abbracciato questa causa, hanno creato una catena umana che ha completamente circondato il Capitol: 15.000 persone a tenersi per mano e una lunga fiaccolata al calar del sole. Franco Pantarelli A pochi passi si svolgeva una grande manifestazione per la lotta all'Aids con la presenza di Clinton e Gore Un momento della marcia ispanica e il cantante Carlos Santana