«la mafia ordinò uccidete lo "sbirro" Mattarella» di Francesco La Licata

?mAuèm™m «la mafia ordinò; uccidete lo "sbirro" Mattarella» Rivelazioni del «nuovo Buscetta»: fa il nome anche di un giornalista che frequentava il boss Bontade «la mafia ordinò; uccidete lo "sbirro" Mattarella» Il pentito Di Carlo: e il de Reina fu ammazzato perché ostacolava Ciancimino ?mAuèm™m «la mafiIl pentito DiPALERMO DAL NOSTRO INVIATO Ma quanta bella gente, nella città dei begli anni andati, quando Cosa nostra comandava davvero, l'antimafia era prerogativa di qualche matto isolato e giravano i «bei soldi» a solidificare inconfessabili e innaturali amicizie. Politici, mafiosi, avvocati, magistrati, poliziotti, notabili, qualche giornalista: tutti insieme appassionatamente. Guardie e ladri nello stesso mucchio, sotto lo sguardo indulgente dello Stato lontano e per nulla voglioso di metter le mani dentro una simile fogna. Cosi racconta Palermo, l'ex boss Francesco Di Carlo, il pentito venuto dalle nebbie londinesi. Certo, è chiaro che bisognerà valutare, riscontrare, soppesare. Ma il quadro generale - a chi conosce la realtà di queste contrade - non appare per nulla astratto. Di Carlo è un fiume in piena: rispolvera vecchie storie mai chiarite, offre chiavi di lettura, apre nuovi orizzonti, ma soprattutto ripropone lo spettro di un luogo che per Palermo e sempre stato'un macigno sulla coscienza: il palazzo di giustizia. «Ciccio» Di Carlo parla della morte del procuratore Pietro Scaglione (1971): «E' stato Liggio, Riina e Provenzano». Il procuratore Costa, invece, fu ucciso (1980) per ordine delle «colombe» Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo, con il benestare della «commissione» e il commento favorevole del ((falco» Riina: «Finalmente vi state svegliando». Ma la sorte del magistrato, già marchiato come «toga rossa», probabilmente era stata segnata dentro la Procura, quando si assunse l'intera «responsabilità» dell'emissione di 40 ordini di cattura. Di Carlo: «Inzerillo sape¬ va che neanche i sostituti del Costa avevano voluto firmare. Non c'erano le prove, così dicevano anche gli avvocati». Perché fu ammazzato il presidente della Regione, Piersanti Mattarella? «Posso riferire - dice il pentito - dell'intervento di un magistrato, il procuratore Paino, che era molto amico di Nino Salvo e che gli riferì un particolare importante sul Mattarella che aveva spiegato a Roma, ai suoi referenti, la situazione siciliana (ed i suoi cattivi rapporti con Lima). Anche ciò portò alla uccisione di Mattarella che veniva vissuto come imo sbirro». E il segretario della de Michele Reina, ucciso nel '79? Qui, Di Carlo dà corpo ad un sospetto che da sempre gira di bocca in bocca a Palermo. «Parlare di questo omicidio - dice - significa parlare di Ciancimino». E subito dopo disegna in modo inedito la figura dell'ex sindaco di Palermo oggi in carcere per mafia. «Lo incontrai al "Castello" (un locale notturno di Trabia, a due passi da Palermo ndr) con Bernardo Provenzano, Riina, Carmelo Colletti e un italo amricano». Reina «portava ostacolo» a Vito Ciancimino e ad ucciderlo ((furono Nino Madonia e Leoluca Bagarella». Poi dice di averlo incontrato ancora, sempre al «Castello», e di averlo sentito lamentare perché era stato portato in questura e torchiato. Alle lamentele era presente il boss Bernardo Brusca che sentenziò: «Sono 'cazzi' del ragioniere», alludendo al fatto che era compito di Bernardo Provenzano (amico fidato di Ciancimino) togliere dai guai il politico. Di un altro Provenzano (non più in vita), Sebastiano detto il «cavaliere», padre dell'attuale leader di Forza Italia e presidente della Regione Siciliana, dice che «era uomo d'onore» e dice di averlo saputo da Brusca, insieme col particolare che «il cavalie¬ re nelle sue tenute aveva ospitato molti latitanti». «Ciccio» anticipa che parlerà di 57 omicidi e di un gran numero di sequestri di persona. Una volta «Riina mandò ai familiari di un rapito un orecchio mozzato». Ma non era dell'ostaggio, lo tagliò ad un altro uomo assassinato. Sull'assassinio del giornalista Mario Francese, Di Carlo anticipa di ricordare persino la data di quando avvenne, lasciando intendere che avrà molto da dire. Ma sui giornalisti, Di Carlo sembra particolarmente preparato. Le sue rivelazione vanno ad aggiungersi ad altre indagini che la Procura aveva già «riacceso» sulla morte di Mario Francese. Di Carlo parla di un giornalista «amico fedele del dirigente di polizia Ignazio D'Antone», ma anche molto intimo del boss Stefano Bontade del quale «frequentava la casa e partecipava a molte mangiate». Secondo il pentito, il giornalista («so che lavorava al Giornale di Sicilia e che nel '78 era stato trasferito a Messina dove si occupava di cronaca sportiva») portò «le scuse» del funzionario di polizia alla mafia di Santa Maria di Gesù, per una irruzione durante un summit di Cosa nostra, a Villagrazia, affermando che il commissario «non aveva potuto fare a meno». Il resto del «quadretto.: sono politici: Mannino, Canino, Lauricella (che «stava per essere affiliato»), Casimiro Vizzini, Bernardo Mattarella. C'è ancora Contrada, che nega la patente al principe Vanni Calvello perché non lo aveva invitato al ricevimento in onore della regina Elisabetta e ci sono i magistrati ancora in servizio. Ma di quelli parlerà coi giudici di Caltanissetta. Francesco La Licata