Bonn caccia i profughi dell'ex Jugoslavia

Decisione d'autorità per quelli bosniaci, d'intesa con Belgrado per i «sudditi» di Milosevic Decisione d'autorità per quelli bosniaci, d'intesa con Belgrado per i «sudditi» di Milosevic Bonn caccia i profughi dell'ex Jugoslavia Rimpatrio forzato per455 mila DAL MONDO BONN DAL NOSTRO CORRISPONDÈNTE All'indomani dell'espulsione di un profugo bosniaco - la prima di un vasto contingente, decisa dal governo regionale della Baviera fra le proteste e le polemiche delle associazioni umanitarie - il ministro degli Interni Manfred Kanther ha firmato ieri con il collega di Belgrado Vukasin Jokanovic un accordo per il rimpatrio forzato di 135 mila profughi jugoslavi, quasi tutti albanesi del Kosovo. Un segnale politico forte alla comunità internazionale e all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite, che Kanther ha riassunto con freddezza: «Non siamo un Paese di immigrazione». Le partenze cominceranno a dicembre e proseguiranno nei prossimi tre anni. Nel frattempo continueranno le espulsioni dei bosniaci: 320 mila, secondo quanto stabilito in agosto da Kanther e dai 16 ministri regionali degli Interni, di destra e di sinistra. Non tutti i Laender, tuttavia, avvieranno contemporaneamente le espulsioni: qualcuno, come il Nord KenoWeslfalia, aspetterà la primavera. Altri, come Berlino, cominceranno nelle prossime settimane; altri ancora - come il Magdeburgo e la Sassonia Anhalt - hanno fermato in extremis le prime partenze, in seguito a contrasti fra i partiti di governo. La Baviera, dopo qualche giorno di attesa, ha rotto gli indugi per prima - una settimana dopo l'entrata in vigore del decreto dei ministri regionali rimpatriando un bosniaco di 29 anni già condannato a 18 mesi per reati sessuali. Ieri il responsabile regionale degli Interni, Beckstein, ha annunciato altre '(partenze forzate» per i prossimi giorni. Entro la l'ine dell'anno lasceranno la Baviera alcune centinaia di profughi: prima di tutto chi deve scontare condanne penali, subito dopo i disoccupati fra i 18 e i 55 anni; se non decideranno volontariamente di andarsene, entreran¬ no in vigore le espulsioni. Le famiglie con bambini, i bambini rimasti orfani e le donne che che hanno subito violenze sessuali durante il conflitto nella ex Jugoslavia potranno restare, invece, almeno fino ad aprile. Per tutti, si apre un futuro di incertezze: in patria non li aspetta una casa né un lavoro. Molti, inoltre, sono musulmani provenienti dai villaggi della zona oggi controllata dai serbi di Bosnia, che non vogliono accettarli. Ma alle critiche internazionali - riassunte l'altro giorno dal sindaco della città bosniaca di Tuzla, Selim Belsagic, che ha lanciato un drammatico appello al governo federale - Bonn risponde richiamandosi agli accordi di pace firmati l'anno scorso a Dayton: in Bosnia non c'è più stato di guerra, si dice in sostanza, e i profughi possono tornare tranquillamente in patria. Dietro la decisione ci sono, in realtà, forti pressioni: mantenere centinaia di migliaia di persone costa caro, mentre la disoccupazione ò a livelli storici (un tasso del 10%, quasi 4 milioni di senza lavoro), e il piano di austerità del governo costringe i cittadini a nuovi sacrifici. «Una parte fondamentale della legge internazionale, del resto, è che i Paesi riprendano i propri cittadini», sostiene Kanther. Respingendo le proteste delle associazioni intemazionali, il governo di Washington ha mostrato diplomatica comprensione per un Paese nel quale immigrazione e asilo restano temi ad alta densità politica ed emotiva. «Nessun Paese ha fatto di più per i profughi bosniaci, nessun Paese si è addossato oneri finanziari e logistici più pesanti della Gei-mania», ha dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato, che ha tuttavia ricordato le responsabilità «umanitarie» del governo federale: «Siamo sicuri che Bonn si accerterà che il programma di rimpatrio avvenga nel rispetto delle norme internazionali». Emanuele Novazio Il ministro degli Interni: non siamo un Paese d'immigrazione | Ora c'è la pace, andatevene j Il ministro degli Interni tedesco Kanther con il collega jugoslavo Jokanovic durante la firma dell'intesa sul rimpatrio dei rifugiati. A destra un gruppo di profughe bosniache Giovani cubane TURISMO SESSUALI, FRANCESE CONDANNATO A CUBA. Un turista francese, Jerome Fitere di 41 anni, è stato condannato a 12 anni di carcere dalla magistratura cubana per 5. imputazioni di corruzione di minorenni. Secondo la sentenza l'uomo aveva convinto altrettante ragazzine, di età compresa fra i 12 e i 15 anni, «a farsi fotografare nude e a lasciarsi toccare in alcune parti del corpo in cambio di qualche dollaro». E' la prima condanna del genere pronunciata a Cuba, ormai divenuta meta abituale del «turismo sessuale», contro un cittadino straniero. Per il francese l'accusa aveva chiesto 25 anni, 5 per ciascuna delle minorenni adescate; la difesa aveva opposto come circostanza attenuante l'appartenenza delle ragazzine al giro della prostituzione. Fitere era stato arrestato lo scorso settembre, al momento di ritirare le fotografie in un negozio statale dove le aveva portate a far sviluppare. [Agi] ZAPATISTI, AL CONGRESSO LA COMANDANTE MALATA. Sarà.la «comandante» Ramona, loro leader storica, a rappresentare gli zapatisti del Chiapas al congresso nazionale indigeno di Città del Messico. La donna è malata di cancro allo stato terminale. L'annuncio della scelta, e della partecipazione di Ramona all'ultimo giorno del forum, domani, è stato dato ieri dal «vice-comandante» Marcos. Il governo, che fino all'ultimo aveva minacciato di arrestare chiunque dei capi zapatisti uscisse dal Chiapas, ha accettato che la Conimissione parlamentare di concordia e pacificazione, che fa da mediatore nel Chiapas, si occupi del trasporto di Ramona dalla foresta alla capitale, e del ritorno. Non è chiaro come la trattativa tra governo e zapatisti, avviata da questi ultimi che volevano partecipare al congresso, sia stata risolta. Gli organizzatori avevano insistito affinché i dirigenti dell'Elzn (Esercito zapatista di liberazione nazionale), partecipassero disarmati. [Ansa] Una zapatista