Che voglia di censura di Lietta Tornabuoni

Che voglia di censura Che voglia di censura IRA un'aria brutta, in Inghilterra e non solo: la casa discografica dei Beatles ha eliminato dalle loro canzoni e dichiarazioni raccolte in album antologici ogni riferimento a quella droga che fu un elemento così tipico del loro tempo; il film «Trainspotting» di Danny Boyle, commedia giovanile in nero e in grottesco su un gruppo di ragazzi di Edimburgo alla caccia d'una dose quotidiana, è vietato ai minori e suscita proteste, ulteriori richieste di censura, ostilità, invocazioni di messa al bando; del film «Michael Collins» di Neil Jordan, Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia, biografia d'un leader della lotta per l'indipendenza dell'Irlanda dall'Inghilterra all'inizio del Novecento, si vorrebbe persino impedire l'uscita, temendo gli effetti politici dell'agiografia d'un terrorista. Da noi s'è sempre pensato che l'Inghilterra fosse un Paese liberale e non autoritario, mentre era il bravissimo teatrante inglese David Hare a sostenere nella sua commedia «Pravda» che i giornali inglesi risultavano più condizionabili e condizionati di quelli ex sovietici, altrettanto portati a occultare, mutilare le verità politiche: ma tanta voglia di censura ha adesso qualcosa di nuovo, magari di diverso dal solito. Il solito sarebbe il discorso consueto mille volte ripetuto pure in Italia o negli Stati Uniti anche a proposito della politica e dei suoi retroscena, mille volte battuto dalla modernità e dalla forza dei media: se il problema (della droga, dell'Irlanda, della violenza, della corruzione pubblica, dei magistrati comprati e venduti eccetera) esiste, se è sempre più vasto, se sembra che non si possa o non si voglia risolverlo, almeno non parliamone; o meglio, parliamone soltanto in termini problematico-catastrofici, con compunzione e virtuosa deplorazione da talk show, anziché parlarne come d'una componente della vita di miMoni di persone, d'una realtà in atto. La speranza dei sacerdoti del silenzio è quella d'eliminare il problema non dalla realtà, ma dalla rappresentazione e dalla cultura, di evitare di fornire modelli ^mitabili alle persone più fra- Dal 9 dicembre gili, di opporre al dramma buone parole, storie probe, pensieri nobili, sentimenti elevati. Il fatto che ogni tentativo del genere (ne vengono compiuti di continuo da trenta, cinquant'anni) non sia mai servito e mai si sia dimostrato efficace, anzi, non scoraggia i partigiani della censura: il loro non è un rimedio pratico ma una posizione ideologica irriducibile quanto irrazionale, la convinzione che la gente sia troppo stupida o labile per essere libera, che sia necessario guidarla, privarla, comandarla e che un simile compito sia affidato a quelle creature superiori e onniscienti che sono i censori, professionisti o dilettanti. Il fatto che modificare le realtà negative sarebbe più utile neppure viene preso in considerazione; si dà per scontato che sia impossibile, non ci si prova nemmeno. A questa massima inefficienza e anche ipocrisia che dura da tanto tempo, s'aggiunge adesso un elemento nuovo: l'ignoranza. Sarà la fretta, sarà il ritmo veloce dei tempi, ma la maggior parte dei censori dilettanti che chiedono tagli, che si scandalizzano o condannano, non sanno di cosa stanno parlando. Non hanno visto il film (le campagne censorie risultano quasi sempre preventive), non hanno letto il libro, non hanno ascoltato la canzone, non sono in grado di distinguere tra realismo e parodia, tragedia e commedia: reagiscono in genere sulla base d'una informazione monca e approssimativa ricevuta dai giornalisti che raccolgono pareri e che magari neppure loro hanno visto, letto, ascoltato il prodotto mcriminato. Comunque, avventano giudizi. Tanto, domani è un altro giorno, a vietare non si sbaglia mai e l'onestà intellettuale interessa nessuno. Lietta Tornabuoni 1

Persone citate: Danny Boyle, David Hare, Michael Collins, Neil Jordan

Luoghi citati: Edimburgo, Inghilterra, Irlanda, Italia, Stati Uniti, Venezia