l'Afghanistan governato dal corano
Estero LA STAMPA Mercol CESAREA DAL NOSTRO INVIATO Sorride, Yasser Arafat, prima di sedersi su una sedia da giardino e di cominciare col presidente d'Israele un colloquio che significa distensione. Pochi giorni fa, da Washington, il mondo aveva potuto osservare la sua faccia da funerale, adesso l'espressione vorrebbe far capire che il clima è cambiato. La politica dell'immagine non dev'essere monopolio di Benyamin Netanyahu. Si tratta però, appunto, di una distensione esibita. E' vero, dopo mesi di preparazione, per la prima volta il leader dei palestinesi mette piede in forma ufficiale nel territorio d'Israele. Si era presentato, a sorpresa, la sera dell'omicidio di Yitzhak Rabin, per portare le condoglianze della sua gente, oggi è quasi un capo di Stato. Quasi, poiché per evitare sottolineature eccessive Ezer Weizman ha scelto questo strano cerimoniale semiprivato. La prima dichiarazione, però, dimostra che dietro i sorrisi di facciata le trattative non si smuovono. A Erez, ai margini della striscia di Gaza, i primi colloqui si sono interrotti dopo un quarto d'ora (mezz'ora, dicono gli israeliani, con questo inaugurando anche una guerra della tempistica). «Mi spiace che l'esordio non sia stato positivo - dice Arafat - L'AFGHANISTAN GOVERNATO DAL CORANO IKABUL MPEDIRE alle ragazze di lavorare e studiare, non ha niente a che vedere con l'Islam! Non è nel Corano, non è una legge islamica». Questa istitutrice sulla cinquantina non capisce perché i nuovi padroni di Kabui imporranno un'apartheid totale tra i due sessi nella capitale dell'Afghanistan, caduta nelle mani dei taleban. Circondata dalla sorella e dalle tre figlie, nel suo piccolo appartamento di Microrayon, una sorta di grande cittàdormitorio di stile sovietico costruita per la nomenklatura dell'ex regime comunista, s'interroga e insorge. Si ribella, con un misto di umorismo e derisione, contro la nuova condizione della donna afghana, assicurando di «non aver paura», ma pregando comunque, «per ragioni di sicurezza», di non essere nominata. Dalla presa di Kabul, i taleban, questi «studenti di teologia» usciti dalle scuole coraniche del SudOvest del Paese o del vicino Pakistan che ormai regnano sui due terzi dell'Afghanistan, hanno immediatamente decretato «misure d'urgenza» destinate a bandire le donne dalla vita pubblica: divieto di uscire senza velo, divieto di andare all'università e a scuola che per ora resta chiusa a tutti - e di andare in ufficio. Per gli afghani della classe media, l'imposizione della sharia nella sua versione più repressiva coronerà nel modo più intollerante quattro anni di guerra civile tra le fazioni rivali dell'Afghanistan post-comunista. Gli abitanti di Kabul erano in effetti abituati a un regime relativamente tollerante nei confronti delle donne ai tempi della monarchia e del comunismo, regime che si è islamizzato con la presa del potere da parte dei partigiani mujahidin nel '92, e che il puritanesimo dei taieban inasprirà molto. «Oggi - continua l'istitutrice - è la pace, e gli obici hanno cessato di martellare Kabul dalla sconfitta del vecchio regime. Ma mi domando se non preferivo i lanciarazzi: almeno si moriva subito. Ora, morire di noia a casa, è un altro genere di morte...». Le fighe, attorno a lei, non sono d'accordo, sanno che la madre esagera. «La pace è pur sempre meglio della guerra», sottolinea la maggiore, una studentessa di 19 anni che non è uscita di casa dalla caduta della città. «Ma mio padre ha fat to di tutto per istruirci - aggiunge - e ora è fuori di sé per quel che ci capita». Il padre, un professore di idee Estero
Persone citate: Arafat, Benyamin Netanyahu, Erez, Ezer Weizman, Yasser Arafat, Yitzhak Rabin
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