Il mattone cala ancora?

LA STAMPA LA STAMPA tuttosi fwmSsf mSsf Esiste una soglia minima per le abitazioni sotto la quale non si può proprio andare. Con questa analisi vediamo di capire quali fattori incidono sugli scambi e se è giunta o no Vora del rialzo Il mattone cala ancora? Sprezzi delle case stanno scendendo in termini reali. Non lo dimostrano solo i dati che pubblichiamo in queste pagine. Basta prendere qualsiasi borsino stilato cinque anni fa e confrontarlo con i prezzi indicati oggi dalla medesima fonte. Anche le indagini più ottimistiche indicano prezzi nominali fermi nei valori medi e in calo nei valori di punta. Tradotto in termini reali significa che tutta a carico dei proprietari è rimasta l'inflazione del periodo, valutabile attorno al 26%. ECCESSO DI OFFERTA Uno dei motivi (ma non l'unico) che ha dato il via alla diminuzione dei prezzi è l'eccesso di offerta, rispetto a una domanda pur sempre vivace (in fondo ci aggiriamo sempre sui livelli record di 500 mila vendite all'anno). Alla base di questa offerta e della fretta di vendere da parte dei proprietari c'è, secondo molli osservatori, la paura che i prezzi nel futuro scenderanno ancora. Ma si tratta veramente di un timore giustificato? TRE CRITERI «Nella teoria economica - dice Alberto Lunghini, presidente dell'Aici, Associazione italiana consulenti immobiliari - esistono tre criteri per definire il valore di un immobile: 1) il costo di costruzione (costruzione vera e propria, area, oneri fiscali e finanziari) più il margine di guadagno del promotore 2) il criterio locativo: il valore è funzione dell'affitto che l'immobile può rendere 3) il criterio comparativo: il valore è determinato dal confronto con i prezzi pagati per immobili di caratteristiche analoghe. «In pratica, per gli immobili residenziali il secondo criterio oggi non è più utilizzabile. In genere si adotta il primo criterio per le co¬ struzioni nuove, il terzo per quelle usate». Se le cose stanno così, per rispondere alla nostra domanda dobbiamo proprio partire dai costi del nuovo. LE SINGOLE VOCI «In una grande città - dice Arietto Paletti, presidente di Anicbi, la neonata Associazione di imprenditori commercianti di immobili dove il costo dell'area arriva a incidere per 7-800 mila lire al metro quadrato, non si può vendere il nuovo a meno di 3 milioni: un milione e mezzo almeno serve per costruire, 300 mila vanno per gli oneri di concessione e, a costo del denaro attorno al 12%, almeno 4500 mila lire servono per pagare gli interessi alle banche che finanziano la costruzione, ammesso che si riesca a chiudere l'operazione nel giro di diciotto mesi, altrimenti questo costo sale». PER IL PROMOTORE Nell'analisi Paletti dà per scontato che il margine di guadagno del promotore sia ridotto all'osso. Questa è, tra le cinque voci che compongono il prezzo, l'unica veramente comprimibile: nei momenti di boom il margine schizza oltre il 20%, in congiuntura normale si attesta sul 10-15% del prezzo finale dell'immobile. ONERI FISCALI Venendo agli altri costi, gli oneri fiscali variano da Comune a Comune e sono composti da tre voci: — urbanizzazione primaria (strade, fognature ecc.), — urbanizzazione secondaria (scuole, ecc.) — oneri della legge «Bucalossi». L'importo dei primi due oneri è deciso dai Comuni, il terzo è pari al 10% del costo teorico di costruzione. L'importo complessivo di queste voci può variare da 200 mila lire nei Comuni piccoli a 350 mila lire nelle grandi città. AZIENDE IN CRISI I costi per la costruzione vera e propria dipendono certamente dai materiali impiegati e dalle difficoltà di trasporto, ma, se si fanno le cose con tutti i crismi (quindi impiegando solo personale assunto regolarmente e tenendo i cantieri in regola con le norme antiinfortunistiche), sono praticamente uguali in città grandi e piccole, al Nord come al Sud. In questi cinque anni sono saltate migliaia di imprese di costruzioni di tutte le dimensioni, e quelle che hanno resistito hanno compresso all'inverosimile i prezzi. Non è pensabile un'ulteriore diminuzione dell'incidenza di questa voce, FINANZIAMENTI II costo del denaro sta scendendo, ma non in modo uniforme: al Sud i finanziamenti costano 3-4 punti più che al Nord. Anche i più solidi immobiliaristi finanziano con mezzi propri solo una percentuale (di solito non più del 20-30%) della costruzione dell'immobile. La parte rimanente va chiesta a banche che ormai erogano solo con il contagocce, a tassi quasi sempre superiori al prime rate e solo a partner affidabili. Il livello delle cosiddette «sofferenze» immobiliari, cioè i crediti inesigibili di privati e imprese, ormai veleggia sui 18 mila miliardi. Anche da questo fronte non ci si può aspettare una diminuzione dei costi decisiva. A SENSO UNICO Se, infine, si parla di costi delle aree, il discorso si fa decisamente più complesso. L'evoluzione del mercato delle aree edificabili dimostra che i valori corrono a senso unico: — quando i prezzi delle case aumentano i prezzi delle aree salgono, in modo percentualmente più rilevante — quando i prezzi delle case scendono i costi delle aree rimangono fermi. Questo si spiega molto facilmente: chi detiene le aree (in genere sono grandi società o patrimoni familiari di decenni se non di secoli) ragiona sempre a lungo termine e, se proprio non vi è costretto da necessità contingenti, non svende mai; si può essere invece costretti, perché schiacciati dagli oneri finanziari, a vendere a prezzo basso un edificio. SOMMA MATEMATICA «Ma questo avviene - spiega Mario Breglia, di "Scenari immobiliari" - soltanto quando l'immobiliarista non ha comprato l'area appositamente per quella operazione, ma l'aveva acquisita tempo addietro a un costo storico molto più basso di quello attuale. Se così non fosse, tutto il sistema, con i prezzi del nuovo praticati, sarebbe già saltato». Chi oggi vende in una grande città a un prezzo inferiore alla pura somma matematica dei cinque fattori di costo lo può fare soltanto perché l'area a lui non è costata il valore commerciale attuale. DISCESA IMPROBABILE Per tutto questo è evidente che margini per un'ulteriore discesa dei prezzi del nuovo non ce ne sono, perché la diminuzione presupporrebbe un improbabile crollo dei valori delle aree o ancora più improbabili facilitazioni fiscali per chi costruisce. L'estrema parsimonia delle amministrazioni nel rilasciare concessioni edilizie, la severità dei piani regolatori, il momento poco esaltante che induce gli immobiliaristi alla prudenza fanno pensare a un'offerta di immobili nuovi molto ridotta, almeno nelle zone di maggior richiamo. Il prezzo dell'usato, formandosi nel rispetto della legge di domanda e offerta, obbedisce a una logica senz'altro più elastica. IN BUONO STATO Se però i prezzi del nuovo non possono scendere e se la domanda dovrà necessariamente in forte misura indirizzarsi verso l'usato, si potrebbe pensare che anche per le case vecchie, purché di buon taglio e in buono stato, non ci siano più margini per la discesa di prezzo nel medio periodo. Usiamo il condizionale perché sul mercato pendono due spade di Damocle: — la vendita di assicurazioni, banche ed enti pubblici (paventata dagli immobiliaristi) — la politica fiscale. Il primo è un pericolo più immaginario che concreto perché in realtà le dismissioni di patrimoni non sottraggono mercato, ma si rivolgono a un'utenza che altrimenti non avrebbe comprato. Il secondo è un rischio decisamente più concreto, se si considera che la caduta del mercato è iniziata proprio quando si sono inasprite le tasse sulla casa. SEGNALI PERICOLOSI I segnali provenienti dall'ultima Finanziaria sono ben poco incoraggianti. «Se si decidesse all'improvviso una riduzione del 50% delle tasse sulle vendite - spiega Mario Breglia - probabilmente nel giro di poche settimane si avrebbe un boom di rogiti. Al contrario, se si decidesse un raddoppio delle tasse nessuno per qualche settimana comprerebbe casa. Ma in entrambi i casi il mercato recepirebbe i provvedimenti come episodici e nel giro di qualche mese ritroverebbe il suo equilibrio. Se invece si persegue una politica di continuo inasprimento si causano conseguenze di lungo periodo ben più gravi. Chi sarebbe intenzionato all'acquisto pensa che sta per investire in un bene che sarà sempre più tassato e, se proprio non ha necessità, lascia perdere». Pagine a cura di GINO PAGLIUCA

Persone citate: Alberto Lunghini, Arietto Paletti, Bucalossi, Gino Pagliuca, Mario Breglia, Paletti