TEODORA E GIUSTINIANO UN IMPERO A LUCI ROSSE

TEODORA E GIUSTINIANO UN IMPERO A LUCI ROSSE TEODORA E GIUSTINIANO UN IMPERO A LUCI ROSSE STORIE SEGRETE Procopio biblioteca Universale Rizzoli pp. 363 L. 20.000 A fortuna editoriale continua ad assistere Procopio di Cesarea. Cicliche ristampe degli Anecdota, specie in Germania, Inghilterra, Italia e Francia, gli assicurano un posto onorevole tra quei «classici» che vanno a spasso col lettore senza pretendere eccessive riverenze. E adesso che gli Anecdota o, titolo più insinuante, Storie segrete riappaiono nella Bur (versione di Paolo Cesaretti, revisione critica e note di Fabrizio Conca) non è difficile ipotizzare un rinnovato interesse per questo temerario atto di accusa. Tanto temerario che l'autore è costretto a giustificarsi se ha taciuto nei libri precedenti le infamie dei protagonisti che maggiormente lo ossessionano: Giustiniano e Teodora, e dei comprimari Antonina e Belisario. Che volete, confida nel proe¬ mio, dovevo aspettare che gli interessati fossero all'altro mondo o sul punto di andarci; «troppo pericoloso riferire debitamente, vivendone ancora i responsabili... Scoperto, non sarei scampato a morte atroce». Giunto il momento propizio (intorno al 550) Procopio, che aveva ricoperto alte cariche politico-militari, che aveva accompagnato Belisario nella spedizione in Africa e nella prima campagna in Italia, e poteva dunque contare sull'esperienza diretta oltre che su fonti attendibilissime, vuota il sacco. E nel vuotarlo si accorge de! rischio che corrono le sue pagine alla luce dei posteri. Non sarà per caso sospettato di meschina rivalsa, di fantasiosa messinscena, di falso ideologico? Un dubbio che a tratti lo sconforta, lo blocca, e poi si scioglie nella piena consapevolezza di fornire un prezioso contributo alle vicende dell'amata Bisanzio. Anche se, di fatto, la coloritura dei personaggi prepondera sul loro cupo spessore morale e gli intrighi di corte e di lupanare distraggono - aneddoticamente - dalle reali condizioni dello Stato e dai disegni universalistici giustinianei. Così pure il tono aspro, concitato, del fustigatore (forse offeso o deluso dal Palazzo) induce a un'automatica taratura nei ritratti e negli eventi drammatizzati. Le «attrazioni» sono comunque innegabili: donne in carriera eroticamente ultra; un generale, Belisario, campione sul campo e codardo in casa, al laccio della «lupa» Antonina; la Costantinopoli I dell'Ippodromo, dei giochi circensi, delle fazioni irriducibili: gli Azzurri e i Verdi, l'analfabeta zio Giustino, imperatore di cartapesta e la convivente, ex schiava, Lupicina; e i sovrani ieratici dei mosaici che incantano i turisti a Ravenna: cinici, menzogneri, il Dio Pantocrator sulle labbra e le mani che affondano rapaci nelle casse degli amici e dei reprobi. Insomma, un castigo, una calamità che Procopio cerca di trasmetterci a suon di iperboli. «Fu causa di tali e tante disgrazie che mai se n'erano udite nel corso dei secoli», dice di Giustiniano. Oppure: «Pari a un flagello celeste scagliato contro l'uman genere», sempre a proposito del despota. Teodora, invece, «bel viso, ma piccola e se non pallida, slavata», batte ai punti la temibile Antonina nell'intimità degli Anecdota. Della sua vita di teatrante priva di talento («non sapeva suonare flauto né arpa e mai s'era provata nella danza») nonché di cortigiana omo-eterosessuale sapientissima, Procopio è largo di informazioni. Ella passava sulle città e sulle campagne come un turbine di libidine. Se toccava terra, guai a intercettarla. «Pur operando con tre orifizi, rimproverava stizzita alla natura di non aver provveduto il suo seno di un'apertura più ampia, sì da poter escogitare un'ulteriore forma di copula»... Non basta. «Spesso si presentava a pranzo con dieci giovanotti nel pieno delle forze, trascorreva l'intera notte a letto con i commensali, e allorché erano giunti allo stremo passava ai servitori, che potevano essere una trentina; s'accoppiava con ciascuno di loro, ma egualmente non riusciva a soddisfare la sua lussuria». Quanto a Giustiniano, «un vero barbaro nell'eloquio, nel sembiante, nell'intelletto», lo storico di Cesarea dà l'impressione di perdere qualche colpo dopo aver esaurito il repertorio delle definizioni correnti: passione omicida, viltà, crudeltà mascherata di mitezza, ipocrisia religiosa, patologica avidità di denaro, paranoico accentramento del potere... Vorrebbe stenderlo con un'immagine assoluta, perpetua, e perciò non resta che varcare i confini terreni. Lo chiama allora «principe dei dèmoni», adduce prove di inseminazioni sulfuree, di traffici satanici, di sortilegi, e in tal veste ce lo consegna. Ad ogni modo è su di lui che indugia l'occhio implacabile nelle righe finali degli Anecdota. Giustiniano sta ormai per chiudere la sua partita (Teodora è già morta, nel 548) e Procopio, esausto ma appagato, può finalmente licenziare il testo e attendersi un pizzico di gratitudine per la testimonianza resa. Mission Stendhal

Persone citate: Fabrizio Conca, Paolo Cesaretti, Procopio, Storie

Luoghi citati: Africa, Bur, Costantinopoli, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Ravenna