«GLI SCRITTORI D'IRLANDA NON GUASTATI DALLA POLITICA»

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Gaetano Cappelli Et UNA tranquilla mattina di domenica a Londra, quando un urlo lancinante rompe, e per sempre, la quiete domestica; l'oscuro scrittore Richard Tuli personaggio di una meschinità titanica - ha appena appreso che il romanzo di Gwyn Barry, suo fedele quanto opaco compagno di stanza a Oxford, è entrato al nono posto nella classifica dei libri più venduti. Ecco una delle cose che può cambiare la vita di un uomo, che può farlo piangere di dolore nella notte, che può diventare materia palpitante per una grande, indimenticabile storia come quella che Martin Amis racconta nell'Informazione (Einaudi). FRANCOFORTE ARTEDI' sera sembrava ancora di viaggiare su e giù per un interminabile cantiere destinato a svelarsi l'indomani impreparato: scatoloni e cartacce su pavimenti e moquette, scaffali vuoti o semivuoti, carrelli che andavano avanti e indietro. Ieri all'apertura, alle 9, la 48a Fiera di Francoforte era invece una macchina già lucidata e perfettamente in funzione. Se caos c'era, era quello dei visitatori professionali che invadevano corridoi e scale mobili, così come le auto, fuori, intasavano le grandi vie di scorrimento. Ma le contrattazioni fra editori - o, soprattutto, perfezionamenti di accordi presi in settembre oppure basi di future trattative - quelle no, quelle avevano il passo ritmato dell'orologio: appuntamenti prefissati, uno dopo l'altro, un editore ospite del collega o viceversa. Nonostante gli sforzi dell'organizzazione per ampliare spazi e attenzioni riservati al Sud del mondo e all'Est d'Europa, il dominio occidentale si è visto subito. Per chi cercasse indicazioni sul titolo dell'anno, ieri una è già venuta: è un romanzo, si chiama Meg, l'ha scritto Steve Alien e l'ha portato qui la casa americana Doubleday di New York giustappunto. A chi chiede quanto vogliono per i diritti la prima risposta che danno è: «Molto di più». A loro Meg è stato venduto da un agente californiano per due milioni di dollari e alla Walt Disney i diritti cinematografici sono costati 700 mila dollari. Il bello è che il romanzo uscirà in America soltanto fra un anno. Ma che cos'ha di speciale Meg? Il titolo è l'abbreviazione di Megalodon, squali scomparsi. E la storia è quella di una femmina di Megalodonte che riaffiora nelle acque dell'oceano Pacifico, portando panico e distruzione. Ingredienti, dunque, che vanno dalla serie cinematografica dello Squalo alle più alte, per il vero, pagine di Crichton e del suo Jurassic Park. Per l'Italia l'ha comprato Mondadori pochi giorni fa, senza aspettare che la Fiera aprisse i battenti. Ieri se lo sono accaparrato tedeschi e olandesi. Per altri Stati è in corsa la gara: «Molto di più», dicevano appunto alla Doubleday. Il caso di Meg è ancor più caso se si considera che le trattative per la fiction sembrano ancorate saldamente agli autori che sono best-seller da tempo. Si stanno per esempio discutendo due futuri Grisham in un pacchetto solo (mentre Ken Follett non ha titoli nuovi ma ieri sera era qui ad esibirsi in concerto). Ma gli americani non demordono e propongono novità curiose: Pearl Abraham, che in The romance reader racconta di un'ebrea ortodossa cui, a Brooklyn, viene proibito dalla sua religione di leggere; la sua trasgressione in biblioteca avrà conseguenze forti (affare fatto, pare, per Einaudi, in corsa editori europei). Germania e Inghilterra hanno già acquistato e anche l'Italia si muove l'humour noir di America di Thomas Coraghessam Boyle, storia forte di messicani immigrati clandestini, la cui vicenda si intreccia con quella di una coppia made in Usa abbiente, liberal, ecologista. Sono tanti i titoli americani (tra gli altri Spices, di Christa Divakaruni, indiana di origine, che racconta col pacato linguaggio orientale la difficoltà di inserirsi a San Francisco). Sono tanti e c'è anche da rischiare. Qui a Francoforte si dice che ci sono due giardini zoologici: quello dall'altra parte della città, con centinaia di specie, e quello dentro la Festhalle, con tre specie: i leoni (grandi editori che la fanno da re), le volpi (piccoli e medi, ma abili cacciatori) e le iene, cioè gli agenti, soprattutto d'oltreoceano, che pagano grandi anticipi, vedono i flop dei loro acquisti e vengono qui giocando d'astuzia. Contattano un agente, poi subito un altro a cui dicono che è già in corsa il primo e via dicendo. Aste fittizie di finti best-seller. Ma ci tranquillizza Luigi Bernabò: «Si smascherano presto. Ciascuno di noi sente anche i colleghi degli altri Paesi, è un controllo incrociato». E i vu' cumprà americani vedono cadere almeno una parte degli affari. L'Europa, Italia in testa, ma così pure gli Usa hanno riscoperto autobiografie e biografie, memorie o interviste fiume. L'a¬ gente letterario inglese Christopher Little ha messo sul mercato, ieri mattina, un'autobiografia di Schumacher. Non fa cifre, ma avverte che dovranno essere altissime. Impossibile vedere il libro per un bel pezzo, perché quello che vende in realtà è un programma: sarà, infatti, una sorta di diario del prossimo Gran Premio. Impossibile scriverlo prima che le gare comincino. Ancora autobiografie: circola quella di Quincy Jones. L'editore Random vuol vendere quella di Christopher Reeve (prevista per il 98) e Doubleday quella di Mia Farrow, con tutto ciò che ha visto da quand'era piccola a oggi. Dall'Italia Longanesi risponde preparando qui il terreno per un futuro libro-intervista di Irene Galitzine, non solo biografia ma viaggio in prima persona nel mondo della moda. E gli altri Paesi? L'Irlanda sembra consolidare i rapporti con editori che già ne hanno tradotto le opere e comunque aspettare che diano flutto questi giorni dedicati alla sua diaspora : tra i suoi autori da scoprire tre romanzieri, Patrick Quigley (Borderland), Peg Grives {Romance trap), Michael Dickinson (L'ultimo testamento di Giuda Iscariota). Dalla Francia arriva La traversée di Philip Labro (Gallimard), racconto di un ritomo dal coma profondo. Nel padiglione della Germania spiccano è il dirWeidhatoli di «Oh Gochina risuggeri«Una nugion vedestia qle criticti se la stimediavolgerereplica Francodi baserapido come dcontro con la pme l'a«Francofiere». Intanmenicagnerà ideg!; ' al pemsa. AdSempru le pile di Future sex, scritto da Gisela Getty e Jutta Winkelmann conversando con filosofi e psicologi, un viaggio tra i comportamenti e le aspettative sessuali del Terzo Millennio: all'orizzonte molte paure e una gran caduta del desiderio, se già oggi Gaby Haunptman intitola il suo romanzo Uomo impotente cercasi per serena convivenza. Mitteleuropa, Est, Sud Africa e Sud America aumentano la loro presenza ma trattano con attenzione, parsimonia e prudenza. Soddisfatto del primo giorno è il direttore della Fiera, Peter Weidhaas, il quale di fronte a titoli di giornale enfatici come «Oh God! Oh Frankfurt!» si inchina ringraziando ma sornione suggerisce un più semplice: «Una nuova qualità». Lo fa a ragion veduta, non tanto per modestia quanto per difendersi dalle critiche. Tanti chiedono infatti se la sempre più presente multimedialità non rischia di stravolgere tutto. Al che Weidhaas replica proponendo la trinità di Francofone: libro come medium di base, cd-rom per un accesso rapido all'informazione, on-line come diffusione totale. Nessuno contro nessuno, quindi. Anzi, con la presenza di vari temi, come l'arte, dice il direttore, «Francoforte sarà la Fiera delle fiere». Intanto, tornando al libro, domenica la Buchmesse consegnerà il Premio per la Pace 1996, deg!; ' ;tori e dei librai tedeschi, al pemviano Mario Vargas Llosa. Ad onorarlo ci sarà Jorge Semprun. Marco Neirotti Sotto: Neil Jordan Da sin.: Vargas Llosa, Heaney visto da Loredano. Schumacher «GLI SCRITTORI D'IRLANDA NON GUASTATI DALLA POLITICA» TTANT'anni fa, dalla sua prospettiva colonialista, Rudyard Kipling diceva che dove ci sono irlandesi ci sono amore e risse, e oggi? Com'è cambiata l'Irlanda, che allora produceva autori sublimi e impervi come Yeats e Joyce e poi Beckett, e oggi vive una rinascita culturale con nomi come Seamus Heaney, Roddy Doyle, Sinéad O'Connor, o Neil Jordan, che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla musica, al cinema, raggiungendo un pubblico vastissimo? Lo abbiamo chiesto allo storico irlandese Louis Cullen, cattedra di Storia dell'Irlanda Moderna al Trinity College di Dublino, autore di numerosi saggi tra cui The emergence of Modem Ireland (Batsford), e Anglo Irish Trade (16601800) (Manchester University Press). Che inizia rispondendo di non vedere nella musica popolare irlandese «un'unicità specifica», ma qualcosa semmai che «appartiene alla cor¬ rente di un fenomeno universale». E come spiega invece quest'onda lunga di scrittori come Flann O'Brien, Doyle, Heaney, Banville o MacLowerty, che a poco a poco hanno conquistato sempre più terreno, diventando in qualche caso anche «cult writers»? «Guardi, alcuni anni fa ho scritto la storia della più grande società di distribuzione di libri e giornali d'Irlanda, Eason & Son. Ora, si pensa sempre alla cultura irlandese tra le due guerre come oppressa da un forte senso morale, chiusa. Eppure, vista dalla prospettiva di un'impresa commerciale, si vede che qualunque cosa riguardasse l'Irlanda vendeva molto bene. Quello che allora mancava erano gli scrittori e gli editori. Mentre negli ultimi venti o trent'anni una delle caratteristiche dell'Irlanda è stata una grande attività editoriale oltreché creativa». E che parte svolge in questo momento la critica letteraria? «Tende a cercare un'interpretazione politica delle opere letterarie. Anche quando a mio avviso non è il caso. E questo perché una cultura che si esprime in una lingua che non è quella delle proprie radici ha un problema di identità che solleva immediatamente questioni politiche. Seamus Heaney, per esempio, è stato molto criticato per non avere preso posizioni politiche decise, essendo nato nell'Irlanda del Nord, anche se è chiaro dalla sua opera che viene da una società contadina, è cattolico e in senso lato nazionalista. Io credo che bisognerebbe riflettere sul fatto che gli stessi Joyce e Beckett, in un momento in cui si interpretava tutto o in senso anglo-irlandese, o in senso nazionalista, hanno scelto di vivere lontano dall'Irlanda». E nel campo della storiografia, che cosa sta accadendo? «C'è un grande dibattito sul revisionismo, per cui ci si chiede se la Storia sia stata letta in modo troppo esplicitamente nazionalista, e se invece non si dovrebbe essere più critici. Molti irlandesi pensano che vi sia una via moderata alla soluzione del problema dell'Irlanda del Nord. E considerato che la violenza oggi è largamente rigettata, sorge il problema di definire quanto e quando, nel passato dell'Irlanda, l'uso della violenza sia stato legittimo. E anche questo è un giudizio sulla storia che non è storico, ma influenzato da problemi attuali». Dal punto di vista sociale, è ancora valida la vecchia immagine dell'Irlanda terra di benpensanti, moralisti e cattolici fondamentalisti? «Non credo. La vittoria del divorzio al referendum di qualche mese fa, a dispetto dell'opposizione della Chiesa, ha confermato che era in corso un cambiamento cominciato con la legittimazione della contraccezione artificiale e la legalizzazione dell'omosessualità, avvenuta tre anni fa. Bisogna ricordare che il 40 per cento della popolazione irlandese ha meno di 25 anni, e valori morali diversi da quelli di una volta. Anche se la maggioranza dei cattolici va a messa tutte le domeniche». Lei ritiene che la legge che esenta gli autori dal pagare le tasse sul lavoro creativo abbia contribuito in qualche modo a questo rilancio educativo? «So che quando è stata creata nel 1969, una delle speranze era che l'Irlanda diventasse una sorta di paradiso per gli artisti (anche gli stranieri ne possono beneficiare, a patto che vi risiedano sei mesi l'anno, ndr). E in fondo non è andata così. Anche se la legge è stata interpretata con molta larghezza, tanto che ne beneficiano anche gli storici come me, e gli autori di romanzi pornografici». Lei ha visto il film di Neil Jordan su Michael Collins? «No, qui non è ancora arrivato, ma ha già aperto un dibattito. Ci sono alcuni politici, soprattutto della vecchia guardia, che oggi chiedono scusa per la violenza della passata storia irlandese. D'altro canto l'Irlanda del Nord non sarebbe cambiata dal 1969 in poi senza una certa dose di violenza. La questione ora è cercare di capire se sia stata la violenza, la disobbedienza di massa, o l'alienazione, la cosa più decisiva. Io credo che un elemento della vitalità della letteratura irlandese, come nel caso di Seamus Heaney, venga dal fatto di essersi tenuta invece entro i propri termini di riferimento, in una prospettiva non politica dell'artista». Livia Manera