I sondaggi confermano i venti punti di vantaggio anche se lo sfidante ha ben impressionato A super-Clinton basta un pareggio

I sondaggi confermano i venti punti di vantaggio anche se lo sfidante ha ben impressionato I sondaggi confermano i venti punti di vantaggio anche se lo sfidante ha ben impressionato A super-Clinton basta un pareggio Nel dibattito in tv il presidente tiene testa a Dole Il protagonista dello scandalo dei viaggi tra il pubblico Mai inquadrato WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' stata una patta e quindi ha vinto Bill Clinton. Il primo dei due dibattiti presidenziali previsti, svoltosi domenica sera a Hartford, Connecticut, è stato più interessante del previsto e Bob Dole è stato più bravo di quanto molti si aspettavano, dando ad alcuni l'impressione di essere uscito vittorioso dal confronto. Ma la tattica sorniona di Clinton ha pagato: il Presidente, in netto vantaggio sul suo avversario, non ha cercato di vincere perché non aveva alcun bisogno di prendere rischi. E i sondaggi di ieri mattina hanno confermato che Dole non è riuscito a rovesciare le sorti di una campagna elettorale in cui continua a rimanere distaccato di 20 insormontabili punti. «Gli storici di questa campagna ricorderanno il dibattito di Hartford come quello che ha rimesso tutto in movimento», ha dichiarato Dole parlando subito dopo ai suoi sostenitori. Ma se è così, non lo si è ancora visto. Il tono del confronto è stato stabilito dalle dichiarazioni di due minuti pronunciate in apertura dai contendenti. Clinton ha optato per un tono rilassato, esprimendo subito il suo «rispetto» per Dole, e ha giocato essenzialmente tre carte: gli americani stanno meglio oggi di tre anni fa; durante la sua presidenza sono state fatte tante buone cose; le posizioni di Dole costituiscono una minaccia per i deboli, soprattutto vecchi e poveri. «Noi possiamo costruire quel ponte verso il 21° secolo - ha concluso - e io sono ansioso di discutere in dettaglio come faremo». Dole ha cercato soprattutto di «ripresentare» se stesso, adattandosi al ruolo dello sfidante in svantaggio che non reagisce con rabbia, ma, sforzandosi di sorridere, cerca di dimostrare di avere le qualità per guidare il I DUELLANTI IN TV ANEW YORK LLA fine tutta la grande sfida fra i due contendenti per la Casa Bianca si è ridotta, quanto a contenuti, a una tribuna politica in famiglia e per famiglia sull'affascinante tema: il bicchiere americano è mezzo pieno, come sostiene Clinton, oppure mezzo vuoto? In compenso abbiamo assistito a un grande rito americano, un evento che mostra e dimostra com'è fatta l'anima di questo Paese che ama le partite anche perché ha una passione quasi insana per le regole. Dunque, nessun colpo di scena. Bob Dole (lo sfidante cui tocca il compito di attaccare e atterrare l'avversario) non aveva l'asso nella manica ma soltanto la sua mano destra inerte per le sue antiche ferite di guerra: ma è stato egualmente un buon incontro che è servito all'America chiamata a raccolta davanti ai televisori per guardarsi in faccia e riconoscersi in quei due uomini così diversi. I contenuti sono stati semplici, anzi didascalici. Bob e Bill avrebbero potuto parlarsi attraverso una piccola serie di strips comiche, come quelle di Feiffer o di Doonesbury. Fra i due, Dole è molto più Charlie Brown di Bill Clinton, è l'omino con la faccia più facciosa, la stessa dell'America media e di mezza età avanzata, convinta che esista soltanto in questo mondo un frutto del giardino dell'Eden chiamato l'American dream. Dall'altra parte Bill: bravisimo ma senza sorprese. E' un uomo che sa cosa vuol comunicare e lo fa adoperando un repertorio ben temperato di sorrisi, maliziose finzioni che simulano la resa oppure la sicurezza anche quando non c'è. Bill usa cominciare una sua risposta nel corso di un dibattito con ghigno lievemente allusivo e obliquo, come per dire qui t'aspettavo; poi fa la sua dichiarazione d'apertura (ogni volta) cominciando con l'immancabile first of ali, prima di tutto. Ed estrae come una Colt della retorica gestuale il pollice dal pugno chiuso, lasciando intendere che a quel pollice numero uno seguiranno almeno altri quattro argomenti. Invece si ferma al first e passa ad altro. Bob si porta la mano sul cuore, decora con un sorriso fanciullesco qualche frazione di secondo di amnesia, chiude le frasi come un bambino felice di aver recitato l'intera poesia fino alla fine. E' commovente, e lo confermeranno tutti. Non è meccanico, è intossicato dall'addestramento, ha troppo colore sugli zigomi e sulla fronte, si vede che è anziano e che duella con un giovanottone tutta salute, naso, riso, esuberanza. Clinton ride di cuore alle battute, annuisce senza rendersene conto, riconosce nel vecchio eroe di guerra conservatore un vero americano e lo rispetta. Ciò detto, Clinton ha Paese. Per ricordargli di sorridere, era stato piazzato in prima fila un maestro di quest'arte, il senatore John McCain, incaricato di stare sempre a denti scintillanti nel ruolo del «gatto del Cheshire». Il candidato repubblicano ha rinunciato a sorprese o a colpi di teatro, convintosi alla fine che era più produttivo per lui mostrarsi rispettoso del Presidente. L'unica provocazione è stata quella di far sedere in prima fila l'ex-responsabile dell'ufficio-viaggi della Casa Bianca, Billy Dale, per il cui licenziamento Clinton è stato molto criticato. Un momento del dibattito televisivo tra il Presidente e il suo sfidante I rapporti di forza non sono cambiati dopo il grande match Ma le telecamere non lo hanno mai inquadrato. Per il resto Dole ha cercato di piazzare qualche attacco obliquo a Clinton, citando la parola «Whitewater» (con la pronta aggiunta: «Ma stasera non voglio parlare di questo») o alludendo indirettamente all'insincerità del suo avversario («Comprereste una promessa elettor~le da quest'uomo?»). Ogni volta che ha tirato una stilettata Dole ha però cercato di alleggerire il colpo con una battuta, per non dare l'impressione che stava tradendo la promessa di essere rispettoso verso il Presidente. E' stata una tattica ambigua e non particolarmente efficace nel ferire Clinton, che si è potuto permettere presidenzialmente di non reagire. Ma Dole non ha esagerato e non ha fatto serie gaffe. «Io sono un uomo di semplici parole - ha detto, nel tentativo di apparire più affidabile di Clinton pur essendo meno articolato di lui -. E ho imparato molto tempo fa che la parola data è l'obbligo più forte per ciascun individuo». «Io so chi sono, so da dove vengo e so dove voglio guidare l'America», ha aggiunto più tardi. Ma è dubbio che, dopo il dibattito, gli americani sappiano meglio chi sia Bob Dole e dove voglia portare l'America. Il punto su cui i due candidati sono riusciti più chiaramente a definire le loro differenze è stata la filosofia politica generale. «Io credo ha detto Clinton, rispondendo a una domanda del moderatore Jim Leher - che il governo federale dovrebbe dare alla gente gli strumenti e cercare di stabilire le condizioni per cui ciascuno possa vivere al meglio la propria vita». «Io penso - gli ha risposto Dole - che la principale differenza tra noi è che io ho fiducia nella gente, mentre il Presidente ha fiducia nel governo». E' stato Dole quello che è riuscito a pronunciare le uniche battute che hanno fatto ridere il pubblico, come quando gli è stato chiesto se gli americani stiano meglio oggi di quattro anni fa e lui ha risposto, indicando Clinton: «Lui sì che sta certamente meglio di quattro anni fa». E' rimasta invece sospesa per aria la battuta finale del dibattito pronunciata da Dole che, forse nel tentativo di apparire moderno, ha concluso recitando il suo indirizzo su Internet. Evidentemente sollevato perché tutto era finito senza danni per lui, Clinton non lo ha quasi lasciato finire e si è precipitato verso Dole per stringergli la mano. Paulo Passarmi

Luoghi citati: America, Connecticut, Hartford, Washington