La proposta di Visco divide i sindaci. Illy: lo Stato con noi è già in mora «Nessun giro di vite sull'lci»

La proposta di Visco divide i sindaci. Illy: lo Stato con noi è già in mora La proposta di Visco divide i sindaci. Illy: lo Stato con noi è già in mora «Nessun giro di vile sull'lci» Dai Comuni un coro di no F =1 Parigi e Bonn temono Vltalia dei sorci verdi Pensionati baby e pensionati che non si rassegnano ad andare in pensione, due problemi molto italiani. Sul primo infuria il dibattito e rischia di inciamparvi il presidente del consiglio Romano Prodi. Il secondo, più sotterraneo, non è meno complesso. Prendiamo l'Assolombarda, dove il presidente Ennio Presutti finirà a giugno il suo secondo mandato, e dove la battaglia per la successione è cominciata. La stella del presidente di Abb Italia, Umberto Di Capua, uno dei candidati in pole position, sembra offuscata. Rimane in corsa il presidente della Piccola Industria Riccardo Protti, ma pochi scommettono sulle sue chances. Fatta fuori la prima fila, si aspetta la seconda, e non è detto che anche questa Ennio Presutti prepararsi ad una lunga battaglia anche legale. Corrado Sforza Fogliani, presidente della Confedilizia e avvocato, è pronto con la carta bollata: «Gli estimi sono illegittimi - denuncia - lo sancì una sentenza del Consiglio di Stato nel '92. Il governo Andreotti provò ad aggirare l'ostacolo recependoli per legge, ma impugnammo la legge davanti alla Corte Costituzionale. La Corte sostenne che non erano corretti, ma erano costituzionalmente inattaccabili perché provvisori. In realtà, i nuovi estimi nella migliore delle ipotesi entreranno in vigore nel Duemila. Dunque, se il governo andrà avanti, solleveremo la questione di costituzionalità e riprenderemo i giudizi pendenti». La grande battaglia della Confedilizia contro il governo è anche una battaglia contro i Comuni. «L'Ici flessibile - ha affermato Sforza Fogliani - va bene, ma a patto che i Comuni non ne facciano uno scempio e, soprattutto, una fonte di nuove entrate». ROMA. Se il governo andrà avanti sulla proposta di aumentare le aliquote per eliminare l'aumento degli estimi catastali dalla Finanziaria, lo farà senza il consenso dei sindaci d'Italia. Ieri i primi cittadini della Penisola si sono riuniti a Venezia e hanno bocciato senza mezzi termini le indiscrezioni di due giorni fa che ventilavano un aumento di un punto dell'Ici, dal 6 al 7 per mille. «Governo e Parlamento - ha affermato il sindaco di Trieste, Riccardo Illy - devono prendersi le loro responsabilità e non possono prima tagliare sui trasferimenti ai Comuni, e poi proporre un aumento dei tributi locali. Non abbiamo voluto noi l'aumento degli estimi catastali». Fondamentale per i sindaci è che questa Finanziaria lasci invariato il saldo esistente tra trasferimenti erariali e le uscite previste dei Comuni: «Attualmente - ha spiegato il sindaco di Bologna, Walter Vitali - il saldo è di meno 1600 miliardi. Noi non vogliamo né una lira di più, né una lira di meno, ma questo saldo va assolutamente mantenuto. Se il governo e il Parlamento decidono di tagliare - ha aggiunto - devono garantire una compensazione delle minori entrate, e non spacciare per maggiore autonomia concessa ai Comuni un'inaccettabile aumento della pressione fiscale sulla casa che dovrebbero decidere i sindaci». Il sindaco di Napoli, Antonio Bassolino, ha auspicato che già dal '97 i Comuni possano godere di una riforma del catasto ed avere la massima libertà di gestire l'Ici e di applicarla «eliminando tutte quelle ingiustizie» che attualmente crea. «C'è una parte condivisibile nella dichiarazione di Visco - è stato il commento di Francesco Rutelli - è quello che i sindaci chiedono ormai da anni, ovvero di dare flessibilità all'Ici, così da sostenere, anziché deprimere, le politiche sulla casa». Secondo Rutelli risulta, invece, «incomprensibile e certamente non condivisibile» l'intento di «trasformare gli incrementi degli estimi in incrementi delle aliquote», perché, spiega il sindaco di Roma, «significherebbe mantenere identica la pressione sulla casa, ma rappresenterebbe semplicemente uno scarica-barile, nei confronti dei Comuni, che già subiscono un pesante taglio nei trasferimenti, l'incremento nazionale del contratto dei dipendenti e aggravi di natura previdenziale di altri 600 miliardi, e che stanno facendo seriamente la loro parte di risanamento dei bilanci. Immagino che chi ha dato un assenso ad un'ipotesi del genere non abbia riflettuto su questi aspetti». Il sindaco di Roma ha concluso ricordando «l'impegno del governo a non accrescere i tagli già pesantissimi verso gli enti locali: se l'impegno non fosse mantenuto i sindaci non potranno che scendere in piazza». In quel caso, è molto probabile che accanto ai sindaci scenderebbero in piazza anche tutti i proprietari di casa, in un «home-day» esteso all'intera Penisola. Ed è probabile che il governo dovrà Flavia Amabile CESSIONI 1 MERCATI SMILANO ARA' soltanto del 9% (contro il 15% della prima franche che aveva fruttato 6300 miliardi al Tesoro), la seconda offerta per la privatizzazione Eni. L'annuncio che compare oggi sui quotidiani parla infatti di un ammontare globale di 700 milioni di azioni ordinarie. Al suo interno, l'offerta, globale conterrà un'offerta pubblica di vendita ai risparmiatori di almeno 250 milioni di azioni (l'offerta globale include infatti anche quote che saranno proposte invece ad investitori istituzionali). Le azioni potranno presentare uno sconto rispetto al prezzo di mercato. Il Tesoro si è riservato una quota per un'eventuale aumento dell'offerta (Green Shoe) pari al 15% dell'offerta globale e cioè a 105 milioni di azioni. Il prezzo massimo di offerta delle azioni e l'inizio della vera e propria vendita si conosceranno il 21 ottobre; l'offerta pubblica si chiuderà il 25 ottobre e il giorno successivo si conosceranno i prezzi. L'ultima quotazione di Borsa sulle azioni della società petrolifera pubblica, venerdì scorso, è stata di 7347 lire, in calo rispetto ai massimi dei giorni precedenti, ma sempre molto superiore al prezzo del primo collocamento (5250 lire). La seconda tranche di azioni che il Tesoro mette in vendita, ricordando che si tratta comunque «della più grande privatizzazione d'Europa», è di importo nettamente più basso rispetto al primo collo- NOMI E GLI AFFA IL BALLO DEL [Quanta lei si pagherà in più se non sarà modificata la Finanziaria] & Appartamento con una rendita catastale di L. 2.000.000; aumento del 10% = L. 200.000 1 Nuova rendita L. 2.200.000 - Valore fabbricato = L. 220.000.000 COMUNE PRIMA DOPO DIFFERENZA MILANO 1.000.000 1.100.000 100.000 TORINO 1.200.000 1.320.000 120.000 GENOVA 1.240.000 1.364.000 124.000 BOLOGNA 1.200.000 1.320.000 120.000 | FIRENZE 1.200.000 1.320.000 120.000 ROMA 1.040.000 1.144.000 104.000 NAPOLI 1.200.000 1.320.000 120.000 : PALERMO 1.020.000 1.122.000 102.000 Abitazione principal con rendita catastale di L. 2.500.000; aumento del 10% = L. 250.000 Nuova rendita L. 2.750.000 - Valore fabbricato = L. 275.000.000 COMUNE PRIMA DOPO DIFFERENZA MILANO 1.070.000 1.194.000 124.000 I TORINO 1.320.000 1.470.000 150.000 GENOVA 1.370.000 1.524.000 154.000 BOLOGNA 1.245.000 1.387.000 142.000 FIRENZE 1.270.000 1.414.000 144.000 | ROMA 1.120.000 1.250.000 130.000 NAPOLI 1.320.000 1.470.000 150.000 | Il presidente della Confedilizia Corrado Sforza Fogliani lancia l'allarme sulla pressione del fisco sulla casa OLTRE LA URA MATTONE A esibizione della più severa inflessibilità nella valutazione dei requisiti dell'Italia per la partecipazione all'unione monetaria è il cardine dell'azione di marketing con la quale tutti gli altri governi devono promuovere, all'interno dei rispettivi Paesi, sia la conversione della moneta in euro, sia soprattutto le preventive manovre di aggiustamento dei conti pubblici. Le ricorrenti polemiche francesi, tedesche ed anche spagnole sulla idoneità, o sulla dignità, dell'Italia a parteciparvi sono dunque strumentali, in primo luogo, a ragioni di politica interna che, per altro, sono anche abbastanza evidenti. Cominciamo dalla Francia che, in queste polemiche, sfodera metodi tanto grossolani da costituire un torlo verso le sue stesse tradizioni e la sua stessa cultura. La Francia è sfiancata da una politica nazionale - quella attuale di Chirac non differisce da quella degli anni mitterrandiani - che ha due obiettivi strategici strettamente correlati tra loro: vincolare la Germania all'interno di mia Europa quanto più possibile integrata, ed evitare che nella conduzione di questa Europa integrata la Germania possa acquisire, di diritto o di fatto, un qualsiasi esclusivo primato. Ogni aspetto economico o monetario, rispetto a queste finalità eminentemente politiche, costituisce un obiettivo intermedio o, comunque, subordinato. Ed è un obiettivo intermedio e strumentale la stessa difesa della parità tra franco e marco che è l'emblema, appunto, della natura franco-tedesca di un processo che, altrimenti, acquisirebbe inevitabilmente connotazioni pangermaniche. Ma la parità tra franco e marco non risponde alla realtà del rapporto col quale il sistema economico francese si pone rispetto a quello tedesco. Malgrado il sostegno fornito dallo Stato all'industria nazionale - si va dalle agevolazioni per gli insediamenti stranieri al consistente supporto governativo alle attività di esportazione l'apparato produttivo francese fatica a sostenere un cambio chiaramente sopravvalutato. Questa sopravvalutazione emerge e colpisce non tanto nei confronti dell'industria tedesca, la quale ha ben altri punti di forza che l'affrancano dalla competitività di prezzo, quanto rispetto alla Spagna e soprattutto all'Italia, Paesi che hanno sistemi produttivi più simili a quello francese e le cui monete, nel tempo, hanno adeguato (talvolta con ben note esagerazioni) il rapporto di cambio col marco. Di qui le ricorrenti accuse francesi, in particolare all'Italia, di aver acquisito competitività rispetto alla Francia attraverso «improprie» svalutazioni. Il gioco, talvolta condotto smaccatamente, ha tre finalità. Tende in primo luogo ad ottenere che l'eventuale rientro nello Sme della lira avvenga al cambio il più possibile I sfavorevole per la competitività I delle esportazioni italiane (tanto più in quanto questo livello di cambio è destinato ad essere pietrificato nel rapporto di sostituzione della lira con l'euro). Tonde, inoltre, a mascherare la sopravvalutazione del franco con una presunta sottovalutazione di altre monete e della lira in particolare. Tende infine a scaricare su altri Paesi l'insofferenza per lo stress al quale il sistema produttivo francese è sottoposto a motivo della politica seguita dal governo. Non è un caso che queste polemiche vengano agitate di fronte a platee di agricoltori o di imprenditori di comparti industriali a bassa tecnologia, per essere poi regolarmente ricomposte - come la settimana scorsa a Napoli - per discrete vie diplomatiche delle quali la stampa francese non dà neppure notizia. Per la Germania è la stessa cosa. Il governo ha l'esigenza di convincere i tedeschi che la moneta che nascerà sarà forte ed affidabile quanto il marco; e questa convinzione deve alimentare continuamente per evitare fughe di capitale verso monete che non corrono il rischio di imparentarsi con la lira. Inoltre, col rappresentare l'Italia come un esempio negativo, rafforza la giustificazione dei provvedimenti volti a mantenere o a ripristinare l'equilibrio dei conti pubblici. Come tutte le buone operazioni di marketing, anche queste impostate sull'Italia non si basano sulla realtà vera, ma su quella presunta, ossia sull'immagine che l'Italia si è fatta negli anni di dissennatezza finanziaria e di tracolli valutari. La realtà di oggi è molto diversa: è fatta da un surplus primario dei conti pubblici che gli altri neppure si sognano, ed è fatta da un cambio che, anche ora col marco attorno alle mille lire, ha una consistente forza di riserva nell'ampio avanzo di parte corrente della bilancia con l'estero. Ma l'Italia non fa marketing. Ai tedeschi non fa sapere che il suo bilancio pubblico è migliore del loro, a parte la spesa per mteressi per abbattere la quale basterebbe che il debito venisse denominato in euro anziché in lire. Ed ai francesi non replica che i loro problemi derivano da un franco sopravvalutato in rapporto al potenziale di esportazione che la loro industria sa produrre. Alle iniziative altrui reagisce offesa, come se si trattasse di questioni di bon tori, o, all'opposto, con battute come quella sui «sorci verdi», finendo per alimentare l'immagine di un Paese più incline alle scorrerie anziché ad un serio e sistematico confronto. 1.194.000