Afghanistan, ma senza rifornimenti non potrà resistere a lungo Massud attacca i taleban
Afghanistan, ma senza rifornimenti non potrà resistere a lungo Afghanistan, ma senza rifornimenti non potrà resistere a lungo Massud attacca i taleban La zampata del «Leone» assediato MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Lo chiamarono il «leone del Panshir» perché nella sua tana i russi non riuscirono a entrarci mai, nei nove anni di guerra in terra afghana. E adesso Ahmed Shali Massud si ritrova di nuovo trincerato nella stretta valle che s'inerpica da poco lontano Kabul verso le vette scintillanti del Pamir, verso il più affollato crocicchio di confini che esista al mondo. Lassù, dove nessuno salvo pastori e nomadi è mai andato a piantare paletti, s'mcrociano Afghanistan e Cina, Pakistan e Tagikistan e India. Ed è logico che fin lassù si dilatino gl'interessi della vicina Russia, che era contigua quando ancora si chiamava Unione Sovietica, e quelli della ora onnipresente - perché rimasta l'unica superpotenza - America. Già questo dice quanto la partita in cui Massud è giocatore primario sia importante. I taleban, nuova versione dei «pasdaran», ma ancora più intransigenti, fondamentalisti, antimodernisti, hanno conquistato quasi tutto il Paese. E adesso stanno cercando di risalire la valle del Panshir per liquidare proprio Ahmed Shah, l'ex ministro di Rabbani. Resta solo lui - e sull'altro versante Nord il generale Rashid Dostum - a fare da barriera ai taleban, dopodiché dilagheranno fino ai confini del Tagikistan islamico, dell'Uzbekistan e poi del Kazakistan, islamici anche loro, ma all'acqua di rose. E per questo terrorizzati dalla prospettiva di essere contagiati dall'intolleranza. Adesso, tra sabato e domenica, i taleban sono arrivati all'imbocco del santuario di Massud. Lungo i tornanti strettissimi della strada sono ammassati quasi ventimila uomini deli'ex governo di Kabul, la cui spina dorsale è rappresentata dai cinquemila tagiki del tagiko Massud. I taleban si sono fermati all'entrata della valle. Anche perché l'unico ponte per accedervi è stato fatto saltare. Ieri stavano ancora costruendone uno nuovo, quando Massud ha scatenato dall'alto la sua offensiva. «Il nemico è sceso su di noi», ha dichiarato il comandante dei taleban Abdul Satar. Ma, a quanto pa¬ Ahmed Shah Massud, chiamato il Leone del Panshir perché l'Armata Rossa in nove anni di guerra in Afghanistan non è mai riuscita ad entrare nella sua tana re, dopo essere «sceso» è anche risalito. Nelle attuali condizioni Ahmed Shah Massud non può uscire dal suo fortilizio. Se si avventurasse in pianura i taleban lo cancellerebbero. Massud ripete dunque, per ora, l'esperienza vittoriosa con i sovietici: guerra partigiana fatta d'imboscate, di uscite rapide e sanguinose seguite da repentine ritirate. Con una differenza sostanziale, però: che quando c'erano i sovietici i rifornimenti arrivavano massici, generosi, dal Pakistan e, tramite il Pakistan, dagli Stati Uniti e dall'Arabia Saudita, che pagava la quota maggiore del conto. Adesso gli sponsor più ricchi hanno scelto i taleban e Massud deve risolvere il problema di chi gli assicurerà i rifornimenti. Sulla piazza ci sono soltanto i cocci dell'ex nemico comunista, che non sono né cosi ricchi, né così liberi di agire. Anche loro devono scegliere se lasciare Massud affondare o se aiutarlo. Ad Alma Ata, per ora, le quattro Repubbliche ex sovietiche e la Russia hanno deciso che difenderanno la frontiera tagika. Ma non è sufficiente e lo sanno benissimo. Il presidente kirghizo Akaev ha detto che non vuole grane: niente aiuti a Massud. Se la vedano tra afghani. Islam Karimov, presidente uzbeko, ha spinto perché le anni vadano all'uzbeko afghano Rashid Dostum, che difende il Nord. Una decisione urge al più presto. Le truppe dei taleban sono ammassate non solo all'imbocco del Panshir, ma anche attorno al valico di Salang, dove Dostum vigila fin che può. L'ultima notizia dice che Dostum e Massud hanno già siglato un patto di aiuto reciproco che consente il movimento delle truppe del «leone» nelle cinque Repubbliche a Nord dell'Hindu Kush. Seul: una montatura
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