Apprensione nello staff di Clinton anche se il presidente resta in forte vantaggio nei sondaggi Il grande match tv Dole ha una sorpresa

Apprensione nello staff di Clinton anche se il presidente resta in forte vantaggio nei sondaggi Apprensione nello staff di Clinton anche se il presidente resta in forte vantaggio nei sondaggi Il grande match tv, Dole ha una sorpresa Potrebbe lanciare Powell come segretario di Stato campagna elettorale che, in realtà, non è mai partita davvero. Sono corse voci diverse. Giovedì scorso c'era stato un incontro riservato tra Dole e il generale Colin Powell e questo ha indotto a pensare che il gesto spettacolare sarebbe stato l'annuncio ufficiale di un incarico per Powell, come Segretario di Stato, nella «futura» amministrazione Dole. Lo staff di Dole, non si è capito se per pretattica o per un residuo di candore, non ha smentito. Ma si è saputo anche che per giorni Dole, a dispetto della sua promessa di non ricorrere ad attacchi personali, aveva accarezzato l'idea di piazzare in platea, davanti a Clinton, qualche personaggio per lui imbarazzante. Non Paula Jones o Gennifer Flowers, non fino a questo punto. Ma magari Billy Dale, il funzionario dell'ufficio viaggi del- : 2S£* ** Sopra Colin Powell e a fianco il candidato repubblicano Robert Dole con l'ex presidente Bush. Sotto Clinton che è nettamente in vantaggio nei sondaggi la Casa Bianca licenziato dai Clinton in un atto di clientelismo. Nel campo di Dole, mentre il candidato si riempiva la testa di dati e cifre, allenandosi anche a snocciolarle con un accattivante sorriso (cosa per lui particolarmente complicata), i generali della campagna avevano dato l'ordine di sospendere ogni altra decisione che non riguardasse il dibattito. Erano state sospese le decisioni su quali spot pubblicitari far mandare in onda nei prossimi giorni, come quelle su quali Stati privilegiare nelle settimane finali della battaglia. Tutto dipendeva dall'esito del dibattito, la prima reale possibilità per Dole di apparire sullo stesso piano di Clinton, alla pari, davanti a 90 milioni di americani che lo erano stati finora poco a sentire. Ma anche i più ottimisti tra i collaboratori di Dole non riu¬ scivano a cancellare dalla propria testa una domanda inquietante. «Io penso - ha dichiarato ieri uno di loro al "New York Times " - che Dole farà meglio di quanto molti si aspettano. Ma può bastare?». Spesso i dibattiti presidenziali sono stati occasioni di «gaffe» rovinose o di decolli inaspettati. Ma gli storici della politica americana sono in maggioranza piuttosto scettici sulla reale rilevanza dei dibattiti ai fini del risultato finale. Normalmente, a questo punto della campagna, una gran parte degli americani che andranno a votare ha già fatto una scelta. E' così anche questa volta: due terzi degli elettori dicono di avere già deciso. Inoltre, anche per effetto della concorrenza dei «play-off» di baseball, si prevedeva per ieri sera un pubblico ridotto di almeno un terzo rispetto a quattro anni fa. Brutte notizie per Dole, che alla vigilia si era fatto offrire consigli anche da George Bush, uno che il confronto con Clinton lo ha perso. Tensioni della vigilia e pronostici a parte, non c'era grande attesa per i contenuti dello scontro. I grandi temi (non solo la politica estera, ma anche la riforma dello Stato sociale) sono fuori dalla campagna. Clinton si copre dietro i buoni numeri dell'economia e pavimenta il suo luccicante «ponte verso il futuro» con un mosaico di proposte minimaliste. Dole, per attrarre voti, è costretto a promettere quei tagli fiscali contro iquali si è battuto tutta la vita. La politica americana sembra andare verso il nuovo millennio un po' col pilota automatico, un po' in stato di sonnambulismo. Paolo Passarmi TUTTI I DUELLI IN TV I960 KENNEDY-NIXO E' il classico cui si fa riferimento: perché fu il primo, ma anche perché segnò la consacrazione ufficiale della tv come elemento determinante. All'indomani, 2 telespettatori su 3 dissero di preferire Kennedy a Nixon. I radioascoltatori invece si divisero a metà. Non avevano visto il sopracciglio di Kennedy che «commentava» ciò che Nixon diceva e la faccia sudata di Nixon. Poi lo stesso Kennedy disse pubblicamente che la sua vittoria (per soli 112.000 voti) era venuta «nient'altro che dalla tv». '80 CARTER-REAGAN Nel tentativo di essere spiritoso, Carter gettò i suoi nella costernazione dicendo che consultava la figlia quindicenne in politica estera. Ma il suo destino era comunque segnato dal pessimo andamento dell'economia. Reagan, lanciatissimo nel suo ruolo di «grande comunicatore», a un certo punto piantò gli occhi sulle telecamere e chiese a coloro che guardavano da casa: «State meglio oggi o quattro anni fa?», che poi finì in tutti gli spot elettorali dei repubblicani. Reagan non ha mai ringraziato la tv. '84 MONDALE-REAGAN Di fronte ai «trionfi» reaganiani, i democratici avevano una sola carta da giocare: quella dell'età avanzata del Presidente, mentre il loro candidato, Walter Mondale, aveva gli anni che oggi ha Bill Clinton. Nel dibattito televisivo però gli «speechwriters» repubblicani sfoderarono una trovata geniale. «Non approfitterò dell'inesperienza del mio giovane rivale», disse a un certo punto Reagan. La risata che seguì coinvolse tutti i presenti, compreso Mondale, e dell'età di Reagan non si parlò più. ON '76 CARTER-FORD Viene ricordato soprattutto per la gaffe di Gerald Ford, che preso dallo stress si confuse e a un certo punto se ne uscì con un «non c'è dominio sovietico nell'Europa dell'Est». Poi cercò di correggersi, disse che era stato capito male, ma la frittata ormai era fatta. Il «ritorno» che stava avendo nei sondaggi si fermò di colpo e nei giorni successivi il consenso del pubblico continuò a scendere. Alla fine Jimmy Carter vinse l'elezione, anche lui con un margine di voti molto stretto. Più tardi fu abbastanza onesto da ammettere che «se non fosse stato per la televisione avrei sicuramente perso». '92 BUSH-CLINTON Il primo dibattito a tre, con l'inserimento dell'indipendente Perot, è ricordato come il più noioso, con i candidati «veri», Bush e Clinton, tanto guardinghi e timorosi di sbagliare da non dire praticamente nulla e con il «terzo incomodo» che sbraitava nel suo accento texano. Ma a un certo punto ecco un gesto di Bush - una furtiva occhiata all'orologio - che ha la ventura di portare alla mente di tutti il «tormentone» della campagna democratica: «Che ora è?», «E' ora che Bush se ne vada». Bush non ha perso per quello, ma nella «storia» dei dibattiti tv tutti lo ricordano come un gesto simbolico.

Luoghi citati: Europa Dell'est