«Liberismo e diritti umani» di Michele Serra
«Liberismo e diritti umani» «Liberismo e diritti umani» CARO Guzzanti, conto sul l'atto che questa mia risposta a una tua replica a un mio corsivo su un tuo reportage dal Messico non entri a far parte (come tecnicamente meriterebbe) del rococò giornalistico. La materia in questione è infatti così densa e interessante almeno per me - che forse può farsi sopportare dai lettori. Brevissimo riassunto: hai scritto su La Stampa un lungo articolo sul Chiapas rimproverando agli intellettuali sostenitori del famoso Marcos e dei suoi indios una sorta di «posa» antimoderna, il mito del buon selvaggio contro la cattiva tecnocrazia capitalista. Ti ho fatto notare, su l'Unità, che non sempre l'arrivo dei bulldozer, specie nei Paesi poveri, coincide con una altrettanto doviziosa distribuzione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo ciclostilata e magari tradotta nei dialetti nativi; e che anzi spesso i bulldozer lavorano *r meglio (per esem- .',7 H v pio m Àmazzoma) \ se chi ha la sventura di incappare nei loro cingoli è digiuno di diritti. Ieri, infine, mi rispondi su questo giornale che «non c'è alcuna (buona) relazione tra tiranni e liberisti, mentre ce n'è una formidabile tra bulldozer e diritti umani». Che, insomma, esiste una stretta correlazione tra «la radice occidentale e liberista che ha fabbricato macchine» e il radicamento diffuso della cultura dei diritti. Forse, per capirci meglio e soprattutto per capire meglio, si dovrebbe provare ad uscire, intanto, dalle rispettive caricature: di dibattiti piuttosto stucchevoli tra «antimodernisti» accusati di odiare la lavastoviglie e Internet e «modernisti» sospettati di idolatria dei consumi ce n'è appena uno, in Italia, a proposito di un libro di Bruno Pischedda. L'ho trovato rozzo e sgradevole (il dibattito, non il libro) appunto perché disegnava figure intellettuali inesistenti: come se ancora l'ossero davvero in campo una specie di neopasolinismo romantico, piagnone e luddista, che attribuisce alla tecnologia poteri di possessione delle anime, contrapposto a una specie di «fronte ampio» neopositivista che affida al Progresso, come Carducci nell'Ode a Satana, ogni speranza di redenzione. E' così? Oppure le carte sono già state rimescolate piii e più volte? Galli Della Loggia (che non mi pare un nipotino di *r v «Sviluppo del mercato non significa sempre sfruttamento, ma nemmeno garanzia del rispetto degli uomini» Manifesto rivoluzionario del Chiapas In alto: Michele Serra Rousseau - tantomeno di Mara) delineava giorni fa sul Corriere l'imminente grande scontro planetario tra un capitalismo, diciamo cosi, politically correct, penalizzato proprio da quella coincidenza tra liberismo economico e cultura dei diritti che tu consideri (io un po' meno) quasi «naturale» e congenita, e un capitalismo illiberale, che prospera in Asia e proprio sull'assenza di libertà individuali (e sindacali) fonda il suo smisurato vantaggio. Liberismo e liberalismo evidentemente - non sono sinonimi, se la Cina comunista, che impicca e fucila gli oppositori e massacra i tibetani, ha potuto sposare l'economia liberista. E poi: non sarà che la benvenuta soma di diritti e il rispetto dei più svantaggiati (a partire dal Welfare) che il capitalismo occidentale si porta appresso, oltre che dalle virtù interne del famoso mercato, dipende da quel tanto o poco di socialismo che ha at¬ traversato l'Europa, e perfino gli Usa ai tempi del New Deal? Ancora: com'è che i tanti comforts politici e libéralissimi di cui le società di mercato godono al loro interno, diventano davvero un optional quando la potenza dell'economia di mercato sbarca per esempio in America Latina o in Africa o in Asia, dove a produrre le nostre belle scarpe da footing sono spesso bambinischiavi di cinque anni a costo quasi zero, come nell'Inghilterra del primo Ottocento descritta da Engels? E com'è che gli orridi taleban che vogliono mettere fuori legge la sacrilega televisione sono stati foraggiati dagli Stati Uniti, era forse disattenta, in quel momento, la lobby degli elettrodomestici? Non sarà che i vantaggi di cui godiamo (e non parlo di scarpe, parlo di libertà) hanno un controprezzo che altri, lontano da noi, pagano volenti o nolenti, perché la fame non permette troppe chiacchiere? Se almeno una di queste domande è utile a generare qualche dubbio, quello che ti propongo è di sciogliere insieme i vincoli con i reciproci, supposti pregiudizi: i bulldozer non c'entrano niente con i diritti umani, né in un senso né nell'altro. Perché non è vero che lo sviluppo dell'economia e del mercato, in sé, significa sfruttamento o genocidio; ma non è vero neppure che lo sviluppo dell'economia e del mercato, in sé, garantisce libertà e rispetto degli uomini. Tu scrivi che «sviluppo» e «Terzo Mondo» sono oramai parole che non significano alcunché. Bene, anche «mercato», allora, è una di queste parole. Il mercato non esiste, esistono solo gli uomini che lo abitano e al suo interno agiscono. E se alcuni di costoro, per sete di profitto (se preferisci una definizione post-ideologica: per fare più quattrini, e più in fretta) fanno assassinare Chico Mendez o deportano gli Indios, dobbiamo abituarci all'idea che qualcuno, e ■perfino i famigerati intellettuali dall'animo esulcerato, si alzi in piedi e lo faccia notare. Quello che possiamo fare, magari, è spostare un po' più in avanti l'inevitabile «dibbbattito»: farlo sortire dalle paludi della pittoresca rissa tra modernisti e antimodernisti, e cercare insieme, ognuno come può, di desiderare per tutti una modernità un po' più decente. Michele Serra
Persone citate: Bruno Pischedda, Carducci, Chico Mendez, Engels, Galli Della Loggia, Guzzanti, Michele Serra, Rousseau
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