«Palestinesi è il venerdì della vendetta» di Giuseppe Zaccaria

«Palestinesi, è il venerdì della vendetta» «Palestinesi, è il venerdì della vendetta» Hamas chiede il «confronto totale» all'uscita dalle moschee premier ha anche specificato che il vertice di Washington si è concluso «senza vincitori nè vinti». A Hebron i giovani sfilano mascherati e danno fuoco a bandiere americane, a Nablus volano altri sassi: e sullo sterminato barile di esplosivo dei Territori ieri ha cominciato a brillare la miccia di un appello alla guerra. Il proclama ordina «confronti totali», invita l'«eroico popolo» di Palestina ad organizzare oggi, dopo le preghiere, marce e dimostrazioni «contro le forze dell'occupazione sionista e le sue mandrie di coloni». La firma è di Hamas, il movimento di resistenza islamica responsabile, fra il febbraio ed il marzo scorsi, dell'ultima serie di attentati terroristici fra Gerusalemme, Ashkelon e Tel Aviv. Giunge dal Libano l'invito alla rivolta, e questo lascia una tenue speranza sul fatto che a Gaza come nella West Bank i dirigenti locali del movimento riescano a contenere le violenze, ma l'ottimismo può dimorare solo in questo misero spazio. Hamas preme perché le dimostrazioni di oggi esprimano «la continuazione dell'Intifada di Al Aqsa, fino a quando per la santa moschea resterà in vita la sinistra minaccia del tunnel e continuerà il crimine della giudaizzazione e degli insediamenti». Arafat è ancora all'estero, quasi a sottolineare distacco da quel che potrebbe avvenire oggi. In tutti i «settlement» i coloni preparano difese, oliano le armi, mettono a punto i sistemi di comunicazione. Ieri l'agenzia «Reuter» ha inviato dal- l'insediamento di Pagot un racconto pesantemente censurato dall'autorità militare, israeliana. Pinchas Wallenstein, leader di quasi 130 mila coloni, dichiara che «l'esser pronto al peggio fa parte del mio lavoro», mostra un bunker attrezzato per le comunicazioni. Telefoni, computer, collegamenti via satellite con le auto della comunità. I preparativi per una guerra. L'esercito di Israele ha organizzato una delle più massicce operazioni preventive nella storia del Paese, con impiego di carri armati, elicotteri, unità speciali pronte all'impiego. Formalmente, si conta ancora sulla collaborazione della polizia palestinese, ma sul campo molti militari, come il generale Uzi Dayan, avvertono che la sofferta con¬ Rompe il silenzio il gruppo islamico autore dell'ultima catena di attentati «Marciate contro le forze d'occupazione sioniste e le loro mandrie di coloni» Negli insediamenti si riempiono migliaia di sacchi di sabbia per proteggere le abitazioni Arafat è all'estero, quasi a sottolineare il distacco da quanto potrebbe accadere vivenza degli ultimi mesi ha subito una «frattura fondamentale». In alcuni casi, dice, la polizia palestinese ha preso parte alle rivolte, e fino a quando non sarà fatta chiarezza su questo punto l'intero piano di cooperazione rischia di crollare. Ieri mattina, in una delle aree più calde del Paese, anche l'antica collaborazione fra due sindaci di buona volontà ha dovuto interrompersi. Qalqiliyah è una città palestinese di 45 mila abitanti, a dodici km da Tel Aviv, che sorge a ridosso della «linea verde», limite dei Territori. Al di qua del confine c'è KfarSaba, governata da una maggioranza laborista. Città vicine, afflitte da identici problemi: le zanzare che, almeno loro, non' si dividono fra arabe ed israeliane; una discarica così sterminata dall'aver dato ori- gine ad una collina; i rifornimenti d'acqua. «Fino a pochi giorni fa - raccontava Mahrouf Zahran, il sindaco palestinese - i contatti erano quotidiani, il lavoro comune. Sulle questioni concrete si marciava in buon accordo: adesso i tre accessi al territorio israeliano sono chiusi, i check-point si sono moltiplicati. All'inizio dell'anno c'erano almeno seimila persone che lavoravano in Israele, poi le restrizioni le hanno ridotte a trecento. Oggi non esce nessuno. Ed anche la strada per Nablus è bloccata. Siamo tagliati fuori dal mondo». Al telefono anche Itzak Wald, sindaco progressista di Kfar-Saba, parrebbe dispiaciuto. «Per anni, lavorando assieme, siamo riusciti anche a contenere le spinte dei coloni. Qui vicino sorgono due insediamenti, Alfe Menachè e Tsofim, e soprattutto nel primo gli estremisti non si contano. Adesso però i contatti devono essere interrotti. Sono davvero dispiaciuto, ma non è possibile fare altrimenti dopo che quindici dei nostri ragazzi sono stati uccisi». I quindici cui Wald si riferisce sono i soldati israeliani morti negli scontri dell'ultima settimana. Neanche un cenno alle settanta vittime palestinesi. L'altro ieri, Wald e Zahran si sono incontrani all'ultimo check-point, uno al di qua della linea, l'altro al di là. Si sono stretti la mano come a dirsi reciprocamente «buona fortuna». In alto, sulla stenninata collina dei rifiuti, si stagliavano le sagome dei carri armati. Giuseppe Zaccaria Hebron: una bimba piange tra due soldati dopo l'arresto del fratello che lanciava pietre. A sinistra l'arrivo in Israele da Washington di Netanyahu e della moglie

Persone citate: Arafat, Itzak Wald, Netanyahu, Pagot, Uzi Dayan, Wald, Wallenstein