In Estremo Oriente: costi stracciati e mercati immensi, l'industria gioca l'ultima carta di Gad Lerner

In Estremo Oriente: costi stracciati e mercati immensi, l'industria gioca l'ultima carta In Estremo Oriente: costi stracciati e mercati immensi, l'industria gioca l'ultima carta Ogni volta che lascia la bella casa di campagna dove coltiva delle pesche grosse tre etti l'una, per raggiungere il suo ufficio di Foshan il dottor Mario Garzella impiega precisamente 25 ore. E altrettante gliene occorrono a fine settimana per tornare a Pontedera. Fanno 50 ore di viaggio tutti i mesi con l'obiettivo che prima del Duemila una buona percentuale del popolo cinese impari il significato della parola Vespa, o Piaggio che dir si voglia. E' il duro destino del manager responsabile Organizzazione dell'intero gruppo Piaggio, cui il presidente Agnelli ha affidato pure la titolarità del progetto Cina. Sbarcato all'aeroporto di Canton, questo toscano stemperato e reso calvo dai 25 anni torinesi passati in Fiat, percorrerà gli ultimi 40 chilometri che lo separano dallo stabilimento di Foshan in compagnia di Giorgio Zazzeri, un quarantacinquenne toscanaccio assai più verace che a Pontedera faceva il capoofficina e qui da tre anni ha assunto il titolo pomposo di chief manifacturing. Oppure della segretaria Patrizia Valsesia, bella figliola alta e bionda che i primi quindici giorni era talmente entusiasta della Cina da assaggiare piatti tipici come meduse e scorpioni, ma adesso preferisce trascorrere i suoi fine settimana nel clima occidentale di Hong Kong. Con loro, un'altra quindicina di italiani targati Piaggio a far la vita dura del pioniere nell'Est più a Est che si possa concepire. Non è certo una novità per una media o grande azienda italiana impiegare personale specializzato all'estero, chi non ricorda l'operaio con la chiave a stella di Primo Levi? Ma in questi ultimi anni del secolo deve essersi consumato un cambiamento epocale se è vero il calcolo che così, sui due piedi, improvvisa Garzella: «Dunque, diciamo che il 20-30 per cento dei nostri dipendenti, dal top management agli operai, fa un lavoro molto esposto sull'estero. Alla fine su 7500 che siamo, toccherà viaggiare almeno una volta ogni tanto a un settecento persone». E allora lasciamoci pure alle spalle l'Italia dei tomaifici e del tessile, la piccola impresa e il NordEst griffato made in Italy che hanno invaso l'Europa post-comunista; ma pure avventurandoci nell'universo della grande industria sempre la delocalizzazione troveremo, magari virtuosa, ma sempre delocalizzazione. Sono venuto alla Piaggio di Pontedera spinto dal ricordo di quanto vi accadde tra il '91 e il '92, quando il vecchio management della fabbrica annunciò l'intenzione di usufruire degli incentivi di legge spostando al Sud, e più precisamente a Nusco, patria di De Mita, nuovi impianti equivalenti a duemila posti di lavoro. Fu la rivolta, gli operai rossi andarono in tv a prendersi gli applausi dei leghisti, sindaci e pre sidenti della regione Toscana eres sero barricate al fianco dei sindacati, finché l'ebbero vinta. Niente delocalizzazione a Nusco, investi menti e assunzioni concentrati su Pontedera. In cambio, il 17 marzo del '95, firmavano il famoso accordo della fabbrica integrata, che suscitò una discussione drammatica nella sinistra italiana: turno di notte e sabato lavorativo per fare con correnza non a Nusco ma all'Estremo Oriente. Le ferie? Naturalmente scaglionate. A Rossana Rossanda che sul «Manifesto» denunciava la «regressione» cui siamo condotti dalla «totalizzazione dell'economico», scriveva in risposta il sindaca lista viareggino Billocci: «Forse, Rossana, non hai colto la differen za: tu puoi firmare articoli che pos sono scatenare solo discussioni. Noi troppo spesso firmiamo dopo lotte inenarrabili "articoli" che mandano a casa dei lavoratori perché il lavoro in Polonia, in Estremo Oriente o in Africa è 5,10 50 volte inferiore al nostro». E concludeva, il Billocci: «Non possiamo cambiare il mondo prima di firmare l'accordo». Ora si dà il caso che in questo mondo tanto difficile da cambiare si vendano ogni anno 19 milioni di motoveicoli. L'Europa, dove la Piaggio è saldamente egemone, rappresenta un esiguo 17 per cento di tale mercato. Le due ruote a motore si vendono, come è ovvio, prima di tutto nell'Asia, anche se i boss della Piaggio si raccomandano di non sottovalutare il potenziale d'espansione degli altri mercati. Fatto sta che di quei 19 milioni di moto ven dute nel mondo, la Cina da sola ne assorbe 8 milioni e mezzo l'anno Dunque la regola nuova appresa nei calzaturifici trevigiani (un'azienda Chi va all'estero «Un operaio cinese dall'ingegnere all'operaio costa il 93 per cento guadagna il doppio in meno di un italiano» Da sinistra, il manager Piaggio in Cina Mario Garzella, un'operaia al lavoro e la squadra di calcio italo-cinese della fabbrica minare agli accordi commerciali. E' questo un problema gigantesco che naturalmente i pionieri dell'Est non sono in grado di porsi, ma che percorre sottotraccia tutto il nostro viaggio. Ne discutono in «NordSud», librointervista curato da Massimo Mastini, un sindacalista italiano come Bruno Trentin e un suo collega venezuelano, Luis Anderson. Dice Trentin che è stata un'occasione persa, al momento della negoziazione del nuovo trattato Gatt, non imporre l'invalidazione degli accordi commerciali con Paesi che facciano ricorso al lavoro dei bambini. E aggiunge: «E' impossibile impedire che una fabbrica si sposti dall'Italia in Ungheria o in Slovacchia, si può pretendere però che i lavoratori ungheresi o slovacchi abbiano gli stessi diritti dei lavoratori italiani». Ma dall'altra parte del globo gli risponde Anderson di stare attento, «altrimenti la guerra commerciale passerà dai Paesi ai lavoratori, che competeranno gli uni con gli altri». Ho provato a porre la stessa domanda al professor Maurizio Mistri, studioso della delocalizzazione industriale. Non è immorale questa corsa del capitale nei luoghi più disgraziati? «Guardi che i vincoli doganali per fortuna stanno cadendo. E poi forme intensive di sfruttamento del lavoro ce le abbiamo pure in casa. Vada a vedere la vita che fanno i cinesi che lavorano la pelle nella Valdarno, scoprirà come delocalizzare la pelletteria in Estremo Oriente costi comunque di più che importare schiavi in Italia». Detto ciò, l'introduzione nel commercio mondiale delle cosiddette «clausole sociali» è vista con favore - almeno ufficialmente - dai nostri più importanti imprenditori. Se non altro perché proteggerebbero in parte i prodotti occidentali da una concorrenza di per sé imbattibile. Col risultato che a opporsi alle «clausole sociali» sono ovviamente i Paesi del nuovo sviluppo accelerato. Di tali dilemmi non udirete neppure l'eco nella sede sindacale di Pontedera. C'è tensione per l'improvviso ricorso dell'azienda alla cassa integrazione («La Piaggio è diventata come un gelataio che lavora solo 4-5 mesi l'anno», accusano), ma anche fiducia nel piano di investimenti da oltre 200 miliardi in tre anni finalizzato alla costruzione di nuove officine meccaniche e al riutilizzo di spazi aziendali d'intesa con il Comune e con l'università Sant'Anna. «Gli indiani? I cinesi? E chi ci paga il biglietto aereo, non ne sappiamo nulla», ammette Domenico Contino della Rsu. Qualcosa gli giunge alle orecchie dai colleghi che sempre più numerosi sono inviati in missione professionale all'estero. «Ho sentito dire che nello stabilimento indiano c'è gente che lavora a piedi nudi, ma oltretutto non dipendono direttamente da una società Piaggio». In buona sostanza, il sindacato non vuole e non può opporsi all'espansione internazionale dell'impresa «purché restino a Pontedera il suo cervello, il cuore che poi sono i motori, e speriamo anche un po' di braccia». In Massimiliano Carloni spunta l'orgoglio della propria tradizione: «I cinesi costeranno anche due dollari contro i nostri 20, ma provate a chiedergli i prodotti che facciamo noi». Speriamo che abbia ragione, almeno per qualche anno ancora. Intanto a centinaia i pionieri della Piaggio vanno per il mondo, chi a praticare lo scouting (ricerca fornitori per le sedi estere), chi in veste di progettista sul prodotto o sul processo, chi a visitare i notabili di regime da cui dipendono le licenze. «Laggiù salta la scala gerarchica - spiega Garzella - s'incontrano l'operaio e l'ingegnere. Il guadagno è all'incirca doppio di quello che prendono in Italia e la carriera più veloce». A Foshan la squadra di calcio italo-cinese della Piaggio ha sconfitto 4 a 2 la selezione Resto del mondo. Evviva. Ma, ci chiediamo, che fine faremo noi che restiamo a casa? Saranno di nuovo loro, gli emigranti del Duemila, a salvare l'economia italiana, oppure riusciranno a salvare solo se stessi? Gad Lerner (fine) LE PRECEDENTI PUNTATE: Martedì l'ottobre «/ pionieri del Made in Italy alla conquista dell'Albania» Mercoledì 2 ottobre «La griffe italiana emigra in Romania»