«Necci era ai vertici di una nuova P2» di Vincenzo Tessandori

La Spezia, arriva il pm di Aosta che indaga su Phoney Money ma l'interrogatorio salta La Spezia, arriva il pm di Aosta che indaga su Phoney Money ma l'interrogatorio salta «Necci era ai vertici di una nuova P2» Altra accusa all'ex patron delle Fs: associazione segreta gpFfJP LA SPEZIA DAL NOSTRO INVIATO Un'altra tegola, fra capo e collo. Di quelle che fanno molto male e che, come si dice, lasciano segno perenne. E' per quella tegola che Lorenzo Necci, monarca deposto delle Ferrovie, ha vissuto un nuovo giorno nero, nerissimo, un giorno che non riuscirà a cancellare. E la tegola gliel'ha lasciata cadere addosso David Monti, l'allampanato e sorridente sostituto procuratore di Aosta, quello che indaga su Phoney Money, che, forse più di «Tangentopoli 2», è vicenda di potere, di denaro facile, anzi facilissimo, di truffe, sensali, agenti della Cia, politici disinvolti, affari e malaffari, potere manifesto e occulto, faccendieri e intrecci d'ogni genere. Il magistrato ha contestato all'ex boiardo la costituzione di una lobby segreta e affaristica vietata da quando, nel 1982, la legge si occupò dei traffici della loggia Propaganda 2 0 P2. «Costituzione di associazione segreta», questa è l'ipotesi di reato. Era giorno d'interrogatorio, ma Necci aveva preparato con cura il piano per affrontare questo nuovo braccio di ferro: era assistito dall'avvocato Paolo Masseglia, ma il suo patrono naturale, Massimo Dinoia, era stato di un tempismo straordinario nell'abbandonare l'incarico, lunedì scorso. Così, di fronte a un difensore che della causa, naturalmente, ignorava tutto, al dottor Monti non è rimasto che rinunciare all'interrogatorio. Eppure, avrebbe voluto ascoltare da Necci i motivi per 1 quali, il 16 maggio, aveva deposto senza convincerlo. «False comunicazioni al pm»: ecco, avrebbe dovuto dare lumi su questo. E raccontare come mai uno come Enzo De Chiara, un italoamericano dal multiforme aspetto, fosse di fatto divenuto suo consigliere personale, anche se il suo incarico ufficiale era quello di curare a Washington la mostra delle Ferrovie nel 1996. A Necci, secondo l'accusa, era subito piaciuta l'idea di legare alcuni progetti al nome di Enzo De Chiara, così introdotto negli States, amico di Ronald Reagan, amico di amici, e senza dubbio abile nel muoversi. E L'AVVOCATO NEL MIRINO CMILANO HE ci faceva il pm Alberto Cardino al quarto piano del Palazzo di Giustizia di Milano? Ci risiamo con i tre appartamenti di Giuseppe Lucibello, l'avvocato di Francesco Pacini Battaglia. Rispuntano in coda alla grande nebulosa di Tangentopoli Due, una settimana dopo che proprio su quei tre appartamenti i magistrati di La Spezia avevano mosso un'accusa e incassato una sconfitta. Ricapitolando. L'accusa era che Lucibello occupasse «a titolo gratuito» tre appartamenti di proprietà di Pacini Battaglia, cosa che lo rendeva incompatibile come avvocato difensore del faccendiere. Lucibello fu interrogato a La Spezia, mostrò i contratti di vendita, disse: «Due di quei tre appartamenti li ho comprati. Nel primo ci abito dal '93, nel secondo mia madre dal '95. Il terzo è in affitto: metto a vostra disposizione i tre contratti». Eccoci alla sconfitta: il gip di La Spezia diede ragione a Lucibello, confermandogli la liceità del suo mandato difensivo. Lucibello disse: «E' stata ristabilità la verità». I sostituti incassarono senza sorridere. L'ex amdelegatoNecci. A dGiusep proprio seguendo la scia di De Chiara, il dottor Monti ha trovato materia per portare avanti l'indagine. Lassù, alla procura di Aosta, erano passati tanti bei nomi della politica e qualcuno aveva reagito alla convocazione scagliando qualche strale avvelenato contro il sostituto procuratore. Ma Monti aveva tirato di lungo, aveva messo a fuoco il suo piano. D'accordo, De Chiara, che non aveva varcato l'Atlantico da quando era scattata l'inchiesta, ma poi c'era Gianmario Ferramonti, uno che ha avuto qualcosa di più di una semplice dimestichezza con la Lega. Eppoi, naturalmente, Necci, già nei guai grossi per l'inchiesta di La Spezia. Quando il dottor Monti lo ha accusato di essere un capo di quella specie di loggia, ieri, alle 15,05, lui ha sgranato gli occhi e non ha risposto. Eppure, era apparso così disponibile, fino a poco prima, tanto che l'avvocato aveva riferito che era disposto a dare per scritto le dimissioni da tutte le cariche, non soltanto dalla presidenza del consiglio di amministrazione delle Ferrovie. Perché, così facendo, forse avrebbe convinto i giudici che non è uno che vuole «inquinare le indagini». Ma ora, questa nuova accusa parallela rischia di stravolgere tutto. Con i suoi sentieri che conducono in Virginia, alla sede della Cia, con le ombre di tanti personaggi potenti che si allungano sulle carte, con i sospetti grandi come grattacieli, Phoney Money dà la sensazione di essere un nodo ancora più inestricabile di quello che è emerso con «Tangentopoli 2». E così l'interrogatorio di Necci è rinviato a un futuro non si sa quanto prossimo. I transfughi, ecco, ad attirare l'attenzione degli uomini del Gico, il gruppo della Guardia di Finanza che si dedica alla caccia ai criminali organizzati e ha dato il via all'inchiesta spezzina, sono loro, quelli che hanno abbandonato Fiamme gialle e carabinieri. Insomma, la divisa per il blazer, la jeep per la limousine, l'attendente per la segretaria, direbbero i romantici l'ideale per il denaro. Qualche nome filtra, e ci si affretta a precisare che, no, nessuno è iscritto nel registro degli indagati aperto dai magistrati Alberto Cardino e Silvio Franz. E tuttavia, certe posizioni non hanno convinto. Ombre, d'accordo, ma prima di correre il rischio che qualche macchia rovini l'insieme, il generale Mario Iannelli, coordinatore dello Scico (Servizio centrale investigativo sulla criminalità organizzata) della Guardia di Finanza, ha dichiarato che «nessun appartenente alla Gdf o all'Arma dei carabinieri è iscritto nel registro degli indagati o è considerato indagato». Eppure, qualcuno darebbe l'impressione di aver ricevuto favori, da quella che chiamano la lobby di Pacini Battaglia. Tanto che il generale ammette: «Stiamo vagliando la posizione di alcuni ex appartenenti alla Gdf e ai carabinieri ma si tratta di posizioni del tutto marginali per fatti la cui rilevanza penale non è stata ancora definita. Nessun nome, comunque, ricorre nelle precedenti inchieste». Il che è confortante, ma gli inquirenti hanno già idee chiarissime? «Le indagini sono ancora in fase di grande lavoro: ci sono atti, documenti, intercettazioni ancora sottosopra all'esame dell'autorità giudiziaria. E molto di quello che si dice è infondato». Sia come sia, gli investigatori ritengono interessante frugare i motivi per i quali in blocco una piccola tribù ha cambiato bandiera. Da finanzieri a ferrovieri, anche il generale di corpo d'armata Guglielmo Farne, vicecomandante delle Fiamme gialle; e poi il tenente colonnello Rigoni, i maggiori Giampaoli, Lamponi e Floriani, il capitano Ferrara e il tenente Bertuglia. Tutti passati nelle file dei ferrovieri, ma quelli che contano, non quelli che stanno sui treni. Interessante sgombrare le ombre sui motivi per i quali, per esempio, Mauro Floriani, marito dell'onorevole Alessandra Mussolini, di an, attivo collaboratore di Antonio Di Pietro, accetta la proposta di Metropolis, l'azienda delle Ferrovie di cui Lorenzo Necci è stato fino a ieri monarca assoluto. Gestione, dismissione e valorizzazione del patrimonio urbano delle Ferrovie, un patrimonio enonne. Dunque, nessuna ombra, aggiunge il generale, il quale, tuttavia, ha avvertito forte la necessità di esternare. E i giudici di La Spezia? Sono d'accordo. «Quello dichiarazioni sono state concordate, le condivido in pieno», dichiara il sostituto procuratore Franz. Ma le indiscrezioni sono numerose e precise. Franz allarga le braccia. Va a controllare le fonti, poi osserva: «Sono frasi contenute in atti depositati, non secretati. E conosciuti anche alla difesa già da diverso tempo». E questo, che cosa significa? «Si vede che certi interessi per alcune frasi emergono progressivamente. Non c'è un giallo». Va bene, ma lei che giudizio ne dà? «Nel momento in cui qualsiasi atto viene depositato, è a disposizione delle parti: a quel punto c'è una disponibilità delle notizie contenute negli atti il cui utilizzo diventa praticamente incontrollabile». Vincenzo Tessandori