Così hanno vinto quasi senza sparare

Così hanno vinto quasi senza sparare Così hanno vinto quasi senza sparare sera. I Taleban sono entrati in città tranquillamente, come i khmer rossi a Phnom Penh». I khmer rossi avevano impiegato qualche ora a vuotare Phnom Penh degli abitanti. I Taleban, loro hanno impiegato qualche ora per imporre «tranquillamente» il proprio ordine: impiccagione di un ex leader comunista, divieto alle donne di lavorare, lapidazione per le coppie adultere. L'Afghanistan - o più precisamente due terzi delle sue province - vive ormai sotto l'inflessibile «sharia» dei Taleban. Chi sono, dunque, i nuovi «pazzi di Allah» di Kabul? Gli esperti restano perplessi davanti a un fenomeno ancora ammantato di mistero. Si sa che la maggior parte appartiene all'etnia «pashtun» ed è legata alla tribù dei Dourrani, da cui proviene l'ex famiglia reale afghana. Il nocciolo duro delle loro truppe è costituito da studenti di teologia - i Taleban veri e propri - educati nelle madrassa (scuole coraniche) dei campi profughi nelle province pachistane del Beluchistan e della frontiera nord-occidentale. Sostenute dal partito sunnita pachistano Jamiat-Ulema-e-Islami (Jui), vicino al primo ministro Benazir Bhutto, queste scuole professano un Islam che si richiama alla versione più ortodossa del sufismo. L'insegnamento è incentrato sulla recita del Corano in forma di litanie e sull'apprendimento dell'arabo, e lascia poco spazio alle materie scientifiche o all'inglese, contrariamente ai programmi introdotti dalle fazioni dei mujahidin, che si rifanno a un Islam rivoluzionario. I Taleban, quindi, sono profondamente reazionari. L'ingresso in scena di questi ((monaci soldati» non ci sarebbe stato senza l'impulso decisivo del Pakistan, o più precisamente di alcuni suoi circoli dirigenti. Fin dal suo ritorno al potere nel '93, la Bhutto cerca, in effetti, di sottrarre il dossier afghano ai servizi segreti (Isi), vicini ai suoi avversari politici e le cui manovre in seno al movimento dei mujahidin si sono rivelate calamitose. Il loro uomo a Kabul, Gulbuddin Hekmatyar, capo del partito integralista Hezbe-Islami, unisce inefficacia e pessime frequentazioni. Non soltanto non riesce a impadronirsi di Kabul - caduta dopo il crollo comunista del '92 nelle mani dei tagiki del comandante Massud, detestato a Islamabad -, ma provoca le ire di Washington con il suo sostegno al terrorismo islamico internazionale. L'Arabia Saudita, dal canto suo, non dimentica che Hekmatyar si è schierato sotto le insegne di Saddam Hussein durante la guerra del Golfo. Il personaggio diventa imbarazzante. Benazir Bhutto decide dunque di abbandonarlo. Confida al suo ministro dell'Interno, Nasirullah Babar, sottile conoscitore delle Un agente russo om tribù pashtun della zona di frontiera, l'incarico di trovare un'altra soluzione. L'obiettivo del regime pachistano è duplice: restituire le chiavi di Kabul ai pashtun - sui quali Islamabad ritiene di avere una certa presa - e aprire una via commerciale verso i mercati emergenti dell'Asia centrale, che una miriade di comandanti mujahidin predoni rendono inaccessibili. I Taleban saranno lo strumento di questa strategia, che va di pari passo a una grande pulizia. Nell'autunno del '94, li si vede lasciare d'improvviso le loro madrassa nei campi profughi e passare la frontiera, pesantemente armati. Si danno lustro volando in soccorso di un convoglio intercettato nel Sud dell'Afghanistan da caporioni locali, che appartiene alla «National Logistics Celi», un'impresa che fa capo all'esercito pachistano e ha compiuto «missioni speciali» - trasporto di armi e droga - durante la guerra contro l'Armata Rossa. Le trame di Islamabad, però, non spiegano tutto. Tra la sorpresa generale, i nuovi arrivati onimo dell'eroe di Fleming a Londra nel '41

Persone citate: Babar, Benazir Bhutto, Bhutto, Fleming, Gulbuddin Hekmatyar, Hekmatyar, Massud, Saddam Hussein