«La lira deve apprezzarsi»

«La lira deve apprezzarsi» «La lira deve apprezzarsi» L'Eliseo minimizza le polemiche ma insiste su una nuova parità DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Il cielo è blu», per dirla con l'Eliseo. Ma le divergenze restano. Francia e Italia affronteranno oggi il vertice bilaterale di Napoli su posizioni monetarie contrastanti. Certo, dopo le intempestive dichiarazioni di Jacques Chirac su lira e ingresso italiano nell'Unione monetaria europea rettificate martedì pomeriggio con il suggello di una «cordiale» telefonata serale fra l'Eliseo e Prodi - pace è fatta. E anche se non più tardi di 24 ore fa, interrogato da una radio sulle richieste del vicepremier italiano - «l'Eliseo deve rettificare il tiro» -, Jacques Chirac rispondeva a sorpresa «non conosco questo monsieùr Veltroni», la distensione è palpabile. Ma non c'è bisogno di leggere tra le righe per individuare un serio contenzioso. La portavoce della Presidenza francese, Catherine Colonna, nel ribadire ieri mattina che le nubi sono alle spalle e gli obiettivi di Parigi e Roma concidono largamente, rilevava nondimeno come «esista ancora un margine di apprezzamento, sfruttando il quale la lira dovrebbe rafforzarsi ulteriormente», e che il ritorno della divisa italiana in seno allo Sme ha da farsi a un livello «adeguato». «La Francia auspica che la lira possa reintegrare rapidamente lo Sme. Alcuni evocano la possibilità che ciò avvenga fin dai prossimi mesi, ovvero a fine anno: ci sembrerebbe buona cosa» annuncia paciosa Madame Colonna. Ma ha in serbo la stoccata finale: «In ogni caso, occorre che il livello sia determinato in maniera confacente. C'è senz'altro ancora un po' di ritardo da recuperare». E quell'imperativo «bisogna» - «il faut» - pur stemperato dall'embrassons nous e da un barometro sul bello stabile, dà appieno la misura della determinazione francese. Parigi esige che il reingresso della liretta nello Sme PARIGI non si faccia su valori che penalizzino l'economia transalpina. Accoglie il principio del ritorno all'ovile, ma resta intransigente sulle modalità e minaccia una sorta di veto qualora Prodi intenda prescinderne. Il fuoco, dunque, cova ancora sotto la cenere. E l'armistizio dell'altro ieri sembra lasciare zone d'ombra dagli sviluppi imprevedibili. Altre riserve, i francesi le esprimono sul trittico giustiziapolizia-politica estera. A loro avviso, per procedere a una progressiva europeizzazione in materia, è auspicabile il consenso dei Paesi membri, mentre gli italiani sembrano privilegiare sull'unanimità un criterio di semplice maggioranza. In ogni caso, il summit napoletano dovrà mascherare eventuali dissensi dietro una riconciliazione non solo formale. Troppo alta la posta in gioco. Con la prima riunione in programma all'ombra del Vesuvio annullata unilateralmente da Parigi nell'estate '95 per protestare contro la mancata solidarietà italiana su Mururoa, e le polemiche d'inizio settimana, un esito negativo del vertice avrebbe conseguenze particolarmente sgradevoli per entrambi i Paesi. Conscio della posta in gioco, Jacques Chirac si farà accompagnare da ben sei ministri chiave: Esteri, Interni, Economia e Finanze, Cultura, Industria, Impiego. E la moglie Bernadette farà parte della delegazione. Sarà, per il successore di Francois Mitterrand che incontra periodicamente Helmut Kohl ma con maggior parsimonia gli altri leader europei, il primo tète-à-tète italiano. Se con Lamberto Dini prevaleva una naturale quanto reciproca antipatia (perlomeno a giudicare dai numerosi «incidenti»), con Romano Prodi la relazione personale sembrerebbe più che buona. Sempre che la lira non si ritrovi nei panni del guastafeste. Enrico Benedetto La regola vuole che lo sfidante non indebolisca per motivi elettorali l'autorità del presidente quando è in gioco il prestigio americano all'estero. O quando soldati americani sono impegnati in operazioni militari. In questo momento il prestigio americano è nel pieno di una crisi (tutta la costruzione della pace fra palestinesi e israeliani rischia di crollare come un castello di carte) e migliaia di soldati americani sono dislocati intorno alle frontiere di Saddam. Dunque Dole cerca di recuperare almeno una parte del suo svantaggio con il gioco duro ed ha lasciato trapelare che la questione mediorientale sarà il suo cavallo di battaglia durante la disfida televisiva di domenica sera, quando tutta l'America assisterà al duello finale fra i due contendenti e deciderà sulla base delle emozioni e delle convinzioni chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti d'America. Fu nella grande sfida televisiva del 1994 che George Bush perse il match con Bill Clinton e si giocò la presidenza. Teoricamente è sempre possibile che il candidato svantaggiato riesca a vincere la sfida e la Casa Bianca, anche se in questo caso è molto improbabile. Però Dole ha due assi dalla sua per combattere bene la battaglia della politica estera e del Medio Oriente. Il primo è la strettissima amicizia personale fra Netanyahu e Jack Kemp, il suo candidato vicepresidente. E' probabile, o almeno è possibile che il premier israeliano ripaghi la posizione nettamente a suo favore di Dole, passandogli sottobanco qualche utile istruzione. Il secondo è la martellante signora Kirkpatrick, ex ambasciatrice all'Orni ai tempi di Reagan, la quale ripete ovunque come Catone che la Cartagine di Saddam è più forte di prima e che la politica estera americana è un disastro totale da cui può venire soltanto insicurezza, terrorismo e perdita di prestigio. Il cittadino elettore è sensibile alla questione del terrorismo e associa la crisi in Medio Oriente a un aereo che esplode in una palla di fuoco. E' sensibile anche alla perdita di prestigio, perché in questo momento è palpabile sia l'isolazionismo che una ipersensibilità all'idea dell'orgoglio ferito. Dna settimana fa insomma la partita fra Clinton e Dole sembrava di nuovo aperta e poi di nuovo chiusa. Nei prossimi cinque giorni, fino ai sondaggi successivi la grande sfida in tv, sapremo se c'è ancora gioco e qualche speranza per Dole. Paolo frizzanti