La rabbia di Ciampi «Non accetto esami»

La rabbia di Ciampi «Non accetto esami» La rabbia di Ciampi «Non accetto esami» LA REAZIONE DEL MINISTRO WASHINGTON Il ministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi DAL NOSTRO INVIATO Quanto era apparso sereno la sera prima sui divani dell'ambasciata italiana, tanto era infuriato ieri mattina, Carlo Azeglio Ciampi. E' stato lui a incitare Romano Prodi perché rispondesse con durezza a Jacques Chirac. E le parole che poi ha pronunciato davanti alle telecamere, contenevano una minaccia precisa. Tra i 15 Paesi dell'Unione europea, si sa, le decisioni sull'unione monetaria dovranno essere prese all'unanimità. La minaccia è che l'Italia voti contro. Sarebbe questa l'arma, nel caso ci fosse un'intesa rivolta contro di noi. Le parole esatte eccole: «Gli esami e le valutazioni ci saranno per tutti. Nessuno può pretendere di possedere una patente da esaminatore, tantomeno unico, o di essere già promosso. Questo vale per l'Italia. Vale per tutti». Naturalmente brucia che a far lezione sia chi le condizioni di Maastricht le raggiungerà grazie a un trucco contabile, contro cui in privato i tedeschi storcono il naso ma con- tro cui in pubblico non dicono nulla. E il mors tua vita mea tra Paesi che in questi giorni si sta rivelando sulla moneta unica addolora un europeista convinto come Ciampi. Pur se la parola «complotto» non viene usata, al Tesoro l'ipotesi di un'intesa contro l'Italia non viene più smentita. La scoperta fatta nel vertice italo-spagnolo di Valencia sarebbe proprio questa. Non che per la moneta unica si fa sul serio, che i parametri di Maastricht'vanno rispettati, cosa che Ciampi già sapeva; ma che il governo spagnolo si sentiva le spalle coperte da Francia e Germania. A dire il vero i tecnici della Banca d'Italia e del Tesoro continuano ad aver molti dubbi che la Spagna possa davvero raggiungere i parametri, e che la Bundesbank possa ammettere la peseta nella moneta unica. Tant'è. Nella giornata di lunedì, un nuovo contatto con i tedeschi aveva reso Ciampi abbastanza ottimista. Nel testo del discorso da leggere ieri davanti all'assemblea generale del Fondo monetario, aveva scritto che «le motivazioni più importanti per l'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria sono etiche», non economiche: «Il risultato finale di un lungo e doloroso, direi quasi catartico, processo di trasformazione che l'Italia ha attraversato dal 1992 a oggi». La moneta unica «coronerà la nostra rivoluzione pacifica». Ed era stata distensiva, dicono, la cena offerta dal governatore Fazio al «Caffè Milano», uno dei migliori ristoranti italiani di Washington. Poi, alle sei del mattino ora della Costa Est, mezzogiorno in Italia, sono arrivate le telefonate da Roma. Altri ministri, pare, consigliavano Prodi a una reazione meno dura, che non mettesse a rischio il vertice di Napoli. L'interesse immediato della Francia è che la lira rientri nello Sme con una parità centrale assai più forte delle 1050 lire per marco fatte trapelare da Prodi e su cui la Banca d'Italia fa i suoi conti da almeno un anno. Ma quello che è successo ieri ha fatto pensare a qualcosa di più, a una operazione politica francese su una unione monetaria «larga» per ridurre il peso della Germania, però non larga abbastanza per ammettere l'Italia che la Bundesbank non vuole. Nel pomeriggio il ministro del Tesoro è ripartito per Roma, non su un aereo della Air France come previsto in un primo momento, ma sulla British Airways. A Romiti ribatte che «la manovra non è squilibrata e nella ripartizione fra imposte e tagli risponde a quanto qualcuno che preferisce riflettere prima di parlare. Il guaio è che a furia di riflettere si rischia di perdere di vista la realtà». Al posto del Presidente, lei chi avrebbe attaccato? «La politica monetaria tedesca. Ma non mi faccio illusioni. Al vertice di Dublino, la Francia ha legato indissolubilmente la sua sorte al carro germanico. Ora non può più criticare il cavallo. Né il cocchiere». Enrico Benedetto indicato dal Parlamento». Sulle carte che sono state trasmesse al Fondo monetario, a proposito della manovra '97, pesano ancora incertezze sulle cifre che non sono state dissipate. Sono sufficienti o no, quelle misure, a ridurre il deficit '97 al maastrichtiano 3% del prodotto interno lordo? Ciampi continua ad assicurare di sì, ma dai ministeri escono cifre che sono a metà tra le sue e quelle attribuite a Prodi: «Basteranno per andare al 3,2%», secondo alcune versioni, «al 3,5%». Prevedere le cifre future della finanza pubblica è un esercizio difficile in tutti i Paesi, soggetto a gravi incognite (particolarmente in Francia, sottolineano con perfidia i nostri tecnici). Applicando meccanicamente le novità degli ultimi giorni ai calcoli già fatti dal Fmi, al 3% non si arriva, tutt'al più al 3,2%. Ma ci sarebbe un asso nella manica: l'inventiva sulle «misure di Tesoreria» da adottare all'ultimo momento avrebbe superato di molto i 12.000 miliardi indicati sotto questo capitolo dal consiglio dei ministri di venerdì scorso. [s. 1.1