L'EX PM E LE STRATEGIE DI MERCATO di Gian Enrico Rusconi

c Ad c Ad MELANO c ARI imprenditori, non illudetevi, fino a quando non ci sarà un sistema maggioritario vero, in Italia sarà molto difficile varare programmi validi per l'economia: servirebbero strategie ma ogni ministero è costretto a procedere a piccoli passi. Parole chiarissime, quelle di Antonio Di Pietro agli uomini dell'Assolombarda. Se non ancora un progetto politico, certo un messaggio preciso. Due ore e mezzo faccia a faccia, da una parte il ministro dei Lavori Pubblici, dall'altro il gotha dell'industria milanese, il presidente Ennio Presutti e tutto il direttivo dell'associazione, imprenditori e manager come Marco Tronchetti Provera della Pirelli, Carlo Camerana della Marelli, il presidente di Federchimica Benito Benedini, il capo della piccola industria Riccardo Protti, gli uomini delle multinazionali con sede a Milano, l'Ibm, l'Abb, l'Unilever. Invito a colazione con domande e risposte: aperitivo, tagliatelline con funghi, vino bianco e rosso... Tutti lì, attorno al tavolone della foresteria al quinto piano di via Pantano, più attenti e numerosi di altre volte quando, stessa ora, stessa sala, erano venuti a colazione i segretari di partito, Polo e Ulivo, nessuno escluso: Prodi, Fini, Berlusconi, D'Alema, Dini. Altri tempi, certo, tempi di programmi e di promesse elettorali. Adesso, agli uomi¬ ha fatto nulla per eliminare le ragioni della sua spesa sociale più iniqua e improduttiva. Se avremo i conti in ordine al 1° gennaio 1999 l'Europa ci accetterà. Ma non chiediamole di fingere un entusiasmo che nessuno fra i maggiori Paesi europei, in queste circostanze, può provare. L'entusiasmo verrà soltanto quando dimostreremo che il governo non subisce i condizionamenti di una forza marginale, può impostare e realizzare la propria politica finanziaria, non risana i conti pubblici con i condoni e l'una tantum, è in grado di tener dietro al processo di modernizzazione dell'Europa Occidentale. Questi problemi - non il sentimento dei nostri partner - sono i diaframmi che ci separano dall'Europa. LE FORCHE CAUDINE genite. Ci desiderano e ci temono. Non possono fare a meno di noi, anche per ragioni storiche e morali, ma sono terrorizzati (e chi non lo sarebbe?) dalla prospettiva di un socio zoppicante e questuante, incapace di mantenere gli impegni assunti, di rispettare gli obbligi del Trattato di Schengen o di spendere i soldi che l'Unione ha stanziato per le sue regioni meno prospere. Non credo che la legge finanziaria li abbia tranquillizzati. Hanno certamente apprezzato l'impegno e lo sforzo del governo Prodi. Ma constatano che l'Italia, a differenza di quanto sta accadendo in Germania, Francia e Spagna, non Sergio Romano ticare lo strepitoso progresso della scienza e della tecnologia? Basta questo elenco, quasi casuale, per capire come la sfida che la scuola ha davanti a sé non riguarda soltanto il «che cosa dire» e il «come dire», ma l'accettare che si possano fornire legittimamente letture diverse. Anticipando alcune obiezioni, il ministro minimizza quasi d'ufficio i pericoli di un possibile settarismo o politicizzazione da parte dei docenti nell'interpretare alcuni momenti storici. Tutti pensiamo naturalmente alle controversie sulla Resistenza o alle polemiche sull'unità nazionale o in generale ai cosiddetti «revisionismi». C'è questo pericolo, ma è modesto: di docenti settari e ideologicizzati ce ne sono sempre stati. Paradossalmente in un clima di esplicito confronto interpretativo avranno meno credito. Il vero pericolo potrà essere un superficiale eclettismo culturale, l'incapacità di combinare la pluralità dei punti di vista con la gerarchia dei valori di una scuola davvero matura. Questi valori mettono al primo posto la forza degli argomenti e la lealtà verso la comunità democratica, che alla fine è venuta fuori dal lungo, tormentato e contraddittorio Novecento. IL SECOLO DIMENTICATO versia sulla sua periodizzazione. Il secolo inizia con il convenzionale 1900 da Belle Epoque oppure con il 1914 della Grande Guerra? O nel 1917 con la rivoluzione russa che dà inizio alla grande polarizzazione ideologica che durerà fino ai nostri giorni? Ma il secolo è realmente finito con il 1989/91, assumendo con questa data inconsciamente un criterio ideologico, eurocentrico e occidentalista? Sono più decisivi gli eventi bellici (dalla battaglia della Marna a Stalingrado, alla bomba di Hiroshima) o i processi di industrializzazione, accompagnati dalla lenta instaurazione dello Stato sociale che percorre l'intero secolo e quasi tutti i regimi politici? Che rapporto esiste fra la mobilitazione bellica e l'integrazione sociale? Ancora: dove collochiamo la memoria dell'Olocausto decisiva per la nostra maturazione morale e spirituale? Dove rintracciamo le radici dei movimenti di emancipazione femminile o della coscienza ecologica, cui i giovani d'oggi sono così sensibili? E perché dimen/ Gian Enrico Rusconi