UNA CASA BIANCA VAL BENE UNA MOSSA

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Laura Pariani QUANDO per caso mi capita di dire che la boxe mi interessa, vedo in genere brillare un che di rimprovero o di ripugnanza negli occhi di chi mi sta di fronte. Difficile dare spiegazioni per una come me, la cui passione per la boxe ha avuto inizio nell'infanzia, quando mia madre restava alzata di notte a assistere agli incontri d'oltreoceano. E' lei che me l'ha trasmessa, insieme con la convinzione che, in fondo, non si possa essere messi a tappeto se davvero non si vuole; in altre parole, l'idea - puritana o kafkiana? che nel mondo si è responsabili di tutto, non solo delle nostre azioni, ma anche di quelle dirette contro di noi. Sarà forse per questo che mi ha affascinato «Sulla boxe» di Carol Oates (edizioni e/o 1988), dedicato a questo mondo particolare da cui le donne sono escluse. O forse perché sento la vita come uno di quei match che vanno avanti all'infinito, una ripresa dopo l'altra, «tu solo con il tuo avversario, così uguali che è impossibile non rendersi conto che l'avversario sei tu». UNA CASA BIANCA VAL BENE UNA MOSSA COLORI PRIMARI Anonimo Garzanti pp. 443 L. 32.000 ENRY Burton è un «nero chiaro», nipote prediletto di un «nero scuro», indomito predicatore-leone dei giorni furenti della lotta per i diritti civili. Ha nel sangue lingue inaridite di quell'antica fiamma, consumatasi nei sei anni dedicati a William Larkin nella sua travolgente scalata al potere, da semplice deputato a leader della maggioranza. Sei anni in cui si è sentito prosciugato dalla politica, dai suoi riti, dal suo ruolo: braccio destro del capo, l'uomo che bisogna contattare se si vuole far inserire o eliminare qualcosa o qualcuno. Difficile dire basta a soli trent'anni, ad un passo dalla vetta: ma Henry lo fa. Il coraggio e la disillusione lo portano a New York, alla Columbia, ad insegnare iter legislativo nella stesse aule frequentate dal padre prima di lasciare la moglie bianca per dare inizio al giro delle «Università più sconosciute del Mondo» per sottrarsi all'insopportabile carisma del suo grande vecchio. E' a questo punto che Henry viene ammaliato da Jack Stanton,. candidato democratico alle primarie, che - per lanciare la sua campagna - preferisce lo squallore di un corso di alfabetizzazione ad Harlem allo scintillio della corbeille di Wall Strett. Jack sembra improvvisamente brillare ai suoi occhi disincantati di una luce diversa: non è la solita gelida macchina che vellica l'elettore a caccia di voti e di fondi. E' un animale che ha bisogno della folla, che la tocca, la palpa, la accarezza con vigore per trasmettere e ricevere calore. Che soffre e gioisce con lei. Che si bagna dell'umidità delle sue lacrime e che freme dei suoi fremiti. Jack è il pastore per cui vale la pena di riprovare a dissodare un campo reso arido dal lungo abbandono, l'idealista per il quale il mito della nuova frontiera non si è mai dissolto, il giusto che può di nuovo rendere civile una grande nazione egoista e disattenta. Da questo inatteso innamoramento prende le mosse Colori primari, il romanzo che - per dirla con Salman Rushdie - si rivela come un'arma «più efficace del migliore reportage giornalistico nello svelare l'esistenza di mondi nascosti». Il giovane Henry Burton diventa infatti il grimaldello per aprire scorci inattesi nella furibonda lotta per il potere che ogni quattro anni infuria sui sen- In «Coloriprimari» Storia di un candidalo tutti i trucchi democratico che ama e gli ambigui retroscena le folle ma adora di una nomination Usa ancora di più il potere A destra Hillary Clinton. Sotto un gruppo di delegate alla convention democratica di Chicago tieri che conducono alla Casa Bianca: la moralità dell'idea questo nel migliore dei casi, perché talvolta è lo stesso ideale ad essere zoppo - e l'amoralità dell'uomo e degli amici che lo circondano. Ed è proprio il drammatico teatrino di questo dualismo, il continuo ribaltamento dei piani - mente da Jackill, corpo da Hide - ad aver fatto di questo libro un caso in America, soprattutto perché l'identificazione con la «famiglia reale» è stata immediata. Ed anche se gli Stati Uniti sono uno posto strano - per le presidenziali vota una minoranza, per le primarie meno persone ancora - tuttavia l'aver aperto il sipario men¬ tre gli attori non se lo aspettano, ha eccitato l'immaginazione popolare che, in politica, è più calvinista che mai e non perdona colpe - Gary Hart - che altrove sarebbero rimesse. Figurarsi quelle di Jack Stanton : un amore con una prostituta ed una presunta paternità con una ragazzina di colore (figlia di uno dei suoi tanti amici «poveri») mentre Susan - sua moglie - restituisce colpo su colpo ogni infedeltà. Attraverso lo sguardo sempre più infelice di Henry ogni minimo particolare, ogni più intimo istinto, viene rivelato ed indagato, fino a completare un quadro tanto torbido quanto cinico. Ma c'è una precisazione da fare. Quello che fa inorridire gli americani non fa inorridire noi. Il nostro peccato capitale non è il sesso ma la corruzione. E Jack non è corrotto. Anzi: è il miglior candidato possibile, ben più onesto e limpido di tutti i suoi avversari, a cominciare dall'orribile italoamericano Orlando Ozio per finire al debole e infelice Freddy Picker. Perché dunque un romanzo simile deve affascinare anche al di là di un oceano poco interessato a disquisire se Jack sia davvero Clinton e Susan, Hillary? Per un motivo semplicissimo: perché scopriamo un Paese infinito, così diverso dalla Florida al New Hempshire, che il nostro Nord e Sud sono nulla. Perché ca- milk piamo come si organizza la macchina del consenso in una situazione così complessa. Perché neri, bianchi e gialli, pachistani e vietnamiti, polacchi ed irlandesi, russi e giapponesi, sono un popolo solo a cui parlare con una sola lingua: quella delle idee, l'unica in grado di unificare tutto. E le storie personali, se non sono inquinate da affari e denaro, diventano persino accettabili. In sostanza non si può leggere Colori primari senza che ciò che è negativo per un americano venga messo istintivamente a confronto con ciò che capita da noi, e persino la truce Libby «Parascandali» Holden - addetta agli affari sporchi - ha una sua personale gran- milk dezza che non le concede di andare al di là di certi invalicabili confini. Scrittura ottima; ritmo altissimo, senza cedimenti; grandi piccoli ritratti di persone sfiorate e subito dimenticate; andamento cinematografico denso di movimento e di masse sullo stile di una Nashville più acida ma più vera; giornali, tv, portaborse, tavole calde, sedi elettorali, società e umanità varia raccontati con torrentizia precisione e intensità: in sostanza, davvero un buon romanzo, ma per motivi vagamenti diversi da quelli immaginati. Colpa nostra, naturalmente. Piero Sorta

Luoghi citati: America, Chicago, Columbia, Florida, New York, Stati Uniti, Usa