Esame di laburismo per Blair di Fabio Galvano

Il leader, in trionfo nei sondaggi, dovrà convincere gli irriducibili di sinistra Il leader, in trionfo nei sondaggi, dovrà convincere gli irriducibili di sinistra Esame di laburismo per Blair Presenta al congresso la svolta al centro r OSSERVATORIO =1 Europa dimezzata senza la moneta unica LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' l'ultimo atto formale prima della volata elettorale che li vede grandi favoriti e - dai sondaggi in grado di spezzare dopo 17 anni il giogo conservatore. Ma dal congresso di Blackpool, che si apre oggi non una fanfara di anticipato trionfalismo, il «nuovo Labour» di Tony Blair spera essenzialmente di emergere senza gravi spaccature, senza scontri frontali fra riformatori e vecchia guardia, fra chi ha sacrificato i vecchi dogmi sull'altare della Realpolitik britannica e chi invece vede l'ombra del tradimento nella nuova linea socialdemocratica. «Adesso il partito di centro siamo noi», ha proclamato ieri Tony Blair in un'intervista all'«Observer». E se lo slogan può valergli punti elettorali quando la Gran Bretagna sarà chiamata alle urne, entro maggio, esso è sicuramente destinato a suscitare risentimenti nel clima caldo del congresso. I mugugni non saranno pochi; e non a caso, in un'altra intervista pubblicata ieri dal «Sunday Times», il ministro ombra degli Esteri Robin Cook ha parlato del pericolo che si trascurino «i poveri» nell'incessante caccia al voto della middle class; insomma che a Blackpool - fredda e inospitale località turistica sul Canale d'Irlanda, non il migliore degli ambienti per chi voglia parlare di speranza e di fiducia nel futuro non si devono dimenticare le origini popolari del partito, il suo legame storico con i sindacati, il suo ruolo nel quadro di una politica sociale «più equa». Tutte cose che Blair, nel suo sforzo di ammodernamento elettorale del partito, ha ripudiato o sta fingendo di ripudiare. E' un momento decisivo per il movimento laborista. Come il pds in Italia, il nuovo Labour rinuncia ai suoi connotati marxisti; e la solidarietà dell'Ulivo mercoledì prenderà la parola anche Veltroni, per portare il messaggio della sinistra italiana che come quella inglese cerca una collocazione al centro - può e vuole essere un buon auspicio per Blair nella messa a punto della sua piattaforma moderata. Mandati in soffitta i dogmi del vecchio socialismo (la chiave di volta è stata la rinuncia alla famosa «clausola 4», quella delle nazionalizzazioni) e rotto il legame ombelicale con i sindacati, il laburismo di Blair dice no ad aliquote fiscali più severe per i redditi più alti, no al salario minimo garantito (approvato invece dai sindacati), no a uno stop delle privatizzazioni, no alla politica la definisce «intellettualnmente pigra» - del «tassa e spendi» che era stata in passato la Waterloo di altri governi laboristi. Quello che Blair spera di vedere emergere da Blackpool è un Labour che sappia infondere fiducia. Non un partito che presti il fianco alle accuse conservatrici («Nuovo Labour, nuovi pericoli», è il tema della riuscita campagna dei Tories) ma che sia piuttosto in grado di assecondare una cau- Rivelazioni della chiromant ta economia di mercato. Non a caso l'energetico leader si è impegnato a fondo, nelle ultime settimane, per convincere gli operatori della City e per conquistare il loro appoggio, sfruttando le perplessità che suscitano negli ambienti finanziari le incertezze e le fobie dei conservatori in tema europeo. Il suo dev'essere il partito della moderazione: e anche se il dissenso è stato finora frenato dai quattro successivi tracolli elettorali e dal timore che le spaccature potrebbero anche provocarne un quinto, la vigilia di Blackpool è all'insegna dell'incertezza. La rivoluzione moderata, con l'abbandono dei capisaldi marxisti, sconcerta non solo i militanti di base ma anche alcuni dirigenti: primo fra tutti il vice di Blair, il tradizionalista John Prescott. Le resistenze non hanno provocato finora che piccole increspature - tuttavia sempre più evidenti - nel tessuto del nuovo Labour. Il pericolo è che Blackpool offra un megafono anche a coloro che ne sono stati finora privati talora in modo anche autoritario - da un Blair despotico cucitore del nuovo centro. Oggi i laboristi hanno, nei sondaggi, un vantaggio di 23 punti sui Tories. Ma basterebbe poco - il sospetto che il lupo abbia cambiato il pelo ma non il vizio, le incertezze su un leader che non fa più l'unanimità - a guastare una festa già programmata. Fabio Galvano LONDRA. E' polemica in Gran Bretagna sulla opportunità di mandare in prigione chi nega o mette in dubbio l'Olocausto. In linea con un'intesa a livello europeo, i laboristi stanno approntando una proposta di legge che prevede un massimo di due anni di carcere per quanti sostengono che lo sterminio sistematico degli ebrei per mano nazista non è mai avvenuto. Jack Straw - ministro-ombra degli Interni - dovrebbe annunciare questo passo la prossima settimana durante il congresso annuale del partito laborista. A suo giudizio, i paladini di quelle tesi storiche sono in effetti razzisti antisemiti. I conservatori - in testa il ministro degli Interni Michael Howard - sono invece totalmente contrari ad ogni giro di vite nei confronti degli apologeti del Terzo Reich: si tratterebbe di una «soppressione della libertà di parola», si creerebbe un clima di «maggiore simpatia e attenzione» nei confronti degli estremisti messi sotto processo per le loro opinioni sull'Olocausto. Leggi che criminalizzano il diniego dell'Olocausto sono già in vigore - a quanto ha riferito ieri il domenicale «Sunday Times» - in Germania, Austria, Francia e Svizzera[Ansa] OMINCIA domani un'intensa settimana europea, il cui tema di fondo (certo non il solo, ma il più importante) è quello evocato più volte in questi giorni, cioè che tipo di Europa andiamo a costruire con tanti sacrifici economici. Insomma, va bene la moneta unica, e poi? Dopo la riunione collegiale dei ministri degli Esteri a Lussemburgo, si terrà giovedì a Napoli quel vertice bilaterale italo-francese che fu annullato stizzosamente da Chirac dopo il voto italiano all'Orni (errore anche quello) contro gli ultimi esperimenti nucleari di Parigi. E infine sabato, a Dublino, sotto la presidenza irlandese, un «summit» straordinario dell'Unione europea, che dovrà rilanciare quel negoziato sull'Europa politica e non solo economica, che si aprì a Torino sei mesi fa. Sia Lussemburgo che Napoli, per molti versi, sono preparatori di Dublino. Dunque, a fine marzo, a Torino, si cominciò a discutere fra i Quindici la riforma di quei capitoli del Trattato di Maastricht che non riguardano la parte economico-monetaria, già fissata e più o meno accettata da tutti, ma la parte politico-istituzionale, che aveva lasciato insoddisfatti molti Paesi membri, e la cui revisione era comunque prevista dallo stesso Trattato. Ebbene, sei mesi dopo, il bilancio (certo, un primo bilancio) appare assai precario. Non si sono fatti progressi su nessuno dei punti principali, vale a dire: 1) l'estensione del voto a maggioranza, al posto della paralizzante unanimità; 2) la creazione di un «ministro degli Esteri» o di un segretario generale tipo Nato o Onu, comunque di una figura che rappresenti in via permanente e con qualche autorità l'Ue di fronte al resto del mondo; 3) la riforma dei meccanismi e delle strutture istituzionali, in maniera tale da garantire un efficace processo decisionale anche dopo l'«allargamento» (da 15 a 2027 membri); 4) l'accordo sulla «flessibilità», cioè sulla possibilità, per due o più Paesi, di procedere più speditamente di altri verso l'integrazione, senza compromettere il recupero dei ritardatari. Eppure è evidente che, accanto all'Europa economica e monetaria, bisogna costruirne una politica. Che politica- canj mon ne u i ti mente oggi l'Europa non conti nulla, lo si vede continuamente: crisi Usa-Iraq, il riaccendersi del conflitto israelopalestinese, le tensioni grecoturche, gli sviluppi e le incognite del processo di pace in Bosnia; al di fuori delle decisioni americane, l'Ue appare impotente. Ma ci sono aspetti importanti anche di politica «interna», l'approfondimento di una «cittadinanza europea» che è ancora soltanto formale, un po' in tutti i campi. Su tutto questo bisogna insistere, vincendo o aggirando la resistenza di Paesi come la Gran Bretagna e in parte anche la Francia. Ma, realisticamente, sono necessarie anche altre considerazioni. La prima è che, obiettivamente, l'Europa politica risulta più difficile di quella economicomonetaria, perché comporta cessioni più immediate e vistose di sovranità nazionale. La seconda è che l'unione monetaria è di fatto, in termini appena un po' più mediati, un notevole salto di qualità, anche politico. Infatti la moneta è uno degli attributi essenziali della sovranità, e non è pensabile che la sua unificazione si riduca solo agli aspetti economici e commerciali. E allora la conclusione è che, sì, bisogna battersi per forme crescenti di unità politica, rilanciando il processo che fu avviato a Torino, ma senza dimenticare che l'unione monetaria è altrettanto importante ed è a portata di mano. Essa appare oggi, nelle condizioni date, il vero passaggio storico degli europei, in tutti i sensi, mentre non c'è progresso, inevitabilmente relativo, dell'integrazione politica che possa compensare un, eventuale, infausto fallimento del progetto monetario. Questa è oggi la priorità, queste sono le ragioni, anche politiche, dei sacrifici economici che vengono chiesti ai cittadini, in Italia e altrove. Il laburista Tony Blair, la sua leadership non vacilla

Persone citate: Chirac, Jack Straw, John Prescott, Michael Howard, Robin Cook, Tony Blair, Veltroni