La Caritas boccia l'elemosina «Non è un gesto cristiano»

Il direttore: comoda abitudine, che non salva dalla miseria Il direttore: comoda abitudine, che non salva dalla miseria La Caritas boccia l'elemosina «Non è un gesto cristiano» «Giusto rimprovero» Don Ciotti: un «rito» che esprime distacco Lm BOLOGNA m ELEMOSINA non è cristiana, perché è abitudinaria, spersonalizzata e soprattutto perché perpetua la miseria del bisognoso». La sentenza di condanna della carità viene proprio dall'ente ecclesiastico per il soccorso ai bisognosi: la Caritas. E' stato il suo nuovo direttore nazionale, don Elvio Damoli, a parlare così a Bologna, in occasione di un convegno delle Caritas parrocchiali della diocesi. Dunque è troppo facile allungare le mille lire all'immigrato che staziona ai semafori, facile e inutile perché non serve ad alleviare lo stato di povertà. Il buon cristiano deve agire in ben altro modo, superando il concetto di assistenza comoda e passiva. «Oggi la carità è ridotta a un fare - ha detto don Damoli parlando di fronte ad una platea di 150 persone tra sacerdoti e fedeli -, a un dar via quello che vediamo come superfluo o non necessario. E' diventata un impegno opzionale o facoltativo, una risposta che si dà quando bussano alla porta o quando ne abbiamo voglia». Ma allora qual è la vera «caritas»? «E' un dono d'amore, esperienza personale di Dio», ha replicato don Damoli. Poi ha aggiunto: «La "caritas" non è quella delle Dame di San Vincenzo, quello è il vecchio assistenzialismo. Quella cultura e quella mentalità dell'assistenza vanno superate. Ora bisogna educare alla giustizia, all'accoglienza gratuita, al dialogo, alla scoperta del povero nella sua dignità. E invece noi gli zingari e i barboni li cacciamo via dalle porte delle chiese». Dunque no all'elemosina, no alla carità come passatempo per ricche signore annoiate, ma anche una «strigliatina» a quei sacerdoti che hanno invitato pubblicamente i propri parrocchiani a non dare spiccioli a coloro che stazionano davanti alle chiese, bollati come «finti poveri». Insomma, ha proseguito don Elvio Damoli, «la vera carità non deve fare, ma insegnare e condividere». Il suo obiettivo è la presa di coscienza che il povero è povero «non perché gli manca qualcosa ha spiegato il religioso - ma perché non ha diritti: al lavoro, alla salute, alla famiglia, all'inserimento nelle classi sociali». Bisognn cambiare registro: «Dobbiamo dire no alla cultura della delega e dell'elemosina: queste cose non combattono la povertà. Ci vogliono - ha dotto don Damoli - iniziative diverse anche a costo di dar loro una valenza politica. Ad esempio, non sarebbe male educare i cristiani alla giustizia per «evitare che una volta usciti dalle chiese diventino usurai». L'intervento di don Elvio Damoli al congresso bolognese non è stato «fuori dal coro». A fronte di una situazione di «confusione piena di assistenzialismo ed elemosina spicciola di gruppi caritativi», come l'ha descritta monsignor Orlando Santi, vicario episcopale per la Caritas, l'arcivescovo Giacomo Biffi ha inviato lo stesso messaggio: «La Caritas deve sorgere in ogni parrocchia per coordinare le varie iniziative di aiuto evitando le sovrapposizioni e le concorrenze indebito, altrimenti anche i poveri andranno dal miglior offerente». A destra: il governatore della Banca d'Italia mentre fa l'elemosina. A sinistra: don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele Don Ciotti, secondo lei perché il direttore della Caritas ha deciso di intervenire in maniera così netta e quasi provocatoria nei confronti dei fedeli e anche di alcuni colleghi parroci? «Conosco don Elvio Damoli, e ritengo che, come me e altri, si sia accorto che oggi ricorrono spesso molte parole che non dividono più, anzi, parole formalmente condivise da tutti, di fatto abusate: verità, giustizia, solidarietà, per esempio. Ma la solidarietà non può essere intesa solo come elemosina, gesto distaccato fatto quasi per liberarsi dell'altro. Dunque occorre riunificare la parola e la sostanza, immagine e contenuto, dichiarazioni e comportamento concreto». E come vanno interpretati i rimproveri a un «vecchio tipo di assistenzialismo» ancora presente in una parte della Chiesa? «E' un punto che io ritengo molto importante perché dietro il grande impegno, la testimonianza, la coerenza di moltissima parte della Chiesa, c'è anche un forte rischio; che queste esperienze si incornicino come fiore all'occhiello della comunità cristiana, che delega loro questo impegno di natura prettamente sociale. C'è, insom-

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