Sfrattati dalla Città Santa

« « Sfrattati dalia Città Santa » Le accuse degli arabi: il complotto delLikud l'Autorità palestinese dei rapporti con la stampa straniera. E mentre racconta i toni si fanno più caldi e indignati. La violenza che si ammanta di regolamenti e costrizioni è qualcosa che fa avvampare il nostro interlocutore più ancora degli arresti e delle stragi. «Perché quel che sta accadendo adesso - dice - è dovuto solo all'esasperazione per quel che è stato fatto prima». Il «centro della vita» è il luogo nel quale, a insindacabile giudizio del sindaco Ehud Olmert e dei suoi fiduciari, un palestinese deve collocarsi. Il concetto è estremamente elastico: vale sia che uno, nell'impossibilità di trovare casa, si sia trasferito fuori e faccia il pendolare, sia nell'eventualità opposta. Vivi fuori? Restaci. Lavori fuori? E allora cosa ci fai qui? «Fino al governo precedente l'autorità municipale era bilanciata dalla linea del ministero dell'Interno - continua Joulani -. Adesso è tutto nelle mani del Likud». Nelle mani del Likud è anche il futuro di centinaia di commercianti non ebrei. Ieri, sulla Via Dolorosa, l'ingresso al nuovo tunnel era sprangato, e dinanzi alla grande porta grigia in ferro stazionavano i soldati. Ma la chiusura è solo temporanea. Prima il venerdì degli scontri, poi lo «Shabbat»: la municipalità di Gerusalemme rifiuta ancora di chiudere il cunicolo, anche se il protrarsi della festa delle Capanne forse le consentirà di prendere tempo. Esprime molte cose, il tracciato di quel budello. Ieri accanto ai nervosi militari di guardia, c'erano dei ragazzi (solo i ragazzi sfidavano le perquisizioni nei vicoli della città antica) che fornivano una diversa chiave di lettura. Basta una mappa per rendersi conto di un'altra delle funzioni di questa «ricerca archeologica». Dalla Porta dei Leoni, che è a poche decine di metri, attraverso il tunnel si raggiungono direttamente le Mura e la Porta occidentali, in una sorta di via storico-religiosa all'esclusione. Da qui i visitatori di Gerusalemme, soprattutto se ebrei, possono essere condotti attraverso la Città Santa e fino al Muro senza neanche sfiorare la zona dei mercati, quella che dà da vivere a migliaia di palestinesi e di cristiani. Una sorda e progressiva attività di strangolamento che degli accordi di Oslo e del principio di una Gerusalemme congelata nello «status quo» si fa sotterraneamente beffe. La Porta di Erode è a poche decine di metri, scendendo il vicolo s'incrocia la Via Dolorosa, si passa accanto alla cappella della Flagellazione. Difficile sarebbe immaginare un più denso incrocio fra storia, suggestione e simboli. Eppure dopo sei generazioni la famiglia, anzi il clan dei Kashani sta per lasciare l'antica casa al primo piano di Sheik Rihan e la deliziosa loggia interna che trabocca di fiori. Scacciati? No, comprati. Dopo mesi di insistenza, un commerciante di Mahane Yehuda è arrivato con un assegno in bianco e ha detto al capofamiglia: «Lo riempia con la cifra che vuole». Non hanno prezzo, le case della Città Santa. E infine il vecchio Kashani ha deciso di trasferire la sua gente ad El Bireh, alle porte di Ramallah, dove due dei figli vivono già. Forse da domani i Kashani diventeranno tutti benestanti (la tradizione che impregna queste pietre significa almeno diecimila dollari al metro quadro), ma per la storia questo significa anche che un'altra famiglia araba lascia il centro mistico dell'Occidente per fare spazio ad una famiglia ebrea. Non è certo, questa, la peggiore delle storie, anche se in qualche modo era stata preparata dall'avanzata implacabile della nuova burocrazia israeliana. Uno dei due figli che abitano a El Bireh si è appena visto ritirare la carta d'identità. «La sua famiglia vive fuori Gerusalemme, i suoi figli studiano fuori Gerusalemme. Anche se ogni giorno lei viene a lavorare a Gerusalemme, il suo centro d'interessi è altrove», gli hanno detto i nuovi padroni della municipalità. Prima ancora che la polizia entrasse in azione, che l'esercito isolasse i Territori, prima ancora che l'archeologia politica di Israele perforasse col tunnel del Muro occidentale anche il ventre della religiosità islamica, la municipalità di Gerusalemme ha aperto la guerra agli arabi con tutti gli strumenti che possa partorire un potere amnunistrativo fortemente orientato. «Quello del centro d'interessi, anzi del "center of life", è un concetto che si è fatto strada solo negli ultimi tre mesi e ha già prodotto almeno 1500 vittime», spiega Adnan Joulani, incaricato dal- ROMA. Dopo la chiamata di giovedì del presidente del Consiglio Prodi, anche il ministro degli Esteri italiano Lamberto Dini ha voluto ieri parlare personalmente per telefono con il leader palestinese Arafat in vista della presenza di questi al Consiglio Affari Generali dell'Unione Europea a Lussemburgo del 1° ottobre. L'Italia caldeggia questa presenza, di cui la Presidenza irlandese si è fatta promotrice, al fine di acquisire da Arafat elementi di prima mano sulla crisi, da aggiungere a quelli già ottenuti dal ministro israeliano Levy a New York. L'Italia ritiene infatti che l'Ue debba sviluppare una strategia concreta e coerente che contribuisca ad arrestare il deteriorarsi della situazione in Medio Oriente e rilanci il processo di pace. Arafat ha espresso la gratitudine sua personale e del popolo palestinese per le iniziative politiche ed umanitarie dell'Italia, che tra l'altro si è attivata per prima nella fornitura urgente di medicinali ed equipaggiamenti sanitari a favore delle vittime degli scontri a fuoco nei Territori. |Agi) smo che ci ha esasperati. E il mondo ormai si muove solo quando vede dei palestinesi uccisi». Ieri sera, alla «Orient House», il ministro dell'Autorità palestinese Falsai Husseini ha raccontato: ((Avevo avvertito gli israeliani: non aprite quel tunnel o sarà come aprire un vaso di Pandora colmo non di ricchezze ma di violenza e morte. Le cose stanno raggiungevo un livello esplosivo, e le iniziative di Israele non potevano condurre che a questo. Avevamo detto: sentiamo odore di Intifada, ma loro sono andati avanti lo stesso. Adesso sparano per uccidere, ma come l'Intifada ha dimostrato, noi non abbiamo paura. La polizia palestinese? Non poteva stare a guardare: cosa avrebbe fatto la polizia israeliana se avesse visto massacrare degli ebrei? Il tunnel ha squarciato il luogo più sensibile di Gerusalemme, forse del mondo. Può trasformarsi nel buco nero che inghiottirà il Medio Oriente». PER LA PACE parole usate nei confronti del governo di Washington, ha ancora un rapporto piuttosto difficile con gli americani, è stato molto attento a non alzare il tono delle minacce oltre una certa soglia. «Se la pace non ci restituisce la terra occupata, perché dobbiamo cercarla? - ha insistito Assad - Quale persona ragionevole può aspettarsi che la Siria faccia la pace quando terra siriana è ancora sotto il controllo di Israele?». Ma Assad ha precisato che lo stallo dei negoziati, e quindi l'assenza di pace, non significa necessariamente guerra. E' tuttavia probabile - ha sostenuto - che l'arresto del processo di pace produca «arretramenti nella stabilità della regione, anche se è difficile prevedere la natura di questi mutamenti». Assad ha riconosciuto che «senza gli sforzi degli Stati Uniti e del presidente Clinton il processo di pace non sarebbe mai partito». Ma questa volta la Casa Bianca sta facendo molta fatica a ritessere una tela diplomatica sufficientemente solida. Il Segretario di Stato Warren Christopher e il suo uomo per il Medio Oriente, Dennis Ross, hanno fatto decine di telefonate in questi giorni e venerdì sera il portavoce del Dipartimento, Nicholas Burns, era apparso ottimista: «Siamo sulla strada giusta», aveva annunciato, anticipando che, dopo un primo incontro tra Netanyahu e Yasser Arafat alla fine di questa settimana, ve ne sarebbe stato un altro la prossima settimana al Cairo, con la partecipazione dello stesso Christopher. Ma ieri sera questa promettente agenda sembrava evaporata, e gli Usa tentavano di organizzare un summit a Washington, con Clinton in campo in prima persona. Nel frattempo, all'Onu, gli Stati Uniti sono riusciti a bloccare un'iniziativa araba per una risoluzione di condanna di Israele. «Incoraggiamo la ripresa del dialogo piuttosto che condannare», ha esortato la rappresentante Usa Madeleine Albright. Paolo Passarmi