L'ultimo satrapo sovietico di Mimmo Candito

I/ultimo satrapo sovietico I/ultimo satrapo sovietico Cercò un 'impossibilepace tra le etnie stan, non c'erano dubbi: l'unica incertezza, piuttosto, sembrava che stesse nel suo obbligo di scegliere tra il ruolo di Beria e quello di Andropov. Alla fine non scelse affatto: nel lungo inverno che preparava la sconfitta vietnamita dell'Armata Rossa, Najbullah tentò l'impossibile progetto di un'alleanza politica che desse spazio all'opposizione sociale, per ridurre la capacità di manovra dei muajahiddin; ma lo fece in un contesto che manteneva la rigidità delle strutture di potere, all'interno cioè di un regime comunista satelbtare al potere sovietico. Najibullah non lo sapeva, ma in questo suo ruolo finiva per essere l'ultimo protagonista di un gioco che era già fortemente cambiato: quel Great Game che l'impero zarista aveva praticato con l'impero britannico per tutto l'Ottocento, ma poi ancora fino alle due guerre mondiab, per segnare una linea d'egemonia lungo le frontiere inquiete degli antichi principati d'Asia. Di questo «gioco» che muoveva uomini, cannoni, e spie (tutti abbiamo incontrato il vecchio Lama che camminava su quelle frontiere col piccolo Kim), l'Afghanistan era stato una delle pedine fondamentali: le sue montagne difficili, le sue mille tribù in lotta, le aspre divisioni delle sue etnie, lo avevano fatto terreno di contesa sulla strada dell'India per l'impero britannico, e sulla rotta dei mari caldi per l'impero russo (zarista, o sovietico, non fa differenza). Negli anni di Babrak e Najib, andavo per le montagne dell'Afghanistan da clandestino, con i mujahiddin; e su quelle montagne incon- GRECIA Sul suo yacht L'odio per l'ex leader era l'unica passione che univa tutte le bande e le tribù travo soltanto i cannoni, i blindati, e le lunghe colonne degli «sciuravi», i soldati sovietici odiati da tutti. Da tutti, senza distinzione di etnie o di tribù. Ma quest'odio, lo vedevo, me lo raccontavano, si riversava poi interamente sul presidente che se ne stava a Kabul a tramare la pace: Najibullah era diventato per tutti uno «sciuravi» anche lui, il Bue, come lo chiamavano con disprezzo i mujahiddin. Non Era salito al potere dopo lunghi anni alla guida della polizia politica poteva avere speranze di scampare. La guerra, che era nata come una lotta di liberazione etnica (mai nazionale) e però, paradossalmente, anche una lotta della tradizione tribale contro un processo di modernizzazione, aveva intanto trasformato il terreno di battaglia: poco alla volta, ma in maniera marrestabile, la componente islamica era andata prendendo la prevalenza sulle altre forme di identità, e lo scontro di frontiere e di egemonie si è fatto jihad, guerra di religione. Nella quale, uno come Najib non c'entrava più in nulla. Otto anni fa la fuga dell'Annata Rossa: nel 1992 Najib si è consegnato a una difficile prigionia volontaria nel compound dell'Orni, a Kabul. Ma, come a Teheran per l'ambasciata americana nel tempo di Carter, anche ieri a Kabul i soldati di Dio hanno ignorato le convenzioni internazionali. E hanno saldato quest'ultima dimenticanza della storia. Ora in Afghanistan la guerra s'intreccia con le grandi manovre del fondamentalismo musulmano, alla frontiera dell'Iran, a quella del Pakistan, a due passi dal petrolio del Golfo. E un cerchio si stringe pericolosamente. Mimmo Candito

Persone citate: Andropov, Beria, Lama, Najib, Najibullah