Bavaglio alla pasionaria birmana

Il governo impedisce il congresso dell'opposizione, arrestati 120 dissidenti Il governo impedisce il congresso dell'opposizione, arrestati 120 dissidenti Bavaglio alla pusionuriu birmana La polizia assedia la casa diAungSan Suu Kyi F lettera dall'america =1 La sinistra chic che crede alle favole TORINO. Legge con emozione un passo di una lettera di Norberto Bobbio che gli scrive: «Tu non ti limiti alla solita deprecazione. Tu non dici una cosa, per poi restare con le mani in mano. Tu la dici e lo fai». Per Ernesto Olivero, fondatore, anima e cuore del gruppo intemazionale di solidarietà Sermig, è il momento di dire e di fare una nuova «cosa», lanciandosi nella sua avventura forse più ambiziosa: replicare a Sarajevo una struttura identica all'«Arsenale della pace» da lui fondato a Torino tanti anni fa. Accompagnato dal presidente della commissione Esteri del Senato Migone, comunicherà oggi ufficialmente il via al sindaco Castellani. «Abbiamo l'invito delle autorità bosniache - racconta Olivero e Dini mi ha telefonato dal Palazzo di Vetro di New York per assicurarmi l'appoggio di Roma. Ma i contributi pubblici sono meno dell'1% del nostro bilancio. Per andare avanti contiamo come sempre sulla generosità degli italiani». Allora è fatta? L'Arsenale rad¬ RANGOON. La giunta militare birmana ha impedito ieri lo svolgimento del congresso della Lega nazionale per la democrazia (Nld), il principale partito di opposizione, bloccando con centinaia di poliziotti l'accesso alla villa del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, e arrestando centoventi esponenti del partito. Tutti i tentativi di mettersi in contatto telefonico con Suu Kyi, che della Lega è fondatrice e presidente, sono risultati vani, ma fonti governative hanno assicurato che non è stata formalmente arrestata. La giunta birmana, uno dei regimi più repressivi del mondo, ha tenuto Suu Kyi agli arresti domiciliari per sei anni, finalmente liberandola a luglio dello scorso anno. I posti di blocco eretti sulla University Avenue, l'unica via di accesso alla villa di Suu Kyi - dove il congresso dell'Nld avrebbe dovuto svolgersi per festeggiare l'ottavo anniversario dalla sua fondazione impedivano ieri sera il passaggio di veicoli e pedoni. Fino a domenica, hanno comunicato le autorità, nessuno potrà avvicinarsi alla villa del premio Nobel, anche se - è stato precisato - i suoi spostamenti non saranno impediti. «E' libera di andare e venire ha detto un ufficiale di polizia - ma il congresso non potrà svolgersi perché non sono state chieste le necessarie autorizzazioni». Numerosi manifestanti sono rimasti radunati davanti alle transenne, vigilate da poliziotti che ostentavano armi semi-automatiche. In precedenza era stato consentito il passaggio solo a pochi dirigenti della Nld. A un certo punto Aung San Suu Kyi e due assistenti, Tin Oo e Kyi Maung, sono stati visti uscire per parlare brevemente con gli ufficiali di polizia; poi sono rincasati. Questo sembra confermare che, almeno fino a ieri sera, non erano stati adottati provvedimenti contro la donna. Suu Kyi è figlia di Aung San, che guidò la lotta per l'indipendenza della Birmania da Londra. Immediata la reazione di Washington alla mossa delle autorità birmane. Glyn Davies, portavoce del Dipartimento di Stato, ha dichiarato: «Valuteremo con estrema serietà qualsiasi tentativo di reimprigionare Aung San Suu Kyi o di impedirle quella che noi consideriamo la sua legittima attività politica». Poi ha ricordato che la Casa Bianca è pronta a promulgare una legge, già approvata dal Congresso, che in caso di un nuovo arresto vieterebbe gli investimenti Usa in Birmania. Due giorni fa il quotidiano «New Light of Myanmar», organo del regime, aveva preannunciato un'incriminazione della dissidente per aver mantenuto rapporti con gruppi dell'opposizione in esilio. Il NEW YORK ORNATO dal Messico e dalle sue ambigue rivoluzioni trovo nella buca delle lettere una mitragliata di insulti faxati dall'Italia in seguito al mio reportage sugli zapatisti del Chiapas. Sapevo a che rischio mi esponevo scrivendo quel che ho visto, ma ho provato egualmente il senso di nausea che si prova di fi onte alle aggressioni personali, il livello-zero dell'omicidio ideologico, una specialità dell'arci-italiano che è codardo sì, ma forcaiolo. Un'esperienza per me già vissuta in America Latina perché proprio contro quella parte del mondo si coalizza (come scrivono Mario e Alvaro Vargas Llosa, padre e figlio, in un recente straziante saggio) il meglio dell'idiozia mondiale: il trionfo del luogo comune in costume, il carnevale barocco della ragione. Mi capitò in Salvador quando in Europa eravamo tutti sicuri (così leggevamo) che una guerriglia di bravi democratici si opponesse in armi al sanguinario dittatore Napoleon Duarte. La realtà però, controllata sul luogo, era alquanto diversa: il disgraziato Duarte non era un dittatore ma un figlio, per quanto spurio, delle urne elettorali. E i guerriglieri non erano esattamente dei bravi democratici in armi. Ma alla fine, anche per colpa delle menzogne con cui verità e realtà furono accecate e annichilite in Europa, vinsero in Salvador le carogne della destra sanguinaria del colonnello D'Aubuisson e degli assassini del vescovo Romero, trucidato nella sua cattedrale. Trovai anche allora la cassetta della posta intasata dagli insulti per lettera. L'accusa, allora come oggi, non aveva e non ha niente a che fare con la storia, la geografia, la politica e il giornalismo. E' una questione di lesa maestà: la maestà capricciosa, puerile, emotiva e pigra del sinistrese incapace di produrre politica, ma che sopravvive, indossando i suoi caratteristici costumi, attraverso le fiabe. Guai a chi osi introdurre disordine e dubbi nella mitologia: guerriglieri e dittatori, buoni e cattivi, sfruttati e sfruttatori, indiani e cow boys devono restare intatti ai loro posti e ruoli, come i pastori del presepe. E guai a chi osi sfiorare, come involontariamente mi è capitato di fare, la madre di tutte le fiabe ideologiche: quella di Peter Pan in cui vivono gli archetipi del dolce ribellismo borghese, ripetitivi come carillon. Là sono conservati i bambini che non vogliono crescere, gli indiani buoni di Giglio Tigrato, con Hook e i suoi allegri pirati. Ma più che i personaggi quella fiaba garantisce la realtà dell'irrealtà, il sinistro luogo noto come Isola Che Non C'è. Non si tratta dell'isola Utopia per un mondo migliore, ma di un prefabbricato cinematografico, una finzione per turisti: in quel luogo la sinistra europea trova, quando chiude gli occhi per il bacio della buonanotte, creature meravigliose visitabili grazie alle polverine dorate di Internet, la Trilly Campanellino dei computer. Per volare in quel luogo irreale non devi fare proprio nulla: devi soltanto credere. Se ti viene un dubbio mentre sei in volo, cadi e muori. Ma se resisti e credi, già puoi immaginare i tuoi bimbi, e i bimbi dei loro bimbi, tutti con il basco del Che, fare altrettanto. Che nostalgia della nostalgia, quale dolce tradizione, che comodo sopore. Così stando le cose sento il dovere di attirarmi nuovi, fax e ribadire quel che ho visto in Messico: una guerriglia zapatista (multimediale e innocua come il nonno dei Gialappa's) che invece di combattere il governo corrotto e sfruttatore di indiani, lo accredita ricevendone in cambio l'accredito. Governo e guerriglia non fanno proprio nulla di concreto per i poveri, gli sfruttati e gli indiani, ma promuovono convegni per le intellighenzie d'Europa, attraverso i quali riescono a diffondere il verdetto sciocco, falso e fondamentalista, secondo cui la colpa dei secolari delitti commessi su quelle terre da satrapi e caudillos, cacicchi e governatori, va addebitata al neoliberismo occidentale e mercantile, cioè alla civiltà che ha prodotto (fra lacrime sangue errori ed orrori) quanto di meglio abbia saputo finora costruire il genere umano. Internet e Peter Pan compresi. Quanto ai messicani indiani, fanno, poveretti, quel che hanno fatto sempre: le comparse nei colossal prodotti per far sognare i giovani patrizi d'oltreoceano. La birmana Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace