Territori in fiamme: undici morti

A Sud di Gaza ucciso anche un ufficiale egiziano coinvolto in una sparatoria al confine A Sud di Gaza ucciso anche un ufficiale egiziano coinvolto in una sparatoria al confine Territori in fiamme; undici morti Accuse tra Arafat e Netanyahu, ma forse s'incontrano israeliano alla chiusura del tunnel archeologico aperto al pubblico lunedì scorso ai piedi della Spianata delle Moschee. Netanyahu gli ha replicato che la chiusura del reperto archeologico «è esclusa a priori». Più tardi il presidente dell'Autorità nazionale palestinese ha accolto l'ipotesi di un incontro con il premier (senza più parlare di precondizioni) sollecitandovi la presenza di Mubarak ma anche di re Hussein di Giordania. Nella notte infine un responsabile americano che ha chiesto l'anonimato ha detto che molto probabilmente Netanyahu e Arafat si in¬ La sinistra israeliana, forte numericamente (quasi il 50 per cento della popolazione) e ricca di grandi nomi di intellettuali, di iniziative straordinarie, aveva sempre costituito nella storia tormentata di questo Paese un grande punto di riferimento internazionale. E' strano ricordarlo oggi, dopo cento giorni di governo Netanyahu, dopo questo grande disastro, e dopo cento giorni di quasi totale silenzio del movimento pacifista. Tornano alla mente oggi le immense manifestazioni di piazza contro la guerra del Libano, le imprese rocambolesche dei politici e degli intellettuali che incontravano pubblicamente Arafat quando era proibito per legge, le voci concordi di intellettuali come Aleph Beth Yeoshua, Amos Oz, David Grossman, Meir Shalev, i migliori scrittori israeliani, sempre allerta nel condannare i falli del governo del Likud. Solo da ieri, timidamente, la sinistra torna in piazza, si riaffaccia alla ribalta della storia israeliana dopo quattro mesi in cui il deteriorarsi del processo di pace e l'escalation dei religiosi l'avevano irritata, ma non mobilitata. Peres, messo ko dalla sconfitta elettorale, non aveva fino a pochi giorni fa assunto in pieno il ruolo di capo dell'opposizione parlamentare. Yehud Barak, il suo contendente per la leadership laborista, non ha parlato in questi mesi che di se stesso; Shalom Achshav e le altre organizzazioni pacifiste, come Dor Shalem, il gruppo guidato dal figlio di Rabin Yuval, solo adesso si mobilitano. Ieri infatti Pace Adesso e gli altri gruppi hanno messo in piazza poco più di cinquemila persone, ma per oggi è prevista una grande manifestazione a Tel Aviv. I laboristi sono stati troppo presi dai loro affari interni; i radicali, ovvero il partito del Meretz, è sparito dalla circolazione; Pace Adesso aveva smesso le sue tradizionali manifestazioni del venerdì. Cosicché Netanyahu ha potuto sentire in questi mesi molto più forte la pressione popolare dei Settler e delle loro organizzazioni, oltre che dei partiti religiosi, piuttosto che quella della sinistra. Uno dei suoi migliori rappresentanti, lo scrittore Meir Shalev, ha una spiegazione per quello che è accaduto. Signor Shalev, in queste ore insanguinate, dov'è la bella sinistra israeliana? «Non bisogna dimenticare che la sinistra, un anno fa, dopo un anno di sogni e di soddisfazioni anch'esse un po' ipnotiche, ha subito uno shock terribile: l'omicidio di Rabin. Ne è nata una confusione interna, accompagnata da sensi di colpa, e seguita poi da una discussione sulla nuova guida del partito e del governo. A lungo si mise addirittura in questione se Peres dovesse o meno dimettersi, e certo questo non aiutò tutti noi. Poi, la bomba della sconfitta elettorale; di shock in shock, con le relative convulsioni interne, e da qui la paralisi dei leader intenti in accuse e querele reciproche sulle responsabilità della sconfitta». LE CITTA1 DELLA RI Mar Mediterraneo NAZARETH: molli feriti nell'assalto a una caserma di polizia TULKAREM: 2 israeliani e un arabo uccisi in una sparatoria GERUSALEMME: sulla Spianata 3 morti e decine di feriti palestinesi BETLEMME: scontri con molti feriti alla Tomba di Rachele RAFAH: uccisi in una sparatoria: un israeliano e un egiziano «Dobbiamo Rabin e ri VOLTA ■ Akko Zefat m » 1 Tiberiade ' HAIFAé'-' a NAZARj€'r aTNablus fiamme». Perché fra i suoi uomini armati si sono inseriti anche i militanti dell'opposizione islamica che hanno fatto da catalizzatore negli incidenti più gravi. «Nella mobilitazione delle masse - ha aggiunto Yaalon - ormai esiste una cooperazione fra Al Fatah, Hamas, Jihad islamica, Fronte democratico e Fronte popolare». Nel corso di una seduta del governo israeliano vari ministri nazionalisti hanno osservato che alla luce dei gravi incidenti degli ultimi giorni (in cui sono morti 56 palestinesi e 15 israeliani) «sarebbe ora imperdonabile» ordinare il ritiro israeliano dalla città cisgiordana di Hebron, abbandonando così al loro destino 400 coloni ebrei. Netanyahu non ha però chiuso la porta del negoziato. «Il ritiro da Hebron si può ancora discutere - ha affermato - ma i palestinesi devono comprendere una volta per tutte che non possono ricorrere alla violenza ogni volta che hanno l'impressione che i negoziati ristagnino». ta quattro ore, in cui sarebbe intervenuta anche la polizia di confine egiziana che avrebbe perso un ufficiale, ucciso dagli israeliani. Sarebbe morto anche un ufficiale israeliano. L'attacco ha obbligato Israele a far intervenire elicotteri da combattimento «Cobra». A breve distanza i carri armati israeliani attendevano con i motori accesi l'ordine di tornare in forze nella striscia di Gaza. Secondo l'intelligence militare israeliana Arafat ha intenzionalmente fatto esplodere la situazione nei territori dopo essere giunto alla conclusione che il processo di pace era totalmente bloccato dalla politica israeliana e nella speranza di smuovere così le acque. «L'apertura a Gerusalemme del tunnel dell'epoca asmonea è stata per lui un ottimo "combustibile" per incendiare gli animi», ha detto ieri il generale Moshe «Bughy» Yaalon che comanda l'intelligence. Secondo il generale, Arafat «è in grado di appiccare il fuoco nei territori, è in grado di spegnerlo ma non è in grado di regolare l'altezza delle israeliano ha predisposto ieri un grande spiegamento di forze dislocando dei carri armati in posizioni molto evidenti. «I palestinesi non dovrebbero dimenticare - ha osservato il vicepremier Moshe Katsav che se vogliamo siamo in grado di distruggerli militarmente». Ma non sempre il tentativo di dissuasione ha funzionato. A Tulkarem (Cisgiordania) agenti palestinesi hanno sferrato un attacco in piena regola contro una caserma della guardia di frontiera israeliana: sul terreno sono rimasti due ufficiali israeliani e uno degli assalitori palestinesi. A Gerico agenti palestinesi hanno attaccato una pattuglia israeliana che ha risposto al fuoco uccidendo tre palestinesi. A Nazaret (Galilea) centinaia di arabi israebani hanno tentato di dare l'assalto alla stazione locale della polizia israeliana. Anche a Sud di Gaza, a Rafah, palestinesi armati hanno teso un'imboscata a una pattuglia israeliana che perlustrava un lembo di terra al confine con l'Egitto. Ne è scaturita una battaglia in piena regola, dura¬ contreranno questa sera a Erez, punto di passagio al confine della striscia di Gaza, dove tennero il vertice del 4 settembre scorso. All'incontro fra i due potrebbe partecipare il segretario di Stato americano Warren Christopher. A Gerusalemme, nella Spianata delle Moschee, sono avvenuti gli incidenti più gravi della giornata. La polizia israeliana vi ha disperso con la forza migliaia di fedeli islamici provocando la morte di tre palestinesi e il ferimento di molte decine. Nel tentativo di arginare la violenza dei palestinesi l'esercito L'UMILTÀ' DELLA RAGIONE no che la pace ha un prezzo. Non staremo qui a cercar di stabilire chi dei due dovesse pagare quello più alto: sarebbe un esercizio sterile poiché l'ex fedayn e l'ex generale, l'indistruttibile terrorista e il soldato duro che ordinò di spaccare le ossa agli scugnizzi dell'intifada, pur detestandosi avevano deciso di puntare sul futuro. (Col tempo avrebbero imparato a stimarsi, giusta la testimonianza di Leah Rabin). Sapevano di partire da un presente esplosivo, irto di trappole, gonfio di agguati. E tuttavia imboccarono decisi la «porta strotta». Commisero, però, ognuno un errore. Al quale è in qualche misura riconducibile la spaventosa situazione odierna. Arafat non osò liquidare subito i fondamentalisti di Hamas, e nemmeno la minuscola (allora) galassia oltranzista teleguidata dagli zaim infeudati a Damasco, dagli intellettuali palestinesi cui il vecchio presidente d'uno Stato senza territorio aveva impedito di salire sul treno della pace. Pace che, per altro, loro, gli intellettuali, avevano definito un «patto leonino». Rabin non osò mettere immediatamente al passo i coloni, e soprattutto sottovalutò la minaccia rappresentata dagli ortodossi più fanatici, le loro maledizioni, l'accusa di rodef (rinnegato) rivoltagli da troppi rabbini fondamentalisti per i quali, secondo la Legge dei Re di Maimonide, «la Terra non si baratta». Rabin e Arafat avevano un sogno: la pace. Rabin è stato'ammazzato proprio da un docile allievo di quei rabbini ortodossi invero blasfemi; Arafat rischia di fare la stessa fine per mano di sciagurati giovinotti plagiati da falsi santoni. Ha bruciato tutti i suoi poveri vascelli alle spalle, è tremendamente solo di fronte alla collera disperata della sua gente che si sente tradita. Invece della pace è arrivata la fame. Invece della libertà c'è un regime costretto alla durezza poliziesca dalla sua stessa precarietà. Il presente è fosco. Siamo sull'orlo dell'abisso, tuttavia come dice un antico proverbio semita, «quando tutto sembra perduto ricordati che resta pur sempre il futuro». Ma dall'insanguinato presente può nascere un futuro di tregua? In teoria sì, purché si faccia presto. Sempreché Clinton abbia la forza di rischiare qualche voto della New York ebraica pur di scongiurare una nuova tragedia in Medio Oriente. Per farlo ha bisogno di validi comprimari ma se è vero, come appare, che Arafat ha poche chances di riprendere in mano la situazione; se è vero, come scrive il Guardian, che quello di Netanyahu «è un governo senza patente di guida», dovremmo ipotizzare una guerra strisciante, un massacro a rate. Epperò è vero anche che, a differenza di quanto solitamente avviene nel resto del mondo, in Israele in un giorno può cambiare tutto. Perché l'82 per cento della popolazione ritiene tuttora possibile «la collaborazione con i palestinesi» (cioè la ripresa delle trattative), perché la Borsa ha reagito male alle mosse e contromosse di Netanyahu che soltanto il trenta per cento degli israeliani considera «idoneo» a guidare il Paese. Perché, come scrive un israeliano-doc, il professor Dan Avni, «i comandi militari non hanno fiducia nell'esperienza (militare, politica) del primo ministro». Ma dobbiamo batterci il petto anche noi europei. Per esserci innamorati della fantasia utopistica che il processo di pace potesse andare avanti per forza propria. Sicché stavamo a guardare, compiaciuti. In realtà avremmo dovuto ricordarci che la storia e l'esistenza camminano da sempre sull'orlo del burrone, che ogni uomo è cieco se Dio non lo guida. Non è ancora (forse) la guerra ma certamente c'è un conflitto di identità. Che non si tronca coi carri armati bensì con l'umiltà della ragione. E' meglio perdere la faccia che perdere ogni speranza nel futuro. Questo vale e per Arafat e per Netanyahu. Nlsetf Nella cartina le zone degli scontri di ieri e (sotto) il trasporto di un ferito verso ospedale ARETH Tìle o[FOus [FOTO ANSA] NAZARETH