CALASSO In India con gli dèi
Intervista con lo scrittore-editore, che sta per pubblicare «Ka» Intervista con lo scrittore-editore, che sta per pubblicare «Ka» CALASSO In India con glLdèi MILANO DAL NOSTRO INVIATO Un uccello immenso, un'aquila, che ha rapito nel becco il cibo degli dei, stringe fra gli artigli un inno antichissimo. E' stato appollaiato fra i rami di un albero, dopo il suo volo e il suo risvéglio all'esistenza, leggendo il Rg Veda, gli antichi inni sacri degli Arya, i popoli che colonizzarono il subcontinente indiano. Lui stesso, Garuda, è un inno. Le sue penne sono fatte di metri, tutto si riduce a una questione di sillabe e alla prima sillaba da cui si è sprigionata la sua attenzione, quella che indica il progenitore del mondo e degli dei, che ha tanti nomi ma uno, il più segreto di tutti, si riduce a un'interrogazione: chi? Ka? Da quella sillaba si è aperto un mondo inafferrabile, quello dei grandi cicli mitico religiosi dell'India. Fra un battito d'ali e un battito di palpebre, Garuda spicca di nuovo il volo. Si conclude così Ka, di Roberto Caiasso, dal 2 ottobre in libreria per Adelphi. Un libro sull'India, anzi, come rivendica l'autore, dove «tutto appare attraverso l'India»; e tutto appare attraverso un percorso sinuoso e personalissimo nei Veda (testi sacri la cui composizione comincia nel 1400 a. e), nei Brahmani (800-600 a. C), nei più recenti Furarla (composti a partire dal quarto secolo), nel grande ciclo epico del Mahabharata o nei testi buddhisti, insomma l'immenso corpus della tradizione indiana. Libri sterminati, che raccontano e variano vicende intricatissime; dal progenitore Prajapati, ovvero Ka, a Brahma, Shiva, Vishnu, dai sapienti «rishi» che ardono di «tapas», l'energia prima, il vibrare del fuoco e sono celebri oltre che per la conoscenza per l'ira e la lussuria, non dei ma neppure uomini, in grado di terrorizzare o irridere gli dei -, il libro spazia fino alle successive discese (gli avatara), di Vishnu, le ultime delle quali, l'ottava e nona, sono legate ai nomi di Krishna e del Buddha. Caiasso sceglie le storie, fedele all'esergo di Spinoza pubblicato nella prima pagina: ideae veruni nihil aliud sunt quam narrationes. Le idee non sono altro che narrazioni... Tutto accade in un tempo misterioso, il tempo della lettura di Garuda, un istante o un ciclo cosmico. Accade in un tempo mitologico, ma anche in un oggi dove Caiasso può citare Proust o convocare sapienti occidentali, portatori delle nostre domande, a una adunanza di «rishi». Il terzo libro di quella che l'autore considera un'opera in corso, dopo La rovina di Kasch e Le nozze di Cadmo e Armonia, va in un territorio già annunciato da Kasch. Perché l'India? «E' inevitabile finire in India - ci risponde -. Perché in India sono andati più JROMA O scrittore e la sua ombra. Lavora al fianco del narratore o del saggista, lo coccola, qualche volta lo umilia, gli fa dei segnacci sul dattiloscritto: l'editor che conosce l'arte del lifting ad un testo, che interviene sulla punteggiatura, sullo stile, che taglia o amplia, è l'alter ego di un autore. Non appare mai e viene interamente espropriato della sua fatica: l'editing. L'Italia si americanizza e si apprestano ad arrivare a frotte nelle case editrici i maestrini con la penna rossa e blu in mano per modificare, talvolta violentare (a fin di bene s'intende) le opere in attesa di pubblicazione. Si aprono stamattina i lavori del primo convegno nazionale sull'editing, presso l'Università lontani che altrove. Là le parole che riteniamo nostre, quelle che crediamo occidentali come ad esempio "mente" assumono di colpo dimensioni più complicate, immense». E in Ka tutto nasce dalla mente: all'inizio c'è solo la mente, «manas», e «Prajapati era solo. Non sapeva neppure se esisteva o non esisteva... E prima ancora di accertare se esisteva o no, la mente desiderò...». Da questo punto del libro si muovono le narrazioni. «Perché la caratteristica dell'India è che parla in modo ossessivo e con una paurosa intensità dell'essere coscienti. Del sapere che cosa significa essere vivi». Viene da chiedersi se Caiasso, come i linguisti storici dell'800, abbia intrapreso un viaggio verso il sanscrito (la lingua degli Arya che permise agli studiosi di disegnare la grammatica delle lingue indoeuropee) come per inseguire le origini, una grammatica del pensiero e delle storie, i primi dei. Lui nega: «No. Credo semplicemente di essere arrivato all'India perché questo libro in vari tomi che sto scrivendo a partire da Kasch si tesse sin dall'inizio su pensieri e immagim* che in India sono dominanti». L'India, l'inevitabile. Già nella Rovina di Kasch, proprio nelle prime pagine, c'era il riferimento al «ita», parola che significa ordine e verità, o anche al samnyasin, il «rinunciante», colui che abbandona la vita civile e si rifugia nella foresta, quasi il prototipo dell'individuo nel senso moderno. In Ka, la vita del Buddha è narrata con risonanze simili. «Quel che un giorno sarebbe stato chiamato il "moderno" fu, almeno nella sua punta più nascosta, e acuminata, un lascito del Buddha», scrive. Intende che l'India ci racconta il passaggio verso la modernità? «In Ka il Buddha appare su quella soglia oltre la quale comincia La rovina di Kasch, la corsa e la frantumazione del moderno». L'India resta lontana, terrorizzante. Qualcosa «che non può essere paragonato a nessuna altra cultura»; innanzi tutto per il suo stesso inizio. «Gli Arya conquistarono il subcontinente, lo tennero e sparirono, senza lasciare un edificio, un pezzo di legno, nuli'altro se non 1028 inni, e una lingua». Ancora oggi in alcune remote zone è celebrato il loro rito più importante, l'edificazione dell'altare del fuoco, esattamente come è descritto nei Veda. Un uccello immenso viene costruito con diecimilaottocento mattoni, per «conquistare il cielo». Un rito che acquista senso anche grazie anche a ima falsa etimolo- di Perugia, con il titolo Grazia Cherchi e l'editing, per commemorare la Cherchi, scrittrice, saggista e una delle più note redattrici editoriali, scomparsa nell'agosto del '95. In quella stessa sede verrà lanciata, da parte degli organizzatori del meeting, Renzo Pavese e Paolo Ottaviani, la proposta di inaugurare, a Perugia, corsi di formazione per nuove figure professionali addette a lavorare gomito a gomito con gli autori alla revisione delle loro opere. Un mestiere fatto su misura per chi non ama apparire. Un tempo gli editor si chiamavano Calvino, Natalia Ginzburg, Pavese, Vittorini. Ma questi specialissimi consulenti editoriali non si sentivano certo frustrati poiché le gratificazioni se le assicuravano attraverso la produzione in proprio. Adesso questo tipo di attività non è più riservata a sofisticati artigiani ma diventa un'appli- EMI ^e \ « «Avvicinare questi volumi è raccontarli Ogni narrazione aggiunge qualcosa, l'ibridazione è di rigore» Una famiglia indiana con alle spalle il ritratto d'un santo
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