Sui falsi in bilancio ricominciare da zero

Sui falsi in bilancio ricominciare da zero Sui falsi in bilancio ricominciare da zero BL problema della depenalizzazione dei falsi in bilancio divide il mondo politico tra favorevoli e contrari, dal momento che qualunque scelta in merito influenzerà il futuro della politica e della società italiana. D'altra parte, in Italia dal 1989 al 1995 quasi il 50% delle società per azioni ha chiuso per almeno tre anni i bilanci in perdita anche se ben poche di queste sono fallite, segno che cosi male poi non andavano. Non è quindi pensabile che si aspetti a varare una riforma di alcune importanti norme sui bilanci per assicurare loro veridicità e trasparenza, evitare il ripetersi di certi fatti e chiarire le responsabilità di chi governa le aziende. Non occorre riscrivere il codice civile, poche norme ben fatte darebbero una buona mano. La prima riguarda il bilancio consolidato, al quale dovrebbe essere dato quel valore civilistico e fiscale che oggi non ha. Inserire l'obbligo del bilancio consolidato per tutte le società che ne controllano almeno un'altra consentirebbe alle controparti delle aziende (in primis, le banche) di capirne il vero andamento. La seconda norma riguarda il controllo. Ha ragione il centro studi Arel quando sostiene che i sindaci non vanno nominati dagli azionisti. Ma si può andare oltre, ponendo ad esempio un limite al numero di collegi sindacali in cui si può essere presenti: c'è un professionista che è sindaco in più di 70 società... In realtà si dovrebbe rendere obbligatoria la certificazione dei bilanci delle società e gruppi con un fatturato, diciamo, superiore ai 30/40 miliardi. E nel contempo potrebbero essere aumentati i poteri dei revisori (che oggi vedono solo quello che le società vogliono far vedere) nonché, come è giusto, le loro responsabilità. La terza norma, un po' più specifica, sarebbe altrettanto utile. Si tratta dell'abolizione dell'art. 2447 del Codice Civile, quello che dice che se il capitale sociale va sotto zero, o si ricapitalizza o si portano i libri in Tribunale. In anni come questi, di numerosi dissesti aziendali, molte società in crisi compilano i loro bilanci con il solo fine di mostrare un patrimonio che in realtà è minore o non c'è del tutto. Si tratta spesso di un'operazione, come dire, «a fin di bene», fatta per consentire un processo di ristrutturazione aziendale che altrimenti non potrebbe avvenire. Ma anche se giustificata da fini economicamente corretti, resta la non vera presentazione delle condizioni patrimoniali e finanziarie delle aziende. Una volta stabilite regole tali da assicurare contemporaneamente semplicità di gestione e trasparenza, sarà possibile far divenire gli amministratori veramente responsabili per i falsi e gli illeciti compiuti dalle società, tanto nei confronti degli azionisti quanto dei creditori. Ma è possibile fare tutto questo senza sistemare in qualche modo il passato? La domanda è difficile e la decisione è assai più politica che economica. Solamente, non credo ci sarebbe da scandalizzarsi più di tanto se un giorno al sistema delle imprese venisse proposto di tirare una riga sul passato in cambio di 25/30 mila miliardi (tanto dicono i calcoli sul gettito potenziale del famigerato condono), tenendo anche conto che ben pochi di questi reati vengono effettivamente puniti. A patto che si stabiliscano chiare responsabilità e regole per il futuro. L'Italia, è noto, ha il problema di Maastricht, al cui appuntamento potrebbe arrivare pronta solamente tagliando pensioni, sanità, assistenza e via dicendo in modo forse non accettabile per un Paese civile, specie se si pensa che questi sacrifici pesano su categorie di cittadini di solito meno protette. Cosa ci sarebbe di male allora, se una parte del costo dell'Unione Europea la pagassero le imprese, il cui carico fiscale è insopportabile in termini nominali ma limitato nella realtà? Ma due domande sorgono immediate: ci sono i soldi? E chi paga, infine? I soldi probabilmente ci sono e stanno nei circa 100 mila miliardi di titoli e depositi bancari che gli imprenditori hanno depositato presso il sistema bancario per garantire i prestiti concessi alle loro imprese. Ed a pagare saranno certamente gli azionisti. Già, ma con l'eccezione di quelle 218 società quotate alla Borsa di Milano, chi sono gli azionisti delle aziende italiane se non gli imprenditori? I quali hanno almeno quanto altre categorie nell'Europa un interesse vitale di un lungo periodo. Che ha un prezzo. nsa ,sa Alessandro Pansa ,sa

Persone citate: Alessandro Pansa, Arel

Luoghi citati: Europa, Italia, Milano