«Basta affronti, è l'ora del fucile»

ARamallah, il gas dei lacrimogeni si mescola al rumo dei copertoni bruciati Un poliziotto si apposta per sparare a un elicottero ARamallah, il gas dei lacrimogeni si mescola al rumo dei copertoni bruciati Un poliziotto si apposta per sparare a un elicottero Non si muore più nelle strade come al tempo della prima rivolta, è una guerra di confine con due armate che si sparano addosso «Basta affronti, è l'ora del fucile» Sangue ed euforia tra la folla inferocita Un attivista: sono felice della vittoria di Netanyahu, così si è visto di che pasta è fatta la loro politica TEL AVIV scono, in.mano palestinese, decine di israeliani. Dentro Betlemme c'è una calma irreale mentre si spara al confine e tutte le strade d'ingresso sono bloccate da massi anticarro. Non si muove un'automobile, tutti i negozi sono chiusi, si vedono soltanto i movimenti di truppe armate o di civili che corrono, sparano e tirano sassi vicino al luogo della battaglia; e poi fuggono davanti alle pallottole e ai lacrimogeni. Gli uomini in divisa partecipano ovunque alla guerra; un giro delle loro caserme le mostra mobilitate ma sostanzialmente si avverte uno stato di smarrimento. Anche la volontà di Arafat, dice un ufficiale di Ramallah che, per carità, non vuole essere citato, è contraddittoria. Ma anche se il rais dovesse, dopo tanti incitamenti alla battaglia, fare un accordo con gli israeliani, s'infiamma l'ufficiale, stavolta non avrà il solito seguito, stavolta, dice, non ne possiamo più e non crediamo più nel processo di pace. Un insegnante del Waqf d'organizzazione che salvaguarda i luo- NOSTRO SERVIZIO Dietro le linee del fuoco palestinese, si entra in un altro mondo: dopo quattro anni di pace, ecco che si materializza, in un caldo infernale, lo spettro della guerra. Ha odore di copertoni bruciati e di gas, ha il suo paesaggio divelto e sconnesso, e i suoi rumori di spari, le sue urla. Tutto è diverso da ieri. Il West Bank e Gaza, oltre i punti di passaggio da Israele, dentro l'Autonomia palestinese, sono in guerra. Come un serpente di fuoco il conflitto esplode ovunque a pochi metri dai posti di blocco. Prima Ramallah, Betlemme, Nablus, a Gaza, si cammina brevemente in un silenzio surreale: ma subito dopo si avverte l'assenza della vita normale, si vedono i massi divelti, i sassi in mezzo alla strada dove solo poche ore fa i palestinesi e gli ebrei andavano e venivano in pace. Foco dopo, gli spari. I botti più fondi delle pallottole di gomma israeliane, gli schianti secchi dei fucili, la catena di spari dei kalashnikov, e più lontani gli spari dall'aria delle armi israeliane montate sugli elicotteri Cobra. Entrando a Ramallah abbiamo visto un poliziotto sparare con la pistola, da terra, contro un elicottero israeliano, Dalla mattina presto, la nuova guerra mostra le sue paurose novità rispetto all'Intifada. Escono dalle università le avanguardie degli studenti che ben più di Arafat sono i veri leader della guerra del Monte del Tempio. Niente più guerriglia urbana, però: perché le forze israeliane non sono più, come ai tempi dell'Intifada, dislocate dentro le città. Si va quindi a una guerra di confine fra soldati. Questa è la novità: i drappelli, e poi le masse, corrono verso la linea del fuoco chi in divisa dotato di armi autentiche, chi di sole pietre. Come ai tempi dell'Intifada, i bambini corrono fra le gambe dei giovani, ma non scorrazzano più per le strade. Il movimento si svolge tutto avanti e indietro, con i fazzoletti contro il naso. Lo scontro avviene come fra due eserciti collocati uno di fronte all'altro; e le forze di polizia palestinese sono ormai un vero esercito, con un potenziale di fuoco piuttosto consistente. E' per questo che in queste ore alcuni personaggi del governo israeliano, come Limor Livnat, ministro delle Comunicazioni, ripetono che le armi date ad Arafat in dotazione da Rabin e Peres, sono quelle che oggi uccidono e feri¬ fame è tanta - dice l'insegnante che vuole essere chiamato soltanto un "patriota palestinese" - e che razza di pace è questa? Bene, io sono contento che abbia vinto Netanyahu, così si è visto chiaramente di che pasta era fatta la politica israeliana, tutta la loro politica. E' stato Rabin, è stato Peres, ad inventare la politica della chiusura dei Territori». «Anche la nostra religione ci aiuterà in questa che si preannuncia come una lunga guerra - dice un giovane che porta la barba all'uso dei religiosi - e guardateci bene; sappiate, voi giornalisti, che non ho paura di questi spari anzi, ci sguazzo. I sionisti finalmente oggi hanno pane per i loro denti. Per me è un giorno di gioia». A Betlemme incontriamo sulla linea del fuoco un capo del Fatah, di nome Neissa Karake, un combattente con otto anni di carcere alle spalle: «Il tunnel del Monte non è la ragione principale di questa rivoluzione che io prevedo più forte e più dura dell'Intifada. Siamo stati tenuti d'assedio dentro i nostri stessi confini, Netanyahu ci ghi dell'Islam) che insegna a Gerusalemme, ma da tempo resta chiuso a casa per via della chiusura dei Territori, mentre camminiamo con lui fra gli spari e nel puzzo dei gas lacrimogeni e dei copertoni esclama in ottimo inglese: «Finalmente parlano i fucili! Solo le armi hanno diritto di parlare oggi. Chi se non l'esercito palestinese - dice - deve difendere il nostro popolo? Gli israeliani ci hanno armato perché facessimo il loro lavoro sporco, per farci sparare contro Hamas. Ma i nostri profughi sono sempre fuori dalla West Bank e da Gaza, mentre i loro coloni sono rimasti dentro. La ha voluto umiliare in tutti i modi...». Che pensa del recente incontro con Arafat? «Il Rais stesso ha detto che dall'incontro non è uscito un bel niente. E il governo israeliano ha seguitato a fare insediamenti, a confiscare la terra, a rovinare la nostra economia...». Avrebbe desiderato la vittoria di Peres? «No - è la stupefacente risposta, peraltro quella di quasi tutte le persone che abbiamo intervistato - sono due facce della stessa medaglia». Ma Arafat, vuole una rivolta di queste dimensioni? «Forse no, vedremo se stanotte s'incontra con Netanyahu e che cosa ne esce. Ma certo, quello che qui si vede è lo stato d'amino palestinese dominante, e sarà sempre peggio se non avremo una vera pace, un vero Stato». Gli ospedali dei luoghi di battaglia sono uno spettacolo incredibile: ambulanze e mezzi privati scaricano senza intervallo feriti e intossicati più o meno gravi, che vengono messi uno accanto all'altro su materassi nell'ingresso in attesa di essere smistati. La promiscuità e la confusione sono totali. Chi vomita, chi sanguina. Le donne e i bambini piccoli arrivano di corsa per cercare i loro familiari, piangono e gridano. Il dottor Yacob Metri il direttore dell'ospedale di Beit Jalla, a Betlemme, racconta stanco che finora sono stati ricoverati 72 intossicati e feriti, alcuni gravi operati di urgenza. Ma molti altri continuano ad accumularsi. «Mi fa stare molto male vedere che siamo di nuovo così nei guai, così immersi nella violenza; eppoi, c'è poco da fare sospira -, non c'è equivalenza militare, anche se siamo armati». All'ospedale di Ramallah dove vengono trasportati alcuni feriti gravissimi, e anche alcuni morti, il giornalista israeliano Ygal Sarna, del quotidiano Yediot Aharonot, viene fatto prigioniero da una folla inferocita insieme al suo fotografo e si asserraglia, protetto dai medici in una stanza. Ogni ambulanza che arriva urlando, fa crescere la rabbia; Ygal, un piccolo e mite intellettuale che oltretutto è un antico attivista di Pace Adesso, mantiene per ora il sangue freddo, ma ha le lacrime agli occhi per lo sconcerto: «Ecco - dice - è tutto finito, il sogno è finito. Come è stato possibile commettere un errore così grande?». Sei un ebreo, sei un israeliano, gli ha urlato la gente per la quale lui ha parteggiato fino ad oggi. Fiamma Nirenstem

Luoghi citati: Betlemme, Gaza, Gerusalemme, Israele, Tel Aviv