La guerriglia dei buoni e dei cattivi

la guerriglia dei buoni e dei cattivi *1 sanguinario «Esercito popolare rivoluzionario» contro gli zapatisti, simbolo dei «giusti» la guerriglia dei buoni e dei cattivi Messico, un 'armata clandestina anti-Marcos HUATULCO OAXACA DAL NOSTRO INVIATO Gli agenti della polizia federale messicana portano i berretti con la visiera girata sulla nuca, come i ragazzini. Sono spaventati e preoccupati. Piccoli di statura, maneggiano con qualche impaccio i fucili automatici americani con due caricatori legati con lo scotch. «Non ci aspettavamo quella sparatoria e quei morti», dice il giovane ufficiale che comanda la pattuglia di questo centro turistico assaltato dai guerriglieri dell'Epr venti giorni fa. «Un americano, sentendo le prime raffiche, mi chiese: okay, dov'è il party? Ma qui non c'è nessun party, gringo, buttati per terra altrimenti ti fanno la festa, così gli dissi». E' il racconto che ripete con divertimento Cornelio Torres, cameriere del Cactus. Quattordici morti ammazzati sul colpo. Sangue che schizzava sulle pareti delle case, gente che urlava e che non capiva, i militari impazziti che giravano come trottole. Così fu «la incursión contra Huatulco», quando la camera mortuaria si riempì di cadaveri come non se ne vedevano da decenni. Chi è stato? La guerriglia. Già, ma quale guerriglia? Quella che cerca eh' rompere le uova nel paniere al subcomandante Marcos, il sociologo in armi. Questi assassini dell'Esercito Popular Revolucionario sono delle vere carogne. Fra loro si suppone che esista una piccola legione straniera, alla quale - secondo ima rumorosa informazione del «Wall Street Journal» del 3 settembre - parteciperebbero anche vecchi guerriglieri urbani europei, tedeschi, francesi e forse italiani. Di tutto ciò poco si occupano e preoccupano gli uomini di chiesa, se non per il disturbo che queste sanguinarie diversioni arrecano agli incontri di San Andrés, fra guerriglia e alte personalità. Certo, tutto questo sangue ha preoccupato sua eccellenza Samuel Ruiz, vescovo di San Cristóbal e «piedra angular» della commissione che tratta con la guerriglia zapatista. Dunque, gli uomini armati dell'esercito fantasma hanno uno scopo politico evidente: screditare l'operazione della guerriglia degli zapatisti. I guerriglieri dell'Epr, diversamente dagli zapatisti che si presentano come bravi indios guidati da un ricercatore universitario un po' narcisista («Non voglio che pubblichiate la mia foto senza passamontagna, che diamine! mi distruggete l'aura romantica e deludete tutte le ragazze che mi sognano di notte», ha detto ai giornalisti che avevano rivelato la sua identità come quella del professor Rafael Guillén Vicente), sono dei veri duri e soldati professionisti: sanno affrontare i corpi speciali, sanno mettere in fuga un distaccamento dell'esercito regolare. E allora, chi comanda questo dubbio esercito popolare rivoluzionario che spara ai tassisti, fa saltare la testa alla gente affacciata alla finestra e fucila per strada gli agenti di polizia? Se si deve stare alla genealogia ufficiale, l'esercito popolare deriva da organizzazioni con quelle sigle lunghissime e prolisse che si trovano in Centro America. Qui siamo di fronte al Procup-PdJp, ovvero a quel che resta del partido revolucionario obrero clandestino union del pueblo, unificato con il più modesto partido de los pobres, con base nella Organización de campesinos de la Sierra Sur de Guerrero. Troppe parole astratte per condurre a una conclusione. I «priistas», ovvero i politici del Pri di governo, sono velatamente accusati dai giornali di essere i veri ispiratori di questa guerriglia antiMarcos, attraverso i servizi segreti. Ma il Coordinador della delegazione di governo per la pace nel Chiapas, si limita a dichiarare che quelli dell'Epr sono «pazzi sanguinari privi di qualsiasi logica politica». L'episcopato, vedendo dei guerriglieri cattivi comparire in concorrenza dei guerriglieri buoni, è insorto Lon santissime preghiere affinché lo Spirito Santo guidi il mirino dei corpi speciali anti-insurrezione. Sergio Obeso, arcivescovo di Xalapa, appoggia ed esige che il governo usi «toda la fuerza del Estado», ma affinché non faccia di tutte le erbe un fascio supplica che ciò avvenga «siempre dentro de la legalidad y Estado de derecho». Il governo messicano di Zedillo è non meno disfatto e sospettato: di corruzione dei precedenti. Gli indios del Chiapas sono stati emarginati, sfruttati, privati dei servizi e della dignità, truffati, beffati e umiliati. Ma lo sono stati dal governo, dai suoi satrapi governativi, dai cacicchi locali, dai tangentisti, schiavisti e sfruttatori sia degli indiani che della foresta, che viene progressivamente distrutta e ridotta in piramidi di legname accatastato. Gli indios vivono di questo, i loro sfruttatori vivono e si arricchiscono di questo, la guerriglia zapatista chiude tutti e due gli occhi e lascia che la distruzione avvenga, purché gli occhi di tutte le sinistre europee siano puntate sul suo formidabile apparato di comunicazione e propaganda che ha bisogno di un forte e continuo accredito sui giornali europei e su quelli statunitensi. Se il signor Vicente, alias subcomandante Marcos, si fosse messo alla testa di una guerriglia indiana per la difesa delle popolazioni Tzotziles, Tzeltales, Choles, Lacando- nas, Tojobales, Coxoh, Mochòs e Mames e avesse processato e fucilato i governatori, impiccato i torturatori, attaccato e messo in fuga i reparti antisommossa, ci saremmo trovati di fronte a una tipica e meravigliosa insurrezione antigovernativa e anticoloniale condotta in nome dei diritti umani, dei diritti civili dei messicani indiani (quasi tutti i messicani sono di origine autoctona: «Voi discendete da una barca, noi discendiamo dagli Azte¬ chi», è il loro motto), forte e dura. Non sarebbe stata una guerriglia marxista-castrista ma una delle tante e talvolta vittoriose guerre agrarie e civili di cui è ricca, e insanguinata, la storia del Messico, quel pobre Mexico, tan lejos de Dios y tan cerca de Estados Unidos, tanto lontano da Dio ma tanto vicino agli Usa che finiscono regolarmente per pagare i suoi debiti catastrofici. Invece no. Nessuna guerra al go¬ verno messicano e alle sue camarille e corruttele. La guerra viene spostata nel cyberspazio politico, adattata con abili colpi di forbice psicologica agli umori nordamericani ed europei, ciò che ha richiesto non la difesa armata, ma là adozione propagandistica delle popolazioni indiane arruolate da Marcos non a scopo insurrezionale ma esibizionista: gli indios nel Chiapas di Marcos stanno tanto male quanto prima. L'unico vantaggio che hanno avuto è il divismo turistico, l'industria delle cartoline, i provvedimenti saltuari e a pioggia delle elargizioni governative, sparse con gii stessi criteri con cui la peggior democristianeria meridionale spargeva i miliardi mutili della Cassa del Mezzogiorno. Per le popolazioni indiane assunte in pratica come comparse per il kolossal-Internet di Marcos si produce mia sterminata quantità di chiacchiere, verbalizzate settimanalmente durante gli incontri all'aperto sotto le insegne della PepsiCola fra eleganti guerriglieri, rappresentanti del clero e uomini di governo privi di potere decisionale, tant'è che non decidono nulla. Ma gli indiani frattanto hanno subito una mutazione favorevole: sono diventati giocattoli simbolici per residuati ideologici. Evocano «Mission» e «Soldato blu», aiutano le cattive coscienze e si presentano splendidamente nelle foto: un kit di simboli adatti ai giovani europei e americani, orfani di Castro, orfani di tutti i fallimenti rivoluzionari, ma uniti - strettissimamente uniti in un unico odio: quello per l'Occidente tecnologico, per i mercati, le leggi dell'economia, il principio di realtà, la politica concreta e faticosa. Queste fatiche, grazie alle pagine Web di Marcos e dei suoi supporters, sono gioiosamente scansate e dichiarate anzi indecenti. Tutto è più facile, elementare, evidente: gli indiani sono buoni, il capitalismo «neoliberale» è il mostro. Uccidete questo mostro e vedrete rifiorire come d'incanto gli appassiti indios, ultimi prodotti te- lematici del Wwf del cuore: venite dunque, oh internazionale dei giusti della terra, a proteggere i buoni selvaggi finalmente rivestiti con le uniformi dei buoni rivoluzionari, veniteli a visitare e fotografare nei villaggi di Realidad, la Garrucha, Moreli, Las Margaritas. So benissimo che scrivendo queste banalissime e controllabili verità, sto mandando in bestia un intero popolo di credenti che esige di potersi contentare di poco ragionamento e nessima conoscenza dei fatti. Ma fare la controprova non è difficile: il fronte zapatista, così struggentemente buono, sta forse mettendo termine alle satrapie del governo messicano? Neanche a parlarne. Tutti stanno dove stavano e seguitano a fare quel che facevano. Lo scopo dichiarato dell'astuto sociologo alla macchia con i suoi fax, i telefonini e i suoi browsers di accesso per Internet, è quello di sostituire l'imputato, lasciare impunito il malgoverno e mettendo però fragorosamente alla gogna l'Occidente industriale, il «neoliherismo», i mercati, l'ideologia del tutto assente ed estranea al Messico del profitto inseguito attraverso la qualità. Quella sì che è musica mondiale, universale, la vera e nuova Internazionale. Altro che le ruberie dei gerarchi e degli industriali di regime. A chi volete che gliene importi degli indiani maltrattati dai funzionari, quando possiamo, per lo stesso prezzo, avere gli stessi indiani vittime nientemeno che del Neoliberismo. E' questa la genialità vincente degli zapatisti guidati da uno studioso di grandissimo valore come Marcos dal chiuso della sua umida foresta: aver prodotto e accreditato, con firme e controtimbri del gauchismo francese e italiano, un nuovo mostro che aggiorna e resetta i vecchi mostri, costituisce l'upgrade della vostra ideologia ormai superata, presenta l'ultima versione del più grande videogioco che abbia invaso Internet. Piace inoltre ai geni come Ariel Dorfman che ebbe il coraggio di scrivere un serissimo saggio intitolato «Zio Paperino, braccio armato dell'imperialismo». Piace ai guerriglieri sconfitti come Bravo. Piace alla sigora Mitterrand, piace al disegnatore Wolinski, piace al fantastico scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, l'indimenticato autore di «Las venas abiertas de America Latina», l'uomo che ha definito la Cuba di Castro «un grande fallo proteso verso la vagina degli Stati Uniti», piace a Carlos Fuentes che si presenta nelle università americane come un leggendario sostenitore degli indiani contro il capitalismo selvaggio, allo scrittore britannico John Berger, all'amico-nemico del Che, Régis Débray, per non dire del serafico vescovo monsignor Ruiz, fiancheggiatore della buona guerriglia e mite lettore ed esegeta di Rousseau e Montaigne. Tutte persone sinceramente convinte che l'età della pietra fu l'età dell'oro e che il buon selvaggio sia vivo e lotti insieme a noi. Marcos ha quindi condotto una operazione fantastica, unica nella storia moderna e prima dell'era dei computer collegati: quella di una guerriglia romantica stracarica di simboli e magliette, come un bazar, capace di sostituire ideologismi in corsa sostituendoli con roba nuova, più facile, che richiede meno studio e applicazione del marxismo-leninismo, buona per tutte le bocche e palati orfani di un altro caduto famoso: il terceromundismo, gemale invenzione di Carlos Rangel, un po' in disuso, ma riciclabile. Paolo Guzzanti (3-Fine) Venti giorni fa un centro turistico è stato assaltato da un commando che ha sparato alla cieca Quattordici persone sono state uccise L'obiettivo: screditare il «subcomandante» e la sua «rivoluzione soft» che incanta gli intellettuali con la difesa degli indios e l'odio per il mercato Molti credono che il misterioso gruppo sia finanziato dal partito di governo Vi militerebbero vecchi ultra europei anche italiani chiapas 3° I ■i ssa**-'. . :* ..j^.-.cSi*-«asssSBB L'obiettivo: scil «subcomande la sua «rivolusoft» che incanintellettuali codifesa degli ine l'odio per il Il suMarmitoLati Il subcomandante Marcos, nuovo mito dell'America Latina Guerriglieri zapatisti di guardia a un villaggio maya nel Chiapas Il vescovo Samuel Ruiz

Luoghi citati: America Latina, Centro America, Cuba, Marcos, Messico, Stati Uniti