SE IL TRENO FINISCE IN DEBENZA di Stefano Bartezzaghi
Mazzette e neologismi Mazzette e neologismi SE IL TRENO FINISCE IN DEBENZA LE voci nuove non sono solo quelle canore che vengono selezionate a Castrocaro, secondo le modalità oggi all'incuriosita attenzione della Magistratura. Vi sono voci continuamente rinnovate (fra neologismi, noniogismi e ripescaggi) anche e soprattutto nel dizionario ufficiale della Repubblica. Un esempio? Pirla. Un altro esempio? Deben za. L'altro giorno, il Televideo aveva una pagina sulla (presunta, ma certo) evasione fiscale delle Ferrovie dello Stato, per un totale di duemila miliardi. Nella loro replica, sempre secondo il Televideo, le Ferrovie dello Stato avrebbero sostenuto la propria «non debenza». Sarebbe bello poter pensare a un refuso. In questo caso il comunicato delle FS parlerebbe, piuttosto, della condizione di «non demenza» delle FS stesse: che attualmente si trovano senza capo, ma non hanno perso la testa del tutto. Oppure la «non degenza»: le FS sono malate, ma non è cosa da ricovero. O anche la «non decenza»: con severissima autocritica, le FS si scusano per i ritardi dei treni e la condizione non sempre commendevole delle toilcttes. Con un surplus di immaginazione, dalla debenza si può raggiungere anche l'aderenza, la deten zione, o addirittura Desenzano (importante stazione ferroviaria e balneare fra Brescia e Verona). Ma la fantasia ci fa dimenticare quale sia la nuda realtà: che esiste (da poco ma esiste) il termine debenza. Il Vocabolario Treccani lo registra e lo definisce, sia pure, con strane titubanze sintattiche, «obbligo stabilito per legge di dover fare qualcosa, e soprattutto di dover versare una somma». Nel caso delle FS la «non debenza» è un debito da duemila miliardi, grosso abbastanza per far paura anche al creditore, che scende a patti (o, chissà, a «pattanza»). La debenza non sarà il contrario del credito, ma della credenza; e chi non ha molti meriti da vantare presenterà non le credenziali, ma le sue debenziali (da anni, del resto, si propone di chiamare «Vincenza» lo stato mentale di chi ritiene di essere un vincente; e invece quella di un ente come le Ferrovie dello Stato sarà, pili semplicemente, la condizione di «Enza»). Ma non si vive di sola debenza. Un titolo del Corriere della Sera di ieri recitava: «Una talpa avvertì Squillante della cimice» (la talpa della cimice sarà poi stata un segugio, ma tale pulce nell'orecchio non è stata messa in via del babuino, purtroppo; però anche il «bar Tombini» ha le sue suggestioni). Lo stesso giorno Cicala ha lasciato il ministero dei Lavori Pubblici, e Di Pietro ha inghiottito il rospo. Viviamo in posto in cui i falchi normalmente si imbufaliscono e vampirizzano le colombe, la gattamorta finisce in gattabuia con i gatti selvaggi, il Corvo non è un'aquila ma una canaglia che fa cagnara, Grillo fa il pesce in barile, vari Gattopardi cavalcano la tigre della Pantera, Formica è al canto del cigno, Vespa dà la linea a Mosca. Il complesso di Esopo, insomma. Stefano Bartezzaghi
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