Il gene del buonumore di Franco Pantarelli

Scoperta in Usa: sorrisi e tristezze sono una caratteristica innata Scoperta in Usa: sorrisi e tristezze sono una caratteristica innata Il gene del buonumore CNEW YORK OSA determina il buonumore? No, non quello momentaneo che ci coglie dopo avere ricevuto una buona notizia o avere assistito all'esibizione di un comico, ma quello che ci fa guardare le cose con occhio benevolo e ottimista. Perché alcuni di noi ne sono capaci e altri no? Ebbene, secondo la scoperta di un gruppo di ricercatori dell'Università del Minnesota, il buonumore non è - o almeno non soltanto - uno stato •mentale: è anche una condizione genetica. In sostanza, chi ha il «gene del buonumore» è portato a prendere le vicende della vita con ottimismo, chi non ce l'ha... sorry. Tanto ne sono convinti, i ricercatori del Minnesota, che hanno pubblicato i risultati del loro esperimento sulla rivista «Psychological Science», meritandosi un commento di «Nature Genetic», un'autorità nel campo, che lo pubblica come editoriale nel suo prossimo numero. L'esperimento è consistito nell'interpellare 1308 coppie di gemelli, parte monozigoti, cioè nati da un solo ovulo, e parte eterozigoti, venuti da due ovuli diversi, con domande del tipo «sei normabnente di buonumore?» e «il futuro ti sembra promettente?». I monozigoti, si è constatato, rispondevano allo stesso modo, mentre le risposte degli altri differivano. E' stato ripetuto l'esperimento dieci anni dopo - suppo- nendo che nel frattempo la vita avesse inciso su ognuno di quei signori più profondamente - e il risultato è stato lo stesso. Poiché la differenza fra monozigoti e eterozigoti è che i primi hanno lo stesso patrimonio genetico e i secondi no, la conclusione è stata che il buonumore è determinato per l'appunto dalla presenza di un gene. Quale? Per ora, spiega il dottor Dean Hamer, autore dell'editoriale, accontentiamoci di sapere che quel gene esiste. Individuarlo, dargli un nome e vedere come lavora sono passi successivi del canimino appena cominciato. Di sicuro, comunque, dice Hamer, vale la pena di tentarlo, quel cammino, perché al fondo di esso c'è nientemeno che la possibilità di mettere a punto una specie di «terapia genetica della tristezza». In pratica, si potrà «intervenire» sul patrimonio genetico delle persone non semplicemente per «farle sorridere», ma per determinare il loro approccio alla vita. Franco Pantarelli

Persone citate: Dean Hamer, Hamer

Luoghi citati: Minnesota, Usa