Guerra dell'eroina, inferno in ospedale di Fulvio Milone

Guerra dell'eroina, inferno in ospedale Guerra dell'eroina, inferno in ospedale Contro lo spaccio in corsia, paziente appicca il fuoco LA TRINCEA DEI SIEROPOSITIVI LNAPOLI ITIGAVANO in quattro per un pizzico di eroina, si scazzottavano nella stanza da bagno mentre nella camera accanto, in un letto al quarto piano dell'ospedale Cotugno, una larva d'uomo rantolava consumato dall'Aids. «Ma che bestie siete? Siamo in un ospedale, mica per strada: non avete nessuna pietà, nessun rispetto per chi soffre», ha protestato la madre del moribondo. Ma loro sembravano non sentire nemmeno, affamati com'erano di droga. Tranne uno che, infastidito, si è avvicinato al letto, ha fissato il volto disfatto dal dolore di quella donna di settantanni che stava perdendo per sempre suo figlio e ha sibilato: «Nun ce rompere 'o cazzo, hai capito?». Allora, solo allora una molla è scattata nel cervello di Ciro, un altro ricoverato che aveva assistito alla scena senza fiatare: ha lanciato un urlo, si è buttato giù dal letto, è corso in corridoio e ha sfondato una vetrata con una sedia. Poi ha trascinato un materasso fino alla porta della stanza del medico di turno ed ha appiccato il fuoco. L'incendio è stato domato da una guardia giurata, e il dottore se l'è cavata con molta paura e nulla più. E Ciro? Perché l'ha fatto? «Perché questo è un ospedale e io, che a trent'anni mi ritrovo a combattere con l'Aids, ho il diritto di essere curato in pace - risponde - e perché non ne posso più di subire l'arroganza dei tossici in crisi d'astinenza e degli spacciatori che entrano ed escono dai reparti come e quando vogliono. Perché io, che non mi drogo più da mesi, non sopporto di vedere tutta quella eroina circolare in corsia senza che nessuno faccia niente. Perché voglio vivere quel po' che mi resta e poi morire con dignità. Pretendo troppo?». Qualcuno ha- ribattezzato il Cotugno «la Cajenna dei medici e dei ricoverati». L'ospedale specializzato nella cura delle malattie infettive e soprattutto della sindrome da Hiv è stato in un passato recente al centro di episodi sconvolgenti: il 14 agosto dell'anno scorso un ricove- rato morì stroncato da un'overdose; cinque mesi prima, alcuni ammalati di Aids imbrattarono le pareti delle corsie con il proprio sangue e lanciarono mobili e suppellettili dalla finestra per protestare contro la pessima qualità del vitto. Ieri, infine, il gesto disperato di un ricoverato che chiede solo di poter morire dignitosamente. Elio Manzillo, il medico che ha rischiato di morire intrappolato tra le fiamme, non prova alcun risentimento. Anzi, dice che Ciro in fondo ha agito per una giusta causa: «Lo conosco da quando si è fatto ricoverare due mesi fa, è un bravissimo ragazzo, a lui va tutta la mia comprensione. Ha compiuto un'azione estrema per denunciare una situazione estrema. Questo - dice Manzillo - non è più un ospedale, e noi non siamo più medici. Vuole sapere come si svolge la mia giornata di lavoro? Le ore del mattino devo sprecarle in ufficio, per compilare le schede dei ricoverati che entrano ed escono in continuazione, sempre in cerca di droga. Trascorro il resto della giornata distribuendo metadone e tranquillanti ai tossicomani in crisi d'astinenza, e spesso vengo minacciato dai pazienti che pretendono una dose maggiore di psicofarmaci. L'ultimo episodio risale a ieri: mentre mi trovavo al capezzale di un poveraccio che stava morendo, ho dovuto affrontare dei ricoverati che minacciavano di tagliarsi le ve¬ ne dei polsi se non avessi dato loro dell'altro metadone». I responsabili dell'ospedale chiedono da anni l'istituzione di un posto di polizia nell'ospedale. La richiesta, però, è rimasta lettera morta perché la legge non prevede la presenza delle forze dell'ordine nelle strutture in cui non c'è pronto soccorso. Domenico Pirozzi, direttore generale del Cotugno, è preoccupato. «Quest'anno si sono verificati ben 30 episodi di violenza fra gli ammalati di Aids, quasi sempre tossicodipendenti - dice -. Sappiamo che in corsia circola la droga e che coi familiari in visita ai ricoverati entrano anche gli spacciatori. Ma noi non siamo poliziotti, non possiamo perquisire ogni persona che varca l'ingresso di questo ospedale». Anche i deputati verdi Alfonso Pecoraro Scanio e Annamaria Procacci chiedono il potenziamento dei controlli per arginare il traffico di droga nei reparti. Fulvio Milone

Persone citate: Alfonso Pecoraro Scanio, Annamaria Procacci, Cotugno, Domenico Pirozzi, Elio Manzillo