I boiardi crocefissi di Fabiano Fabiani

I boiardi crocefissi I boiardi crocefissi II Polo: la sinistra vuole uomini suoi ,: 'stnsonee I MANAGER PUBBLICI NEL MIRINO .eoo om ipnognism.rf ?.n^ CROMA HE cos'è un boiardo?» domanda Biagione Agnes che sentendosi chiamato in causa dai tanti che invocano l'azzeramento di tutto il management pubblico o para-pubblico, è uscito dal silenzio che lo contraddistingue. Azzardando una definizione si può dire: un boiardo di Stato è un personaggio che per decenni è stato al vertice di un'azienda pubblica, che ha cambiato lavoro ma è sempre stato in un ruolo importante nelle partecipazioni statali, che è sempre caduto in piedi, inamovibile molto più di un politico, poco meno di un Papa. Per fare un esempio si può parlare dello stesso Romano Prodi che è stato due volte ministro dell'Industria. Che ha fatto il presidente dell'Iri e, lasciato quel posto, è stato nominato da Lorenzo Necci (comunicato Ansa del 24 gennaio '92) garante per le conseguenze territoriali dell'alta velocità proprio nel periodo in cui Nomisma (fa testo un comunicato della stessa società di ieri) lavorava per le Ferrovie. Che successivamente è tornato all'Iri per andarsene e approdare alla politica. Un boiardo di Stato, ce ne possono essere di più o meno competenti, di fatto è questo. Contro questa categoria di persone si è scatenata ora una caccia all'uomo. L'ha aperta lo stesso Prodi dicendo che bisogna cambiare tutto il management del Paese. Gli è andato dietro Massimo D'Alema che ieri parlando del caso Necci ha sentenziato: «C'è una struttura di potere nascosto il cui motore non sono i partiti e che è venuta sostituendo il governo democratico. Se ne esce rinnovando la classe dirigente». Sentendo questi discorsi ieri il più sanguigno dei boiardi, cioè Agnes, ha reagito. «Se boiardo - ha detto l'interessato difendendo l'intera categoria vuol dire lavorare per 40 anni per la propria azienda allora mi piace essere uri boiardo. Non si tratta di un distinguo fra esponenti delle cosiddette "prima" e "seconda" Repubblica, fra boiardi e non boiardi, fra giovani e meno giovani; la verità è che una comunità civile si divide in delinquenti e onesti». Ma malgrado il «vocione» di Agnes la questione è ormai all'ordine del giorno. Nella maggioranza se ne parlerà nelle prossime settimane e i più fortunati dei compagni di Biagione possono sperare al massimo di andare avanti per un altro anno, non di più. «Prodi - racconta Gianclaudio Bressa che ne ha parlato con il premier - è molto determinato. Non ci metterà certo due-tre mesi, ma in sei mesi farà tutto. Man mano che arriveranno a scadenza li cambierà. Certo Prodi non può cambiare il management della Stet perché lì la privatizzazione è già avviata e non si può cambiare il vertice di una società nel bel mezzo di una fase delicata». Ma non tutti sono d'accordo con questa filosofia. Nella maggioranza c'è chi ha paura che il caso Necci sia usato come una clava per cambiare gli equilibri in un sistema nevralgico come le partecipazioni statali, per spostare il baricentro del potere a sinistra. «Che succede? Vogliono cambiare i vertici delle grandi aziende a partecipazione statale?», chiede Ciriaco De Mita nel Transatlantico di Montecitorio: «Ma che cambi e cambi! - è la risposta -. Quelli di cui si parla nelle cronache son tutti nuovi! Eppoi chi rimane dei vecchi a parte quelli che stanno alla Stet? Anche alla Finmeccanica, escluso Fabiani che è presidente, il managment è nuovo. Dico che il problema esiste ma non è questa la soluzione. Eppoi c'è una glande ipocrisia: non è che dipende dal direttore del giornale il fatto che sono stati pubblicati tanti articoli che facevano la propaganda aUe Ferrovie. A proposito perché non pubblicate l'elenco dei giornalisti?». A Ciriaco de Mita e probabilmente a molti popolari non piace proprio questa storia, tanto che l'ex segretario de getta lì una frase piena di sospetti: «La verità è che questa situazione non mi piace, fate un giro in Transatlantico e vedrete che sono tutti preoccupati: c'è paura. Aveva ragione De Rita quando ha parlato di quella cupola, della magistratura e di tutto il resto: io sono d'accordo con lui. Ma appena De Rita ha detto quelle cose è stato subito criminalizzato». E probabilmente la «paura» di cui parla De Mita è questo strano meccanismo che va avanti da anni: c'è uno scandalo, cadono le teste e arriva un'altra classe dirigente più o meno nuova. Una sorta di spoilsistem per via giudiziaria. Operazioni che non lasciano scampo. Tant'è vero che intorno alle vittime c'è un fuggi fuggi generale. Neanche tre settimane fa Ernesto Staiano, presidente della commissione trasporti della Camera, aveva fatto di tutto per assicurarsi la presenza di Lorenzo Necci all'inaugurazione di una nuova sede di Rinnovamento Italiano. Oggi, invece, l'interessato spara senza pietà sull'ex, presidente delle Ferrovie: «E' grave che un uomo come Necci abbia intrattenuto rapporti con Pacini Battaglia. Quello andava considerato come un untore». E il presidente della commissione trasporti non si trattiene, lancia bordate contro tutti i boiardi, anche quelli vicini al suo capo, Lamberto Dini. Dice: «Se saranno cambiati i boiardi non verserò ima lacrima. Mi dispiace il fatto che ci andrà gente meno di centro e più di sinistra, ma su Agnes io non posso piangere. Ma su! Bisognerebbe mettere delle regole: faccio un esempio, se c'è una società che ha 14 mila miliardi di fatturato e 28 mila di magazzino e Tarn • ministratore riesce ancora a tenerla in utile dopo 8 anni che ci sta, allora è meglio che venga cambiato. Di chi parlo? Di Fabiani alla Finmeccanica. Tanto per dirne una. La realtà è che in questo cazzo di Paese i bilanci non li legge proprio nessuno. O sono falsi, ma ad un certo livello non possono esserlo, vengono ammorbiditi ma uno che sa leggerli lo capisce. Il problema è che in questo Paese a nessuno frega niente di leggere i bilanci. Per fare un altro caso il Banco di Roma ha perso dall'inizio dell'anno in Borsa il 34,6%. In un altro Paese l'amministratore sarebbe stato cacciato a calci se solo ci fosse stato il 4-5% di perdita. E qui invece sta al suo posto con tre Sim sospese. Non frega niente a nessuno. Se non frega neanche a Dini? Non è vero. Lui la pensa proprio così». Insomma, se fosse per Staiano li getterebbe tutti al mare. Capita sempre così alle persone che vanno in disgrazia. E i più severi sono sempre quelli che più rischiano di essere coinvolti. Dice, ad esempio, Publio Fiori, ex ministro dei Trasporti tirato in ballo più volte in questi giorni per il caso Necci: «La cosa importante è che deve finire la tecnocrazia. Io preferisco che un manager sia nominato direttamente da D'Alema almeno so chi ne porta la responsabilità». Ma come nella maggioranza, anche nell'opposizione c'è chi nutre qualche dubbio: «Ma come si fa ad non avere il sospetto - domanda Rocco Buttiglione che questa storia di Necci sia usata per cambiare il management con gente più affidabile per la sinistra?». Augusto Minzolini Agnes: «Sono fiero di aver lavorato quarant'anni per la mia azienda» De Mita: «In giro c'e paura. Aveva ragione De Rita, quando parlava della cupola» A sinistra l'ex presidente de Ciriaco De Mita e, qui sopra il leader pds Massimo D'Alema e Fabiano Fabiani