In carcere l'ora dei «Visitors di Filippo Ceccarelli

In carcere Fora dei «Visitors prigione spettacolo In carcere Fora dei «Visitors E' di moda l'omaggio al detenuto eccellente R: ROMA ECITA la penultima delle sette opere di misericordia (corporali): «Visitare i carcerati». Ma anche al di là del catechismo, e forse pure dell'umana pietà, è cosa degna, giusta e civile che qualcuno possa verificare di persona come stanno, i carcerati. Con legge 26 luglio 1975 n. 354 ( 1 ), questo è consentito (anche) ai parlamentari. A Montecitorio e a Palazzo Madama ce ne sono alcuni che lo fanno più spesso. E quindi senz'altro bisogna essere grati a Luigi Manconi, a Vittorio Sgarbi, a Tiziana Maiolo, a Alfonso Pecoraro Scanio, a Marco Taradash e a chiunque altro ritiene di onorare il proprio mandato visitando le prigioni della Repubblica e dandone conto ai media. Il problema è «come». Perché con la dovuta complicità dei giornali e la smania di quanti vi scorgono un sistema per farsi pubblicità, ecco, forse per la prima volta s'intravede il pericolo che quella sacrosanta prerogativa non serva più tanto ai carcerati, e anzi finisca per incrinare quel poco che pietosamente gli rimane: la dignità. Ha senso, per dire, una descrizione dallo spioncino o un colloquio in tedesco con Priebke? C'era bisogno dell'onorevole per sapere che Curtò era in pigiama, che la cella di De Lorenzo puzzava, che Nobili leggeva la Bibbia o Darida, poveraccio, era quasi impazzito? I detenuti, si sa, non si possono fotografare. Però raccontarli, sì. E tanto si può - anche grazie a quei parlamentari che d'un tratto s'improvvisano cronisti trombettieri o scrittori civili - che la «visita» sta diventando un genere: inconsapevolmente sadico e perciò, forse, di sicuro successo. Sono i paradossi del garantismo. Nessuno potrebbe dubitare, ad esempio, che il senatore Pera sia un garantista. Ma proprio per questo, domenica, faceva uno strano effetto il resoconto, su un quotidiano del Nord - ma in tutta onestà sarebbe potuto apparire su qualsiasi altro quotidiano del Centro e del Sud della sua visita al carcere di La Spezia. E sì: Necci «con un groppo alla gola al solo pronunciare il nome di Alessandra»; Danesi che «piange e si dispera»; le «mani» del giudice Salvia, «completamente invase da macchie rossastre a causa di un'improvvisa allergia», penzolanti sulle sbarre; «il faccione» di Pacini Battaglia che «spunta dalla grata della cella». E il racconto prosegue, come in uno zoo, o in un girone infernale, con incredule valutazioni sulla «spavalderia di quell'uomo». Come se un prigioniero non avesse nemmeno il diritto di reagire a suo modo, come se la protervia non fosse una forma di sopravvivenza. E invece no. Il colloquio è animato dalla meraviglia e dalla curiosità del senatore Pera, quasi affascinato dal «toscanaccio» che si trova davanti, così simile ai «tipi descritti da Renato Fucini, nelle novelle. Ma quelli, al confronto, erano dei collegiali». Ecco quindi un giudizio impegnativo: «Qualunque cosa abbia combinato, ha tutta l'aria che lo rifarà non appena uscito dal carcere». Fino all'invito terminale «ad ammettere le proprie responsabilità nei confronti del Paese». Ora, dal punto di vista della lettura - come, del resto, quelle intercettazioni sulla cui pubblicazione si è levato un coro di «vergogna!» «vergogna!» - il racconto c'è, il ritmo pure, i particolari funzionano e anche i riferimenti letterari paiono, pur nella loro crudele superfluità, più che appropriati. Ma dal punto di vista di Pacini? E dei parenti del giudice con le mani chiazzate? Non gli è venuto il sospetto, al senatore, di aver offerto un contributo al montante «carcereshow», alla «prigione-spettacolo»? Vero è che ieri, sul quotidiano di cui è editorialista, come a suo tempo è capitato a tanti deputa¬ ti-giornalisti, Pera ha voluto scrivere lui stesso una seconda puntata dell'incontro spezzino. Ed è stato già meglio, anche se non ha saputo resistere alla tentazione di raccontare di aver portato L'apologia di Socrate in dono a Necci. E di avergliene pure letto un brano scelto, con implicita richiesta di commento, che peraltro non deve averlo molto soddisfatto. Ma tant'è: né i giornalisti, evidentemente, né i professori di filosofia riescono a fare solo i parlamentari. Ed è un peccato. Però, intanto, veniva anche da pensare a come una buona azione, compiuta in buona fede, finisce talvolta per perdersi nel gor¬ go del più concitato consumismo mediatico-giudiziario. Strano destino. Nata come strumento di tutela dei prigionieri - all'Asinara, grazie a Palmella - oggi la «visita in carcere» non solo tende a divorare se stessa scavalcando i carcerati, ma rischia di solleticare il più strenuo giustizialismo, quello di chi agogna vedere i potenti umiliati, seminudi o infreddoliti sulla branda, meglio se in compagnia di ladri e spacciatori, con la barba lunga e l'occhio spento dagli psicofarmaci. Come se la punizione della galera non bastasse, e per loro ci volesse pure l'articoletto. Filippo Ceccarelli

Luoghi citati: La Spezia, Roma