Petrov-Vodkin un Sironi russo

Ora Pietroburgo lo riscopre Ora Pietroburgo lo riscopre Petrov-Vodkin un Sironi russo ■!j t I SAN PIETROBURGO NA mostra ogni trent'armi. Esatti, come un fatale oroI logio della gloria. E gloria \JJ sofferta. 1933, quando era un autorevole cantore del regime. 1966, quando il disgelo kruscioviano riesce ad apprezzare le doti artistiche al di là della soffocante cappa di propaganda politica. 1996, quando nel marasma zuccherino delle ideologie sovvertite, tutto ritorna a galla. E ritorna anche a far parlare di sé un interessante artista di regime, Kusmà Petrov-Vodkin, che certo non è noto in occidente, ma che non è inutile scandagliare, per rendersi conto come in fondo, pur tra steccati ideologici e chiusure di cortine, esiste una sorta di linguaggio basico, transnazionale, che accomuna in uno stesso periodo le esperienze artistiche più divergenti. E' un poco quello che Propp osservava per le fiabe, LevyStrauss per i costumi antropologici: per quanto riguarda l'arte, puoi trovare benissimo dei De Pisis polacchi, dei Derain uzbechi. Sconosciuto in occidente, si diceva di Petrov-Vodkin: ma questo non è vero. Forse qualcuno ricorderà per lo meno il ritratto «scheggiato» della poetessa Achmatova, se non quell'altro «capolavoro» di arte dell'agit-prop che era la Morte del Commissario che nel 1928 fu presentato anche in Italia con grande successo (a dimostrare questa curiosa commistione di complicità tra le arti di regime). Non tanto per quanto riguarda il suo stile, ma per la sua parabola storica, Petrov-Vodkin può essere considerato una sorta di Sironi del Comunismo. Artista appoggiato «PrimaverPetrov-Vodkdettati del re del 1935, si adeguò ai smo socialista dall'apparato di Stato, anche se non mai troppo compromesso, Petrov-Vodkin ha pagato il suo allineamento al realismo socialista con mi ostracismo che è durato sino ad ora. Ora invece, in clima di riscoperte e di liberalizzazioni, è giunto il suo momento. Il Museo di Storia di San Pietroburgo ha sottratto dai suoi penetrali un numero nutritissimo di opere e ne ha facilmente costruito un mito, in questo momento in cui languono le figure carismatiche. La mostra continua a esser prorogata per il suo successo e una rivista come Ogonek ne ha tracciato un profilo intrigante e trionfale. Anche se non tutto è roseo. Il museo stesso non ha nemmeno i fondi per curare un catalogo, la Galleria Tretiakov di Mosca si è rifiutata di inviare uno dei suoi quadri più emblematici e strani: // bagno del cavallo rosso. Un nudino gracile e gentile, in stile Marie Laurencin o Valentine Hugo, cioè da MusicHall parigino, in groppa ad un impetuoso ed incombente cavallone completamente paonazzo, che cavalca come mi palcoscenico di onde, in un guado immaginario e volante. E il rosso di Vodkin è completamnte diverso da quello espressionista di Marc, o quello mediterraneo di Sassu. Certo, la prima reazione è di rifiuto. Tutte quelle Madonnine serafiche e contadine alla Sassoferrato in stile Zdanov (Petrov-Vodkin è stato uno dei pochi artisti che hanno continuato in piena rivoluzione a decorare chiese e dipingere Crocefissi), quelle matrioske ubertose e paffute, col foulard paesano in testa e il bambùio vispo azzannato al seno, quei nudini androgini e quasi asessuati (che potrebbero trovare un equivalente con quelli dei nostri Janni o Ferrazzi), ma che intessono qui mi etemo girotondo sul ciglio verde della catastrofe, ebbene, tutto quell'oleografismo mi po' stucchevole consiglierebbe di fuggire esasperati, gridando: «Il kitsch no, ne scampi e liberi». Ma sarebbe una superficialità: perché se si guarda a quella pittura come d'encausto e imborotalcata, alla Puvis de Chavannes (nonostante Petrov odiasse le «novità» francesi) se si sa apprezzare l'eleganza ruvida di quei ritratti prismatici e cristallini, alla Ferrazzi, quelle sorprendenti nature morte ghiacciate di aringhe e patate che ci rimandano a Editila Broglio, Petrov risulta un artista di assoluto interesse. Non certo della forza di Deineka, ma da non sottovalutare. Partito da ima matrice tardo-simbolista e salottiera, alla Golovin o alla Serov, professore d'Accademmia temutissimo (sua la teoria dei Tre Colori) con i suoi volti dilatati che poi i citazionisti avrebbero copiato, gli angeli pierfrancescani arroventati dalla passione, i fidanzati sporti sull'abisso della dichiarazione e i sindacalisti la cui tensione non viene frenata nemmeno dalla cornice, Petrov-Vodkin ci attrae soprattutto laddove affiora quella sua idea di concava finitudine dell'universo. Dove si avverte la rotondità della Terra, come stando sulla Piazza Rossa. Marco Vailora «Autoritratto» di Kusmà Petrov Vodkin realizzato nel 1918 Il pittore è sempre stato vicino al regime sovietico senza compromettersi troppo «Primavera» del 1935, Petrov-Vodkin si adeguò ai dettati del realismo socialista

Luoghi citati: Italia, Mosca, Pietroburgo, San Pietroburgo, Sassoferrato