Redon, incubo solitario

Lugano, il pittore simbolista francese rievocato dalla grande retrospettiva aperta sino al 17 novembre Lugano, il pittore simbolista francese rievocato dalla grande retrospettiva aperta sino al 17 novembre Redon, incubo solitario Una voce di tragica fragilità TLUGANO ESTE-MASCHERE grottesche, volanti, incubiche, figlie di Goya e sorelle di Ensor, e occhi protagoni- enormi, con la pupilla rovesenza antenati ma con un sti, sciata, ricco futuro surrealista, rimbalzano innocenti e spaventosi, infantili e cosmici da un foglio all'altro, sfumato a carboncino o litografato, di Odilon Redon nel suo ventennio «nero» dal 1875 al 1895. Su questo soprattutto s'incentra, con una soffice violenza d'immagini quasi allucinatoria, la grande mostra al Museo Cantonale d'Arte fino al 17 novembre, con catalogo Skira, conclusa dalla luce e dal colore dei più noti Fiori a olio e a pastello. L'immersione, anzi l'abbandono totale di questo genio introverso e solitario all'immaginario di una fine secolo in cui convivevano, in una miscela che sarebbe esplosa all'inizio del successivo, ogni sorta di misteriosofie simbolistiche e l'illusione positivistica di penetrare scientificamente in ogni segreto del microcosmo e del macrocosmo, ci autorizza a «leggere» quelle teste orfane di corpo, quelle pupille rovesciate a due livelli solo apparentemente antitetici. L'uno è quello dell'inconscio individuale e collettivo emergente nella tradizione del fantastico artistico di alcuni «illuminati» di diversissime radici ma sempre in tempi e luoghi di dramma e di travaglio, Bosch, Goya, il litografo Grandville altrettanto feroce quanto Daumier nel suo mondo di fiori e di insetti antropomorfi. L'altro è quello «positivistico» del riversamento in forma incubica delle epilessie infantili di questo figlio della buona borghesia bordolese, fragile emarginato dai coetanei e dalla famiglia stessa, dato a balia a due giorni dalla nascita nella tenuta di campagna del Médoc e ivi rimasto fino a 11 anni in colloquio solitario con la natura. Nelle sale iniziali, tratti di matita nudi ed essenziali di una natura elementare alla Corot - chiaro modello delle prime prove pittoriche illustrano un solitario contemplatore di una macchia d'alberi fra nu¬ vola e sogno, un ultimo discendente da Caspar David Friedrich, così come un acquerello dei primi Anni 60 di Paesaggio al tramonto ha in sé l'ultima aura romantica panteistica di Friedrich e Turner ma anche un brivido di preannuncio dell'astrazione soggettiva di Hodler o di Schiele, ma senza la loro perentorietà di segno modernista. Ciò che colpisce in effetti, con un senso molto conturbante di ambiguità e di straniamento, lungo la cinquantina d'anni fra queste opere e una delle versioni di Occhi chiusi intorno al 1913, lascito pro¬ fondo al futuro Giacometti, è la costanza di un segno gracile e «infantile», onirico, filtrato fra ombra e luce e come filato da ima Penelope segreta e notturna, traccia di memoria introversa. Roseline Bacou in catalogo evoca per i «Neri» il «Tempo ritrovato» di Proust, per questa regressione onirica e simbolica all'infanzia: il Calibano in uno stupendo tragico carboncino del 1881, è un pietoso enorme grottesco bambino schiacciato dall'angoscia. E' Redon stesso a guidarci: «Mi vedo contemplatore, attingere pia¬ cere dal silenzio. Da bambino ricercavo l'ombra... Mi ricordo di aver provato una gioia profonda e singolare nel nascondermi dietro le grandi tende, negli angoli oscuri della casa». Ed ecco che l'interno nella seconda tavola di una delle ultime serie litografiche, per il testo gotico-simbolistico La maison hantée di Bulwer-Lytton, si direbbe ima fonte d'ispirazione per le sequenze nel mulino del Vampiro di Dreyer. Dalla prima tavola («Vidi al di sopra il contorno sfumato di una forma umana»), con una donna-luce al tavolino altrettanto spettrale quanto la colossale testa d'ombra con occhi fosforescenti incombente su di essa, emerge il rapporto con Gustave Moreau, ma, con ben più alta consonanza attraverso i secoli, soprattutto con l'incisione rosacrociana di Rcmbrandt dedicata a Faust mago alchemico ed esoterico. E' questa in effetti la chiave più segreta del fascino di questo «Mallarmé della pittura», come lo definì Maurice Denis, rispetto a un fin troppo corposo evocatore di simboli come Moreau: la classicità del suo essere dentro ad una tradizione profonda della «Melancolia» di Dùrer, a Rembrandt, a Goya, la capacità tesa e febbrile di interpretare quella tradizione nelle forme linguistiche di Gauguin e di Ensor e, per questo, la forza e lo spessore di una eredità trasmessa a Kubin quanto al giovane Klee, fino a quello che ritengo un sensibilissimo rilettore in chiave neoermetica e concettuale: intendo Claudio Parmiggiani. Marco Rosei Fra misteriosofie e positivismo di fine '800 Qui a sinistra, «Santa donna in una barca» dipinto intorno al 1900 in alto, autoritratto di Odilon Redon realizzato nel 1875

Luoghi citati: Este, Lugano