ANALISI«L'autunno della crisi» di Giovanni Trovati

L'autunno della crisi F =1 ANALISI L'autunno della crisi LO sciopero dei metalmeccanici il 27 settembre è stato proclamato con largo anticipo come minaccia, più o meno rituale, per sollecitare la Confindustria a concludere il contratto. Pochi credevano che si sarebbe fatto. Il segretario della Uil Larizza teme il rischio di una guerra «imprevista». Un intervento del governo forse potrebbe sbloccare la situazione; stranamente non tutti sembrano favorevoli. Ma un nuovo autunno caldo sarebbe possibile? Nel 1969 le confederazioni avevano un seguito che non sono riuscite a conservare. I metalmeccanici si consideravano la «punta di diamante» della forza lavoro: compatti, perché la gran massa era relegata ai livelli bassi, e potenti perché forti di numero. Oggi dai due milioni e mezzo del '69 sono scesi a un milione 700 mila. Più della metà, inoltre, occupati in aziende piccole o artigiane, sono poco sensibili alle lotte per il contratto. Lo sciopero di 8 ore potrà anche riuscire, ma il risultato sarebbe magro se servisse soltanto a manifestare la «rabbia». Lo sciopero è una costosa forma di lotta - si perde il salario delle ore non lavorate - che si combatte per arrecare un danno maggiore al «padronato». Però quando la domanda ristagna in quasi tutti i comparti, le aziende almeno quelle costrette a ricorrere alla cassa integrazione - potrebbero addirittura considerarlo un alleggerimento. Il segretario della Uilm, Luigi Angeletti, ha affermato che ai metalmeccanici va riservato il medesimo trattamento concesso ai 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, «considerando, aggiunge, che noi i soldi li guadagniamo, mentre per il pubblico impiego spesso bisogna aumentare le tasse». (Suonano quanto meno anacronistiche le parole virgolettate in un momento in cui il smdacato si prepara a chiamare alla lotta altre categorie). La Federmeccanica repbca che il sindacato ha chiesto troppo - 265 mila lire - dimenticando che nell'accordo del luglio 1993 era stata sottoscritta la ci ausui a che nel rinnovo dei contratti va salvaguardata la competitività delle aziende. Ricorda che il pubblico impiego ha chiuso tra le 220 e le 230 mila lire, i chimici a 220 mila. Il pubblico impiego non ha l'integrativo, che, per gli imprenditori, porta a una «ipertrofia contrattuale» con una trattativa ogni anno, o quasi. La Federmeccanica non ha fatto controproposte, e questo è il primo motivo della rottura. Sul tavolo ha sciorinato alcune cifre: il nuovo contratto in tre anni ('96 - '97 - '98) farebbe aumentare del 21 per cento il costo del lavoro al Nord, e al 26 per cento al Sud, perché in queste regioni sono stati ridotti gli sgravi degli oneri. Ossia l'aumento del costo del lavoro sarebbe più di tre volte maggiore del previsto aumento dell'inflazione. Con la conseguenza che in un mercato che vede il nostro Paese ridurre la competitività a causa della lira rigida sul marco e sul dollaro le prospettive sarebbero di un calo della produzione, con la chiusura delle aziende più deboli e la ristrutturazione entro un paio di anni delle aziende maggiori. Quindi nuova disoccupazione. I conti della Federmeccanica sono giusti, i timori condivisibili? Se non lo sono, perché i sindacati non li contestano? Ma se lo sono perché non U spiegano nelle fabbriche? Temono di essere criticati? Alla Fiat dopo il lungo sciopero che portò alla marcia dei quarantamila i leader delle confederazioni furono insultati. E' il rischio che un sindacato maturo e consapevole corre. Gli animi sono tesi, perché il salario è limitato. Ma gli animi sono anche preoccupati perché il salario è incerto, e nesssuno è sicuro del posto. L: Giovanni Trovati rati |

Persone citate: Luigi Angeletti