Modena risponde al Senatur 300 mila sotto la pioggia di Pierangelo Sapegno

Modena risponde al Senatur 300 mila sotto la pioggia LA QUERCIA IN FESTA Modena risponde al Senatur 300 mila sotto la pioggia MODENA DAL NOSTRO INVIATO Porzz! E piove, piove. Gliel'aveva detto. D'Alema? «No. D'Alema sta parlando», fa quello. A quest'ora, sul far della sera, si accendono le luci e il cielo resiste come l'Italia di De Gregori, metà giardino e metà galera, sospeso sopra quei trecentomila con i berretti e i fazzoletti in testa. Gliel'aveva detto la nomade al Ferraguti che invece se ne va per un'altra strada stringendo una radiolina all'orecchio come se fosse l'ultimo malloppo che gli è rimasto, e prima o poi lo spezzerà quel transistor. Il cartello adesso è lì vicino al bar Cagliari, e si sposta in giro con la sua brava zingara vestita di uno straccio a fiorellini lungo fino al fango che c'inzacchera tutti: «Antica tradizione nomade. Lettura della mano. Lettura dei fagioli». Gliel'avrà detto con i fagioli al povero Ferraguti, che è un bravuomo tutto blindato nel suo giubbotto chiuso sino al collo. «Che il Bologna perdeva, mi aveva detto», cristona lui, e poi fa del suo meglio per spiegare che stava per pareggiare. Chi? Ma il Bologna, santocielo, contro il Milan, e chisenefréga se piove. E D'Alema? «Adesso ci vado». Un po' di pazienza. Stavano già in trecentomila quando il comizio doveva ancora cominciare, assembrati nel grande prato fangoso e sulla strada che lo costeggia. Poi, sono pure diventati un po' di più, quando è salito l'urlo di accompagnamento, ale ooo, ale ooo. E D'Alema poteva ben cominciare senza Ferraguti Antonio. Oggi, il segretario pds era un uomo molto felice: lui parlava dal palco col volto eretto, e i giornalisti stavano tutti sotto a naso in su, immersi nel fango. Poi, una settimana dopo Bossi, D'Alema ha raccolto probabilmente più gente in una volta sola e in un posto solo di quanto non sia riuscito alla Lega per tutto il suo viaggio inseguendo il Po. Pure il cielo è stato abbastanza bravo: s'è fatto galera solo quando D'Alema stava finendo di parlare. Giusto in tempo per annacquare quelli che stavano nel fango con il naso in su. Perfetto. Dall'alto, al coperto nella sala stampa, sembra tutto un parcheggio lì attorno, quando il comizio deve ancora cominciare. Ottocento pullman, dicono. E cinquecentomila visitatori solo oggi, metà domenica 22, che a riderci sopra sarebbe il primo giorno d'autunno. E piove, piove. Piove da ieri, e dall'altroieri. Si va nella guazza, fregandosi le scarpe. I pullman continuano ad arrivare, le macchine anche e i ristoranti, 22, tutti aperti anche alle 4 del pomeriggio, continuano a riempirsi. Fino a sabato, la Festa dell'Unità numero 50 ha incassato 11 miliardi 515 milioni, 861 mila e 50 lire. Che tenerezza, quelle 50 lire. «Senza pioggia sarebbero stati due miliardi in più», avvertono i dirigenti. Vero, probabilmente. Ha fatto più soldi di tutti la libreria, 770 milioni da sola. Il ristorante più ricco, invece, è stato quello del pesce, 660 milioni. Le cucine stanno aperte anche per aspettare i grandi della politica che passano a salutare, una specie di calvario o di rito che non sappiamo bene chi ha inaugurato. Uno fa il cuoco per quello, alle feste. Soprattutto in giornate come queste, di pioggia, di fango e di trincea. E Massimo Mezzetti, segretario del pds di Modena, li chiama dal palco «i compagni delle retrovie». Quando uno dei leader si dimentica di salutarli o salta una cucina, glielo ricordano gentilmente, e allora succede come quella volta con Prodi, ad esempio, che improvvisamente si alzò dalla tavola dov'era seduto a mangiare e scatenò un trambusto con gran stupore di tutti gli astanti. Prima si levarono tutte le guardie del corpo come un uomo solo, poi il capo della polizia, poi scattarono i carabinieri, e poi si eccitarono i giornalisti. Prodi voleva solo andare nelle cucine e ci arrivò fra gente che cadeva malamente e si pestava i piedi. Sabato D'Alema è venuto con un giorno d'anticipo alla festa dell'Unità, proprio per visitarle con calma. Ieri è toccato a Veltroni, nel mezzo del pomeriggio, grande ressa e grande tifo fuori dai ristoranti, baci e abbracci nelle cucine. In mezzo alla calca c'era pure un giornalista che gli ha chiesto se aveva qualcosa da rispondere a Violante quando dice che con la seconda tangentopoli i nuovi politici sono dei pirla. «Chiedetelo a lui. Ma non si riferiva ai governanti di adesso», ha detto Veltroni. Fuori, fra la gente che si rifugiava nelle passatoie, ci si muoveva sospinti dalla marea. I pullman non smettevano d'anivare e all'autoparlante la stessa voce che uno sente sulla spiaggia di Rimini ripeteva: «La bambina Coluzzi Annalisa è attesa dal papà presso la direzione servizi». E poi, a quelli meno svegli: «Per tutti coloro che si sono smarriti il punto d'incontro è il bar sotto il tendone dell'Unità». Dopo le due del pomeriggio, il cielo si calma un po' e la pioggia la minaccia soltanto. Sta arrivando l'ora del Massimo. Il primo cartello sotto al palco, lo prepara ima distinta signora: «Dio c'è. Il pds governa». Il grande pra- to comincia a riempirsi. In giro fra gli stand della festa ci sono sette punti tv e un megaschermo per assistere al comizio di D'Alema. Tutto pronto. E alle 18 in punto il discorso del segretario finisce pure su Internet. In tutti questi giorni, 104 mila viaggiatori sono entrati nel sito della prima grande festa telematica, chissà se si dice così. Come se non bastasse, ci sono pure quaranta collegamenti in diretta via satellite, con altri posti, altre sedi. Se piove, forse era meglio star davanti alla tivù. Ma adesso il cielo resiste e presentano quelli che stanno sul palco. Veltroni raccoglie l'ovazione più forte. D'Alema aspetta il suo turno. Manca il Ferraguti che impreca al Milan, alla nomade, alla sfiga. Ecco, è l'ora del Massimo. «Sì. Ce l'abbiamo fatta». Comincia così, mentre il cielo se ne sta buono. Pierangelo Sapegno . ■ .

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