Pioggia di bobine su Tangentopoli 2

«Mai conosciuto Pacini» Oltre sessanta i nastri registrati ancora da ascoltare, daranno vita a un'inchiesta «bis» Pioggia di bobine su Tangentopoli 2 Oggi la Procura deciderà sulla scarcerazione di Necci Gli inquisiti si difendono: «Accuse senza riscontro» LA SPEZIA DAL NOSTRO INVIATO Ecco, la settimana scorsa un po' sorpresi e un po' nauseati abbiamo assistito al prologo del film «Tangentopoli Due. Il ritorno dei rephcanti». Primi piani, dialoghi, musiche e fruscii. Un totale di 48 ore di registrazione: voci dai toni disinvolti, arroganti, talora sboccati. Sei mesi di storia dell'Italia sommersa maneggiona, da settembre dello scorso anno a febbraio. La Guardia di finanza si è rivelata paziente e instancabile nel lavoro di indagine, soprattutto in quello di ascolto. E non si è fermata a febbraio, quando i magistrati hanno deciso di «chiudere il sacco»: ha continuato a tenere le orecchie ben tese, fino a ieri, fino a stamani. E c'è chi sostiene che il meglio debba ancora arrivare: sarebbero oltre sessanta i nastri già incisi, e daranno vita a un'inchiesta «bis». «Eh sì!, esistono elementi per affermare che i fatti sono andati avanti, dal febbraio scorso», aveva spiegato il giudice per le indagini preliminari Maria Cristina Fama, prima che le imponessero la regola del silenzio. «Ma ad un certo punto bisogna pure tirare le reti, concretizzare il lavoro d'indagine». Ed è vero, aveva aggiunto, che il «nucleo centrale» dell'indagine erano le intercettazioni telefoniche e, soprattutto, ambientah. Insomma, manager-imputati, faccendieri-imputati e giudici-imputati nei guai ci si sono messi da soU. Al quinto piano del brutto palazzo di giustizia, negb uffici della procura si sono bruciate ore di lavoro intenso. Ma poiché la domenica è giorno da dedicare anche alla famiglia, il sostituto procuratore Alberto Cardino è arrivato accompagnato dal figlioletto Andrea, 4 anni, febee di essere in braccio al padre e incuriosito per il privilegio di essere ammesso in quel tempio. Cardino e Silvio Franz hanno esaminato le carte e si preparano alla prossima mossa. Ed è stato giorno lavorativo pure per Diana Brusacà, il gip che oggi rivelerà «urbi et orbi» il destino di Lorenzo Necci, re detronizzato delle Ferrovie. Tre le possibilità: ancora galera, arresti domiciliari, libertà. L'atteggiamento dell'amministratore delegato delle Ferrovie forse non è piaciuto troppo ai magistrati e per arrivare a una decisione favorevole, l'accusato deve far capire che, in fondo, lui non ha intenzione d'intralciare la giustizia, insomma, se esistono coni d'ombra potrebbe impegnarsi a eliminarli. Anche se, ha ripetuto il suo volitivo difensore, avvocato Paola Balducci, «non si deve pentire di niente». Ma non soltanto Necci ha trascorso un dì di festa in trepida attesa: oggi viene interrogato l'avvocato Giorgio Marcello Petrelli, di Roma, quello che secondo l'accusa sarebbe stato l'anello di unione fra magistrati e faccendieri. Emergono nomi già illustri nella storia giudiziaria come, per esempio, quello di Rocco Trane, ai margini dell'inchiesta, e forse neppure tanto ai margini. I giudici inquisiti respingono le accuse. Orazio Savia, procuratore a Cassino, alle contestazioni dei pubblici ministeri Cardino e Franz ha risposto che certi processi, come quello sull'alta velocità, non li ha neppure sfiorati. «E come avrei potuto fare? Siete magistrati come me e sapete di che cosa partiamo». Niente da dire neppure per la vicenda del Bar Tombini, quello dove sembra si riunissero grappoli di toghe romane e dove trovarono una «cimice». «Ripeto che non c'ero. Chiedete alla polizia che ha filmato tutto. Si vede che sono arrivato dopo la scoperta della microspia». Mai avuto rapporti particolari con i costruttori Bonifici e Caltagirone». Sottolineava ieri il difensore Ugo Longo, fiducioso sugli sviluppi dell'ichiesta: «Non c'era alcun riscontro alle accuse. Del resto, quando il gip ha chiesto se ci fossero elementi ulteriori, i pubblici ministeri hanno risposto che era tutto nell'ordine di carcerazione. Lo stesso provvedimento di arresti domiciliari è sintomatico della consistenza degli elementi». E proprio su quegli elementi avrebbero dovuto discutere oggi i due pubblici ministeri con Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, tito¬ lari illustri della squadra di Mani pulite, ma l'appuntamento è sfumato. Così ci si concentra sui giudici corrotti presunti e sul filone armi. Domani interrogatorio dell'ingegner Pierfrancesco Guarguaglini, amministratore delegato dell'Otobreda, a dare ascolto alle intercettazioni e alle carte, lui pure in grande dimestichezza con Francesco Pacini Battagba, detto «Chicchi», finanziere d'assalto in Ginevra, Roma, Milano, Bientina di Pisa e altrove, quello che sedeva sul «gradino sotto Dio» ma questo non gb impediva di fornicare con mezzo mondo. L'Oto Breda, un tempo Oto Melara, si difende dall'accusa. «Escludo al 101 per cento il coinvolgimento della Oto Melara nelle forniture alla Bosnia»: parola di Roberto Gonnelli, direttore generale della società. «Questa vicenda è indecorosa. Non soltanto alla Bosnia non sono state fornite armi, ma neppure agli altri Paesi colpiti da embargo». E le accuse si trascinerebbero dietro serie preoccupazioni per la società che occupa circa 2 mila persone. Non si parla ancora di disdetta di contratti, ma alcuni clienti hanno già manifestato preoccupazione». Prove della presenza di autoblindo o carri armati italiani nella ex Jugoslavia non se ne sono fornite. Un ufficiale superiore presente, come si dice, in quel settore dello scacchiere sotto le insegne dell'0nu, ricorda piuttosto come all'aeroporto di Tuzla da «carghi» turchi con le insegne cancellate malamente scaricassero armi per i musulmani. Armi americane. Mentre altrove arrivavano armi di fabbricazione sovietica un tempo in dotazione alla Germania Est prima della riunificazione: destinate ai croati. Eppoi, il Made in Russia, per i serbi. Insomma, Italia fuori mercato o fuori souk. Ma allora le accuse? Vedremo. Vincenzo Tessandorì istrato e pezia ma vedere ve l'inchiesta» Davigo e Colombo li procuratore Francesco Saverio Borrelli Qui sotto: llda Boccassini Nessun magistrato di Mani Pulite andrà a La Spezia «Bisogna prima vedere come si evolve l'inchiesta» Davigo e Colombo Lorenzo Necci amministratore delegato delle Ferrovie