«Magistrati avanti senza timore» di Renato Rizzo

Il Presidente della Repubblica a Torino: la ferita è grave, guai a non utilizzare il bisturi Il Presidente della Repubblica a Torino: la ferita è grave, guai a non utilizzare il bisturi «Magistrati, avanti sema timore» Scalfaro: solo così si salva la parte sana del Paese TORINO. Quando una ferita è gravo, «guai a non utilizzare il bisturi», guai a non incidere l'infezione. E, allora, magistrati di La Spezia: avanti senza timori in questa operazione che vuole salvare «la parte sana» del Paese. Avanti: senza preoccuparvi di chi, con un giudizio sottilmente perverso, paventa magari la vostra inadeguatezza di fronte ad un intervento così complicato. Avanti: a dispetto di chi, addirittura, insinua il dubbio d'un disegno politico che muove certe decisioni e si alimenta di chiacchiero, ipocrisie e veleni. Oscar Luigi Scalfaro, primo magistrato della Repubblica, scende in campo a difesa di quanti sono chiamati ad arginare una malattia che pare senza fine: è un discorso, il suo, nel quale la malinconia di chi è costretto a guardare in faccia la seconda tangentopoli cede subito il passo alla rabbia nei confronti di quegli «aggressori» che, «por sete di ricchezza minano le istituzioni e le turbano, rendendosi colpevoli d'un delitto». Il presidente parlando alla Fondazione Firpo davanti ad una platea che riunisce tra gli altri i senatori a vita Norberto Bobbio e Giovanni Agnelli, il ministro della Giustizia Flick, il presidente della Fiat, Cesare Romiti e il cardinale Giovanni Saldarmi, indica ai magistrati spezzini im obiettivo da perseguire con la temerarietà di chi lotta per mia giusta causa. Un intervento senza mezzi termini, senza riferimenti obliqui quello che il presidente tesse a Palazzo D'Azeglio: Scalfaro entra con inconsueta forza nel ciclone giudiziario che ruota attorno all'arresto di Lorenzo Necci. «Un'altra ferita grave si è aperta nella nostra comunità - è l'esordio accorato -. Un'altra ferita che colpisco quell'ostinazione della trasparenza e dell'etica» che dovrebbe, invece, essere alla base d'una società civile e sana. Amarezza, hi Scalfaro. Un velo di disillusione: «Il vecchio discorso si riapre ancora una volta» dice il presidente. E' un cruccio che parte da lontano e che il Capo dello Stato annoda all'allocuzione di Norberto Bobbio nella quale il filosofo aveva ripercorso gli studi di Luigi Firpo e il suo inesausto interesse per il «pensiero politico» nel quale s'intrecciano la tensione dell'utopia e la concretezza del realismo. Scalfaro si rivolge al senatore a vita definendolo «un maestro che, ogni volta, vengo ad ascoltare con il cuore trepido di un allievo». E afferma: «Pensiero e politica: ecco duo termini che dovrebbero essere indivisibili». Ma non è così: «La sofferenza della nostra vita politica di oggi nasce anche da questa divaricazione: a volte fatti ed azioni non hanno pensiero. E la politica se non è cultura non è nulla. Anzi, è un danno». E' un concetto caro alla filosofia del presidente che, in più d'una occasione, l'ha usato per stigmatizzare certi atteggiamenti leghisti considerati troppo attenti alla demagogia. Un elogio della politica come etica, anzi come esempio di quel1' «ostinato rigore» di leonardesca memoria che Luigi Firpo aveva scolto quale suo ex libris. E questo motto diventa ancor più significativo in un momento in cui il Paese soffre «di un'altra grave ferita». Un dolore che, innanzi tutto, dovrebbe farci riflettere su certe frettolose girate di pagina «e far pensare ognuno quanto sia inutile parlare di repubbliche con mia numerazione». Prima, seconda: non contano nulla gli aggettivi numerali. Conta soltanto che «le istituzioni non hanno vita autonoma, ma sono incarnate da persone» che, con il loro pensare ed il loro agiro le fanno vivere. L'Italia ha, oggi, sussulti di crisi: Scalfaro invita a riscoprire, fuor di retorica, il peso ed il significato di termini come «bene comune, unità, grandi valori, patria». E guardando allo squasso di Tangentopoli 2 dal Quirinale s'alza una sorta di invet¬ tiva contro coloro che criticano l'operato della procura di La Spezia: <(Altro che non aver bisogno della magistratura...». E' vero, ammette il presidente, i giudici «non sono certo sempre infallibili, ma devono essere sempre sereni e al di sopra delle parti». Per poter afferrare con mano salda il bisturi e tagliare senza esitazioni e secondo coscienza. Glielo chiede il Paese, glielo chiedono soprattutto i giovani: bisogna fuggire il rischio di comunicare loro la precarietà dello «sconcerto», evitare che possano essere contagiati da quella «ripulsa di tutto e di tutti» che è la peggiore malattia perché attinge alla stanchezza e alla rassegnazione. Ecco le urgenze che spingono al¬ l'elogio del bisturi. Appena corretto da un'esaltazione del riserbo e del silenzio che il Capo dello Stato tesse in mattinata di fronte ai dirigenti dell'Ordine Mauriziano: «Sono valori caratteristici di questo popolo e di questa terra piemontese. E credo che l'esempio meriti una sottolineatura. Non si deve mai fare baccano sulle cose che si compiono». Ma è solo un cenno, una notazione di margine. A volte serve far la voce grossa, specie quando c'è chi vorrebbe urlare più forte di te. Come quegli «aggressori», appunto, che mirano a turbare le istituzioni. E' un assillo cocente, per Oscar Luigi Scalfaro. E, a testimoniare questa preoccupazione che non lo lascia da giorni, arriva la confidenza d'uno dei suoi più intimi ed ascoltati collaboratori. Il quale/ conversando con alcuni giornalisti, pare riflettere, con un suo pensiero, l'angoscia del Capo dello Stato: «Ci chiediamo: questa seconda tangentopoli è solo ciò che leggiamo sui giornali? 0, piuttosto, non siamo di fronte alla punta di un iceberg?». E per chiarire meglio il concetto ed il dubbio s'inerpica su una metafora di stampo medico: «Non si capisce più se a sporcarsi le mani, in questo Paese, siano soltanto i primari o se la corruzione ha macchiato, ormai, anche gli infermieri e i portantini». Renato Rizzo Il Capo dello Stato: «Il vecchio discorso si apre un'altra volta Alcuni aggressori per sete di ricchezza minano le istituzioni divenendo colpevoli d'un delitto» Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro

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