«Niente drammi per l'Euro» di Andrea Di Robilant

«Niente drammi per l'Euro» «Niente drammi per l'Euro» Delors: se arrivate dopo cambia poco l/«UNIONE» CHE DIVIDE STRASBURGO DAL NOSTRO INVIATO «Ma la costruzione della moneta unica non è una partita di calcio!». Sorpreso dalla nuova vampata di ansia che sembra aver colpito il governo Prodi in queste ultime ore, Jacques Delors invita a sgomberare il campo da «inutili drammatizzazioni». Roma è dunque preoccupata dalla prospettiva che l'Italia venga improvvisamente scavalcata da Spagna e Portogallo nella corsa verso l'unione monetaria. E gli echi di questi nuovi timori arrivano anche qui, a Strasburgo, dove Delors presiede un convegno intitolato, per l'appunto, «L'urgenza europea» (il convegno è organizzato dal Nouvel Observateur in collaborazione con The Guardian, El Pois, Suddeutsche Zeitung e La Stampa). Ma questa «urgenza europea», aggiunge Delors, non deve giustificare azioni scomposte o stati d'animo ansiogeni. «Quel che conta è l'impegno spirituale e noi sappiamo che l'Italia vuole entrare. Se non entra subito, non deve farne un dramma. Meglio entrare uno o due anni dopo, ma entrare bene. Del resto gli storici che racconteranno la storia della costruzione europea non si soffermeranno certo sul fatto che un Paese ha aderito alla moneta unica nel 1999 oppure nel 2001. Accettare la necessità di un periodo di transizione è anche una prova di saggezza». Ma cosa c'è dietro il nuovo stato d'animo del governo? All'inizio di questa settimana a Valencia Prodi e i suoi ministri hanno scoperto in modo assai brutale che la Spagna tenterà in tutti i modi di rispettare per tempo i criteri di convergenza per la moneta unica fissati a Maastricht, e di entrare nell'unione monetaria con il gruppo di testa. Non è tutto: il governo italiano ha dovuto prendere atto che anche il Portogallo persegue il medesimo obiettivo, e si trova addirittura meglio piazzato della Spagna. In breve, ambedue quei Paesi puntano a ridurre con la prossima Finanziaria il differenziale deficit-pil al fatidico 3 per cento, cioè al limite massimo tollerato dal Trattato. Per Palazzo Chigi questo scenario è, politicamente, il peggiore possibile. E spiega l'improvviso e concitato rimboccarsi le maniche attorno alla Finanziaria nel 1997, anno-chiave per decidere promossi e rinviati. Tanto più che, qui a Strasburgo, la determinazione di Spagna e Portogallo a far parte del gruppo di testa è emersa ancora una volta con chiarezza. «Noi sappiamo che l'obiettivo del 3 per cento è difficile», dice Jordi Pujol, presidente della Catalogna, alleato del premier José Maria Aznar. «Ma faremo lo sforzo massimo per raggiungerlo entro il 1997. Su questo siamo tutti d'accordo: il mio partito e il governo spagnolo». E a proposito dell'Italia Pujol aggiunge: «Sono rimasto sorpreso dall'atteggiamento di Walter Veltroni e, soprattutto, da quello di Cesare Romiti» (il primo s'è espresso a favore di un'interpretazione meno rigida dei criteri di Maastricht, il secondo ha detto di dare più importanza alla ripresa dell'economia e dell'occupazione in Italia che non all'entrata nell'unione monetaria con il gruppo di testa, ndr). Ancora più sorprendenti sono i progressi fatti in questi anni dal Portogallo. Mario Soares, l'ex presidente, ricorda: «Io e Cavaco Silva, l'allora premier, impostammo un ambizioso programma di risanamento il giorno dopo la firma del Trattato di Maastricht. E i frutti adesso si vedono: dovremmo raggiungere l'obiettivo del 3 per cento entro il 1997 e avere le carte in regola per entrare con i primi». Non è finita. Durante il dibattito in aula Guy Quaden, della Banca Centrale belga, annuncia che il Belgio - spesso paragonato all'Italia per i suoi problemi macroeconomici - raggiungerà sicuramente l'obiettivo del 3 per cento nel 1997. La partita, insomma, è tutta aperta. Andrea di Robilant Jacques Delors e (a fianco) Mario Soares