La «stabilità» del malaffare di Lorenzo Mondo

F panealpane La «stabilità» del malaffare ARA' vero che il problema della corruzione in Italia nasce dall'insufficienza di controlli e di regole, da una mancata riforma dello Stato che è diventato terra di tutti e di nessuno, dall'egoismo dei partiti che rifiutano di mettere in gioco se stessi a vantaggio di un Paese più moderno e civile. E' vero che altre nazioni dell'Occidente, dagli Stati Uniti alla Francia alla Gran Bretagna, in fatto di corruzione non scherzano, anche se possiedono più sperimentati anticorpi contro le rispettive rogne. Ma il cinismo e l'insipienza, il fatalismo in cui si muove tanta parte degli uomini che ci rappresentano (quelli che ci meritiamo?) finiscono per ricondurci circolarmente al punto di partenza: se non alla vera e propria corruzione, a un pauroso deficit di responsabilità e di coscienza. Per richiamarci al lezzo insopportabile di quelle intercettazioni telefoniche. Prendiamo Pacini Battaglia, banchiere di tutte le venture, che sembra dare ragione alle deformazioni espressionistiche di Bertolt Brecht, ai suoi ritratti di finanzieri e pescecani che tendevamo a considerare violente caricature. Ha trasformato il suo ufficio in una centrale operativa, una tolda di velièro corsaro dalla quale vara le sue strategie, i suoi colpi di mano fatti di lusinghe e ricanti, di favori e minacce elargiti cori la stessa imperturbabile munificenza. Non si rivolge a una banda di sodali e fuorilegge acclarati, ma a uomini che rappresentano le istituzioni ai livelli più alti, che agiscono nei gangli vitali del Paese. Manager di Stato, funzionari, magistrati e forse politici, tutti ridotti ed esaltati al rango di «amichetti». Emerge dalle sue parole un misto di tracotanza, volgarità gergale (Bossi bisognerà promuoverlo, a confronto, accademico della Crusca), certezza d'impunità (come dimostra la comica rincorsa a disattivare le «cimici», in gara con gli agenti della Guardia di Finanza). Ma c'è im momento dei dialoghi fluenti sui nastri delle intercettazioni che ci inchioda allo stupore. Non è l'arroganza, il turpiloquio, il giudizio sprezzante sui complici ma udite, udite - la considerazione sulle sorti dell'Italia. Siamo a febbraio, è tramontato il tentativo di Maccanico di formare un governo di larghe intese. E Pacini confida al faccendiere Rocco Trane: «Credo che sia molto più preoccupante la situazione italiana che perdere le elezioni». Chiunque vinca o perda, par di capire, lo inquieta il «gran casino» nazionale, l'incertezza e la provvisorietà dei suoi interlocutori attivi e passivi: «In quest'Italia si mangiano tutti, dopodiché ci troviamo un Paese di merda». Capite il senso del discorso? Alla ragnatela del potere-ombra interessa, né più né meno che a tutti noi, un minimo di stabilità, avere punti certi di riferimento; ma soltanto per non dover ricominciare con il lavoro di Sisifo del reclutamento, per garantirsi la durata di un regime di malaffare. La sollecitudine per il Paese che, estrapolata dal contesto, potrebbe apparire stupefacente, un errore di registrazione, va messa sullo sfondo di un vortice di miliardi, delle banconote di cui avvertiamo, tra una battuta e l'altra, il losco fruscio. E' il desiderio che la grande rapina possa continuare come prima, al di là degli incidenti di percorso. E siamo qui a chiederci come persone all'onor del mondo (prima ancora che vengano accertate le loro responsabilità penali) abbiano potuto intrattenere rapporti di amicizia, di consuetudine, di stima con gente che noi, afflitti da una inguaribile ingenuità, rifiuteremmo quali soci di una partita a scopone. Come uscire dalla palude della decomposizione, dalla rete di complicità furfantesche, di dimissione morale che ci ammorba? Mentre la magistratura continua, com'è suo dovere, a rivoltare il fango, occorrono, in chi può e sa, iniziative forti, esemplari, da salute pubblica, che spettano in primo luogo alla politica. Di fronte a questo ciclone suonano patetiche le preoccupazioni dei giorni scorsi sul secessionismo della Lega. La secessione del Paese da se stesso è già in atto, non c'è tempo da perdere. Lorenzo Mondo ido |

Persone citate: Bertolt Brecht, Bossi, Maccanico, Pacini, Pacini Battaglia, Rocco Trane

Luoghi citati: Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti