Gli anagrammi del genio
Gli anagrammi del genio L'evento Una lunga odissea di immagini, fotogrammi: «vernice» d'eccezione fra arte e business Gli anagrammi del genio Rauschenberg trionfa a New York 1NEW YORK fuochi d'artificio dell'arte cominciano. A dare il via è Bob Rauschenberg, I l'artista che più di tutti gli altri ha fatto da ponte fra l'Espressionismo Astratto e la Pop Art americana. Ma guai a chiamarlo Pop. E' arrivato a New York per il grande avvenimento dell'anno: la sua prima mostra alla Galleria Pace Wildenstein. L'anteprima è riservata a pochi amici e addetti ai lavori. Convocati uno per uno, sono tutti curiosi di assistere a questa unione straordinaria fra arte e business, dollari e intuizione. Nel grande spazio bianco, al secondo piano di un palazzetto sulla 57a strada, fra Park e Madison, abbronzato, sobrio e socievole. Bob intrattiene Caroline Kennedy e suo marito Ed Schlossburg. Gli sta vicino Trisha Brown, la coreografa con cui dal 1950 in poi ha sempre lavorato. Con lei il 1° ottobre metterà in scena al Barn (Brooklyn Aca- demy of Music) una performance per un solo ballerino. Per due ore Barishnikov, grazie a questa idea di Bob, ballerà dando sempre le spalle al pubblico. Da qui il titolo: «Se tu non mi vedessi». C'è Claes Oldenburg, il più pop di tutti, a cui il museo Guggenheim ha dedicato una grande retrospettiva la stagione scorsa. La famosa spirale di Frank Lloyd Wright era affollata di hamburger, uova fritte, volani, macchine da scrivere che si dissolvevano. Vicino a lui c'è la moglie Loosje van Bruggen. C'è una folla di pittori, da Chuck Close, a Lucas Samaras, George Condo. Ma per Rauschenberg il più caro di tutti è Darryl Pottorf, suo fedele amico e assistente, che vive con lui sull'isola di Captiva, in Florida. C'è, discreto e silenzioso, il curatore di tutte le sue mostre David White, il cuocoassistente giapponese Hi Sachika. All'appello della famiglia manca solo Roci, la gigantesca tartaruga, adottata nel 1966, quando fece da protagonista allo spettacolo «Open Score», che l'artista allestì all'Armory di New York. Arriva Ileana Sonnabend con Antonio Homem, eminenza grigia della sua storica galleria di Soho. «E' un piccolo fungo di ferro», dice Bob di lei, «sembra fragile, ma è la tempesta più furiosa che ho conosciuto in vita mia. Prima di ogni mostra le faccio vedere sempre i miei lavori. E immancabilmente risponde: "Potresti fare di meglio". Ma devo anche a lei se ho migliorato la qualità della mia pittura». E' stata questa piccola signora di ferro, che, sfidando gli scettici, con il suo primo marito Leo Castelli, nel 1964 ebbe il coraggio di portarlo alla Biennale di Venezia. Bob Rauschenberg vinse il primo premio. Tredici quadri riempiono le pareti. Sono rettangoli, quasi tutti orizzontali, che raggiungono i quattro metri. Immagini, fotogrammi si sovrappongono, si frammentano e si dissolvono. Creano effetti nuovi, personali. Ma è una novità che riporta alla memoria altri lavori dell'artista texano. Come Cézanne, Rauschenberg è convinto che un pittore finisce per dipingere sempre lo stesso quadro. Quindi «Anagrams», questo è il titolo della mostra, rappresenta la logica conseguenza del suo lavoro: «E' un viaggio nell'astrazione e un ritorno alla realtà», sintetizza l'autore. Rauschenberg ha sempre usato la fotografia nella composizione dei suoi quadri. L'unica differenza è che prima usava quelle degli altri. Ma, da quando è passata la legge sui diritti di autore qui in America, questa tecnica gli costava troppo e ha cominciato a utilizzare le sue. «Del resto io ero fotografo già prima di nascere come artista». Artista lo diventa quando a 24 anni si trasferisce a New York. Nel 1951 fa la sua prima mostra personale alla galleria di Betty Parsons. E confessa: «Ero incantato dalla magia di quello spazio e dai pittori che ci lavoravano». Erano tutti rappresentanti dell'Espressionismo Astratto: Barnett Newman, Adolph Gottlieb, Clyfford Stili, Mark Rothko, Jackson Pollock. Loro erano famosi e Rauschenberg, all'epoca, non era ancora nessuno: «Ma avevo le palle di chi è innocente». Ride. Per lui il passato è presente e il presente è passato. Non c'è interruzione mai. Crede nella totalità, nel lavoro e pensa che Dio aiuta chi si aiuta. Con questa filosofia in tasca comincia l'avventura nell'arte. Dal primo studio di Fulton Street, sotto il Brooklyn Bridge, che occupava gratis in cambio di lavori di restauro al palazzo, alla stalla fra Central Park e la 6° Avenue. Con il suo amico Cy Twombly, «era un pessimo falegname», la pulisce e la restaura. Diventerà la «Stable-Gallery», Fiamma Arditi dove esporranno insieme i loro quadri. E' il 1953. Il viaggio di Bob è lungo, ma sempre travolgente e appassionato. Con l'idea fissa che la cultura salverà il mondo, nel 1984 battezza Roci (The Rauschenberg Overseas Culture Interchange), un'odissea che usa l'arte come mezzo di pace. Per dieci anni gira Paesi e Continenti. Lavora con gli artisti e gli artigiani del posto in Cina, Messico, Cile, Venezuela, Tibet, Giappone, Cuba. Va nella ex Unione Sovietica, nella Berlino ancora divisa. E il viaggio si conclude nel 1991 alla National Gallery di Washington con la mostra delle duecento opere, tra cui quadri, sculture, foto, video, realizzate strada facendo. Ancora oggi, a 71 anni, i programmi di Bob sono tanti. Dopo un mese a New York, la mostra continua a Los Angeles, fino al 18 gennaio. A Zurigo la settimana prossima si apre un'altra sua personale. E lo aspetta l'isola di Captiva, nel Golfo del Messico. Qui sta lavorando agli affreschi destinati alla cattedrale dei Frati Cappuccini di Roma, progettata da Renzo Piano. La festa sta per finire. Il piccolo-grande salotto dell'arte di New York si scioglie. Ma, all'ultimo momento si aprono le porte dell'ascensore e compare Thomas Krenz. Alto, imponente, tutto vestito di nero, come al solito. Lo accompagna la sua piccola assistente cinese Min Jun Kim. Il direttore del Guggenheim viene a confermare a Bob l'appuntamento col suo museo. La grande retrospettiva delle sue opere sarà a settembre dell'anno prossimo. Sia nella sede uptown, che in quella down-town. Un pittore convinto che Farà danzare Barishnikov «la cultura salverà il mondo» dando le spalle alpubblico Si intitola «Art Car BMW» il grande quadro di Rauschenberg nell'immagine a sinistra. «Dylaby» è invece il titolo di quello qui accanto
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