«Che barbarie contro mia figlia»

«Che barbarie contro mia figlia» «Che barbarie contro mia figlia» La signora Necci: mio marito è sereno ALESSANDRA sta per fuggire da questa Roma ruffiana e truce, che forse adesso le fa orrore, ma nella quale ha pur vissuto, e niente affatto male. E dunque oggi, chissà, magari cerca la fuga un po' anche da se stessa, dalla sua coscienza. Sulla destra, nello studio di papà Lorenzo, è come se l'orologio si fosse fermato a sabato scorso, quando il Re ormai nudo delle Fs si è chiuso la porta di casa alle spalle, lasciando la scrivania ordinata, ma pur sempre ingombra di carte, di appunti, di libri. Era sicuro di ritrovare tutto così, lunedì mattina al suo rientro. Un rientro che invece non c'è mai stato: c'è stata invece, domenica sera, l'irruzione della Guardia di Finanza nel villone di Marina Velca, due passi da Tarquinia, quello che il giovane Giulio chiama il «fulmine a ciel sereno», lo stupore, la paura, il mandato d'arresto e poi quel lungo, doloroso viaggio verso il carcere di La Spezia. Durante il quale solo lui - Antonio Lorenzo Necci, il Cavaliere senza macchia che ha galoppato tra le tangenti chimiche nella Prima Repubblica ed è caduto nel fango delle mazzette ferroviarie nella Seconda - può sapere cosa ha pensato, rimpianto o sofferto, scorrendo insieme ai cartelli autostradali le mille immagini dell'intensa, contraddittoria vita che ha vissuto. Oggi, dunque, tocca a Giulio governare la «magione» altoborghese della famiglia, ricca di vasi cinesi, lampadari di cristallo, libri antichi ed enciclopedie. Cordiale, disponibile, stessa «pasta», stesse virtù del padre. «Sì - dice cercando la calma necessaria -, per noi adesso è un brutto momento, ma le assicuro che siamo tranquilli. Anche papà lo è, ci abbiamo parlato al telefono, è stato lui stesso a darci forza e a ricordarci che non abbiamo nulla da temere...». Tocca a Giulio cercare di riempire, con i cugini e la zia, il vuoto di quella scrivania, di quei sofà bianchi, di quel grande tavolo rettangolare di marmo grigio e verde, che in questi ultimi anni ha visto sfilare a correnti alternate tutti, ma proprio tutti i volti del Potere, nelle sue molteplici e cangianti forme: i leader come D'Alema e Berlusconi e Fini e Dini, i banchieri come Geronzi, gli industriali pubblici e quelli privati. I faccendieri arricchiti come «Chicchi» Pacini Battaglia e Gioacchino Albanese, gli ex inquisiti di lusso come Zamorani e Bisignani, i notabili come Mastella, i mezzi «peones» e i magistrati, i sindacalisti di vaglia come D'Antoni e Larizza e i «tupamaros» ora ripuliti delle Ferrovie come Arconti o Di Giovanni. Tacciono più o meno tutti, oggi, o prendono le «doverose» distanze. Quasi che l'aver frequentato quella casa, l'aver conosciuto ed apprezzato Necci, condividendone magari i faraonici scenari industriali o i suggestivi deliri di onnipotenza politica, crei adesso un imbarazzo psicologico, un turbamento interiore. Ed esiga dunque, tutto questo, una pronta rimozione. Come vi sentite - chiediamo al figlio Giulio -, ora non è più solo suo padre, ma con le ultime intercettazionoi telefoniche pub- blicate dai giornali nel ciclone è finita tutta la famiglia, a cominciare da Alessandra, quel contratto di consulenza nel Dubai, quel corteggiamento imbarazzante con Pacini Battaglia? Interviene un cugino e butta là convinto: «Sono le solite cose dei giornali, fanno parte del gioco anche quelle...». Giulio invece scuote il capo: «Dov'è lo scandalo? Anzi, in quelle registrazioni Alessandra confessa che non ha una lira...». Vorremmo sapere della mamma Paola, ma Giulio dice che è via, a La Spezia: «Gliela saluto io», risponde mentre abbraccia sorridente la zia, che se ne va. E invece no, la signora Necci la salutiamo poco dopo direttamente, al telefono. Anche se è difficile, perché in momenti come questo - al di là delle eventuali responsabilità penali che verranno fuori e delle «sentenze» morali che l'opinione pubblica può aver già emesso - si consumano comunque drammi laceranti, in una famiglia, e si ha sempre il timore di violare una qualche intimità, a parlarne. Ma la signora Paola risponde subito, da una camera dell'Hotel Jolly di La Spezia: «Eccomi qui dice -, sto giusto per uscire, vado a trovare mio marito in carcere...». E viene da chiederle che effetto fa sentirsi pronunciare una frase del genere, quando solo fino ad una settimana fa per lei, il marito e i figli, m privato, il problema era se andare al party di Laura Biagiotti o ricevere a cena Antonio Maccanico, ministro delle Poste ed amico di vecchia data. «Vede - risponde la signora -, per noi è stato un colpo terribile, che mai e poi mai ci saremmo aspettati. Ma ho anche un grande conforto, in tutta questa situazione: quello di aver visto che mio marito, lì in carcere, è sempre il solito, sta bene, è calmo e tranquillo, perché sa di non aver nulla da rimproverarsi, nulla di cui esser preoccupato, da nessun punto di vista. E' lì, in quella cella, con la sua solita fiducia di sempre, legge i suoi libri, scrive le sue poesie, come fa da anni, ormai...». Ma le accuse, le accuse sono pesanti. Quelle «relazioni pericolose» con faccendieri e piduisti che già ebbero le mani in pasta nell'affare Enimont, quelle buste di denaro nero che giravano vorticose, e che a leggere le intercettazioni erano indirizzate anche a lui, al grande Richelieu delle Ferrovie. Quel suo essere, o per lo meno quel suo imbarazzante apparire come il Gran Burattinaio e a volte il Burattino, fa lo stesso, nella grande e mai finita rappresentazione italiana del Potere politico-affaristico... La signora Necci non disarma. «Guardi, l'ho già spiegato in una dichiarazione che ho diffuso alle agenzie di stampa: io non intervengo sul merito di questa inchiesta. Ma una cosa la so per certa e la posso dire, dopo aver parlato a lungo con Lorenzo: tutto si chiarirà, mio marito è estraneo a tutte quelle vicende, e lo dimostrerà». Non tradì- sce rabbia, il tono di voce della moglie dell'amministratore delegato delle Ferrovie, non c'è risentimento verso l'azione della magistratura, nelle sue parole, ma neanche «fiducia». Piuttosto, ima sconsolata rassegnazione: «Che devo dirle, si è degradato tutto, ormai, in Italia. Queste vicende sono un terremoto per il Paese, ma lo sono anche e soprattutto per le persone. Ecco perché, una cosa voglio dirla pubblicamente, non per contestare l'inchiesta, ma per difendere l'onore e l'immagine della mia famiglia: la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che riguardano mia figlia Alessandra è una barbarie, che offende il senso etico, e che mi fa indignare. E' il segno della decadenza morale di un Paese nel quale ormai tutto viene demonizzato, persino una banale richiesta di lavoro...». Brucia, alla signora Necci moglie e madre, quel non voluto e imbarazzante proscenio pubblico in cui è finita la «sua» Alessandra, così ansiosa di successo. Un'ansia che, talvolta, dava pensiero persino a papà Lorenzo, quando si lasciava andare a qualche confidenza: «Ali, questa figlia mia - ripeteva con il luccicone agli occhi, e con tutto il suo affetto di padre -, si è messa in testa che deve fare politica... Io che devo fare? Gli dò una mano, per quello che posso...». «E poteva poco, ma soprattutto voleva poco, mio marito - chiarisce adesso la moglie Paola - e proprio le intercettazioni pubblicate in questi giorni lo dimostrano: se Alessandra era costretta a chiedere una mano a Pacini Battaglia perché non aveva nemmeno ì'argent de poche, vuol dire che Lorenzo non l'ha mai raccomandata a nessuno. Perché Lorenzo è sempre stato un uomo onesto e corretto, e i miei figli sono ragazzi forti che hanno la sua stessa tempra e hanno se- guito il suo modello: loro sanno che il papà non ha mai fatto nulla di illecito per aiutarli, e infatti ancora oggi non hanno un lavoro...». Ora perde un po' di controllo, la signora Necci, e aggiunge: «Queste sono solo strumentalizzazioni, alle quali si presta anche la stampa: si ricorda quando un anno fa parlammo di certe aggressioni giornalistiche, subite anche dalla mia famiglia? Purtroppo fa parte del degrado di cui accennavo prima. E poi quando si leggono certe registrazioni così, trascritte su carta, come si fa a giudicare? Bisognerebbe trovarcisi, in quelle situazioni, capire il contesto in cui certe frasi sono state dette, bisognerebbe tener conto della confidenza che c'è tra le persone, che tante cose possono dirle per scherzo, in assoluta libertà...». Quello che non si può invece dire neanche per scherzo, se non avendo prove certe e concrete, è che questa inchiesta, questo nuovo e formidabile «quartiere» di Tangentopoli che i magistrati liguri hanno scoperto nelle Ferrovie, sia in realtà l'ennesimo e oscuro «complotto» ai danni di una «vittima», Lorenzo Necci appunto. Cosa che invece la moglie dell'avvocato in qualche modo ha fatto, parlando nel comunicato diffuso ieri del «dissolversi in un batter d'occhio del progetto globale che vede mio marito da tanti anni al servizio del Paese». Con chi ce l'ha, la signora Paola? Qual è la misteriosa Spectre che congiura e vuole tarpare le ali alla fantasia creativa, politica e industriale, del «suo» Lorenzo? Lei non lo dice: «Vedrà, io sono convinta che presto le cose si capiranno, e allora tutto sarà più chiaro, di più non voglio proprio dire: chiedo solo di essere lasciata in pace, questo è un momento traumatico per la mia famiglia...». Forse, come è successo alla figlia Alessandra che, dice la mamma, «ora se ne starà un po' fuori Roma», in momenti come questi prevale su tutto una gran voglia di sparire, agli occhi del mondo. «No, non è questo - replica convinta la signora -, non voglio apparire perché già stiamo apparendo troppo, io e la mia famiglia, ma non voglio neanche scomparire, perché non ho proprio nulla da nascondere. Né io né Lorenzo, benché ora sia finito in carcere». A pensare, a riflettere su se stesso, come ha detto l'altro ieri Necci al deputato Luigi Manconi che è andato a trovarlo in cella. «Ma soprattutto a scrivere poesie - aggiunge quasi orgogliosa la moglie -, che ora sono la sua vera passione». Poesie come quella ormai quasi famosa, intitolata «Italia amata, e amara» scritta nella primavera scorsa: quelle strofe parevano quasi un libro di Holiday Hall, «La fine è nota», come dire che tradivano un presagio, la consapevolezza sarcastica di una solitudine, di un tracollo imminente, e un congedo dal caduco culto del Potere. Possibile che proprio lui che scriveva questi versi un po' melensi ma convinti, fosse così pirandellianamente scisso, e maneggiasse intanto uomini e denaro per cementare proprio quel Potere, per renderlo più esteso e al tempo stesso blindato e inaccessibile? «No - conclude la moglie dell'avvocato -, mio marito non barava, quando scrisse quella poesia, di cui anzi era orgoglioso. Si ricorda come finiva? La 'democrazia che è morta...". Se mi guardo intorno, oggi, non posso non dire che aveva ragione lui...». Se poi anche l'affabile Richelieu di Villa Patrizi abbia contribuito ad ucciderla, la democrazia, ce lo dovranno dure i magistrati. Oggi questo Paese immerso nei suoi misteri tragici, sospeso nel lattiginoso h'mbo di una sua perenne «emergenza» politica, giudiziaria, economica • ha un disperato bisogno di sapere, di capire. E forse, benché Montale le considerasse l'unica forma di verità possibile, le poesie non gli bastano più. Massimo Giannini «Certe frasi dette al telefono sono solo scherzi» «La pubblicazione delle conversazioni è un gesto di inciviltà» «Lorenzo non ha mai raccomandato neanche i figli» Il faccendiere italo-svizzero cercava di «mettere le mani» sull'Alenia Spuntano 2 fatture da 852 miliardi ciascuna per la vendita di «giocattoli» Nella foto grande: Lorenzo Necci in compagnia della moglie Paola Qui accanto: Alessandra la figlia dell'amministratore delegato delle Ferrovie

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