« La mafia ordinò: uccidete 2 ministri »

«Stéphanie, ti chiedo perdono» Interrogato in un luogo segreto: la decisione presa dopo gli attentati a Lima e a Salvo « La mafia ordinò: uccidete 2 ministri » Brusca ai giudici: nel mirino dei boss Vizzini e Mannino PALERMO. Per fermare il terrorismo mafioso, nell'estate del 1992, alcuni rappresentanti delle istituzioni avrebbero tentato di scendere a patti con il boss Totò Riina. Dopo le stragi Falcone e Borsellino, pezzi dello Stato avrebbero contattato il capo di Cosa nostra per sapere se era disposto a garantirò la «tregua» delle cosche, ma soprattutto per conoscere il costo politico di un eventuale scambio di favori. E' il racconto che l'aspirante pentito Giovanni Brusca, ex capo militare dell'esercito corleonese, avrebbe fatto nei giorni scorsi ai procuratori di Palermo, Caltanissetta e Firenze, secondo alcuno indiscrizioni pubblicate stamane dal settimanale «Panorama». Ma non basta. Brusca, che è stato nuovamente interrogato ieri in una località segreta, avrebbe rivelato che gli ox ministri Carlo Vizzini (psdi) c Calogero Mannino (de) e Sebastiano Purpura, ex assessore regionale de, dovevano essere uccisi. Il progetto omicida, secondo Brusca, era stato ideato nel contesto della strategia di attacco allo Stato conseguente alla rottura degli antichi legami politici che aveva causato l'omicidio dell'europarlamentare de Salvo Lima e dell'esattore Ignazio Salvo, uccisi entrambi nel 1992. Il «tentativo di trattativa» risalirebbe al mese di agosto del 1992, e sarebbe partito subito dopo il varo dello misure antimafia volute dal governo di Giuliano Amato. Secondo «Panorama», Brusca avrebbe raccontato agli inquirenti che «schegge degli apparati istituzionali, forse in contatto con il senatore Giulio Andreotti, sondarono - attraverso alcuni mediatori siciliani - le intenzioni di Totò Riina per sapere a quale prezzo sarebbe stato disposto a cessare le stragi». Riina, favorevole allo scambio, avrebbe addirittura elaborato un elenco di richieste che andavano dalla sospensione del carcere duro al ridimensionamento dell'uso dei pentiti, dalla garanzia di «aggiustare» i processi ad una maggiore tutela per gli ammalati in carcere. «Per Riina», afferma «Panorama», «l'apertura di una trattativa avrebbe già potuto essere una vittoria. Ma, per quanto dice di saperne Brusca, i contatti andarono per le lunghe». La trattativa, insomma, non si concluso e il 15 gennaio del 1993 il boss dei boss venne catturato dai carabinieri. E non è la sola rivelazione esplosiva che Brusca avrebbe accettato di sottoscrivere. Il boss di San Giuseppe Jato, sempre secondo «Panorama», avrebbe raccontato agli inquirenti anche i clamorosi restroscona della bocciatura di Giovanni Falcone nella corsa alla poltrona di consigliere istruttore di Palermo. «Sarebbe stata Cosa nostra», afferma il settimanale, «a organizzare la bocciatura di Falcone, nel gennaio del 1988, quando il Csm per tre soli voti gli preferì Antonino Meli». Brusca sostiene che in quell'occasione, «la mafia avrebbe utilizzato la mediazione di Ignazio Salvo, che a sua volta avrebbe sfruttato il suo rapporto con il braccio destro di Andreotti, Claudio Vitalone, il quale avrebbe potuto contare su alcuni consiglieri di fiducia nel Csm». L'offensiva contro Falcone sarebbe continuata, nel 1989, con l'attentato all'Addaura. «Panorama» rivela che, secondo Brusca, Riina «era molto infastidito dalla presenza in Sicilia di Salvatore Contorno, e ne addebitava a Falcone la responsabilità, quasi che il magistrato volesse combattere contro di lui utilizzando metodi poco ortodossi, e rese esecutiva la decisione di ucciderlo». Ma l'attentato, di cui si sarebbe occupato personalmente il boss Nino Madonìa, fallì. Sandra Rizza «Panorama» rivela «Gli 007 contattarono Brusca dopo le stragi» «Uomini dello Stato volevano fermare il terrorismo mafioso» Secondo il boss «fu Cosa Nostra a bocciare Falcone» A sinistra Giovanni Brusca al momento dell'arresto

Luoghi citati: Falcone, Firenze, Lima, Palermo, San Giuseppe Jato, Sicilia