La prima volta di An di Fabio Martini

LA DESTRA E I SOSPETTE La prima volta di An Fini: «E' tutto un po'ridicolo» LA DESTRA E I SOSPETTE SROMA ALVO Sottile, l'uomo'stampa di Fini, si siede sul divano rossiccio davanti alla buvette e in una giornata così preferisce buttarla sullo scherzo: «Stamattina ho detto a Gianfranco: dovresti girare nudo per confermare a tutti la tua purezza! Mi sembra che non sia d'accordo...». Ride Sottile, un quarantenne messinese che con la sua mascella volitiva è la prova che non sempre al nome corrisponde un destino. Si sorride, si cerca di scherzare, ma sul divanetto di An non si parla d'altro: quelle intercettazioni che chiamano in causa Gianfranco Fini, Publio Fiori e Pinuccio Tatarella. E anche ai centralini del partito sono arrivate le prime, allarmate telefonate dei militanti: «Ma che succede?». Brucia, fa paura quel venticello di scandalo che per la prima volta sfiora i capi di Alleanza nazionale. Finora sono arrivati soltanto pallidi schizzi, ma nel chiacchiericcio tutti avvertono un rischio esiziale: che stavolta sia intaccata la purezza del partito, il vero moltiplicatore di An. «Per questo partito - dice Marcello Veneziani, intellettuale di punta della destra - la purezza è un capitale fondamentale, assai più importante che per la de o per Forza Italia, anche se sarebbe scorretto affermare che An è coinvolta nel malaffare. Certo, il ragionamento finora di molti elettori lo sappiamo: saranno fascisti ma hanno le mani pulite...». Già. E se qualche mano fosse sporca? In un Paese dietrologo come l'Italia non basterà il semplice sospetto a danneggiare Fini? «Diciamolo: questa vicenda, bene non fa - ammette un parlamentare di lungo corso come Enzo Trentino -. Il qualunquista, quello che non legge i giornali, può essere tentato dall'idea: ma allora sono tutti uguali. Anche se le nostre mani sono più che pulite». Ma finalmente eccolo l'uomo che ha fatto della propria diversità «antropologica» la sua fortuna. Gianfranco Fini compare nel Transatlantico di Montecitorio all'ora di pranzo: sigaretta in mano, voce pacata e quasi suadente, sorriso sulle labbra, il capo di An non sfoggia la baldanza dei suoi giorni radiosi. Ai cronisti che lo circondano e poi a quelli della radio, Fini ripete per due volte consecutive la stessa, identica frase: «E' tutto talmente ridicolo e grossolanamente falso che non so se mettermi a ridere o indignarmi. In ogni caso mantengo la fiducia che già avevo nei confronti della magistratura. Facciano soltanto in fretta». Fini, anche nei suoi momenti più brillanti, è fatto così: ripete gli stessi concetti infinite volte, ma prima di uscire da Montecitorio ammette: «Sì, ho aspettato di vedere i giornali con un certo patema, ma poi ho visto che la stampa ha trat¬ tato la vicenda con prudenza». E anche Fini è prudente, prudentissimo. A chi gli chiede cosa ne pensa di quel magistrato spezzino così loquace, il capo di An risponde così: «Probabilmente si è trattato di uso improprio dell'italiano. Un giornalista gli ha chiesto se fossero coinvolti dei politici e lui ha risposto di sì. Ma essere indicati nelle intercettazioni non significa essere coinvolti. E poi tutto per una cena...». Qualcuno prova a citare quelle curiose cifre, quel Fini che va a «magna'», ma lui si guarda bene dall'attaccare il magistrato, ricorda che «è stata An a far saltare il governo Maccanico», cerca in tutti i modi di scherzare: «Sappiate tutti che stasera ho una cena a Prosinone! D'ora in poi comunicherò a tutti con chi vado a cena...». Il capo di An abbandona il Transatlantico e come d'incanto il corridoio dei passi perduti si popola di nemici di Fini, vecchi personaggi del passato piombati improvvisamente lì da chissà dove. Ecco Giulio Caradonna, navigatore di mille mari, che chiacchiera con i vecchi camerati in un divanetto: «Ma lo sapete che c'è un deputato che nell'altra legislatura aveva presentato fior di interrogazioni sull'alta velocità e che è stato fatto fuo- ri dalle liste di An? Ahò, questi so' cazzi da cacare...». Ecco l'elegantissimo Tomaso Staiti di Cuddia, anche lui ex missino: «An? C'è del marcio, sicuro. E non è una novità: il vecchio Nencioni, che certe cose le sapeva, poco prima di morire mi raccontò come andavano le cose nell'msi; dei 700 milioni della de, dei soldi che ci dava la Montedison, dei 10 milioni mensili che ci dava la Confindustria negli Anni Cinquanta». Ma ai veleni dell'ex, risponde l'unico vero avversario interno di Fini dentro il partito: «Fini ha la fortuna di essere una persona onesta dice Teodoro Buontempo -, semmai quello che colpisce è il club, quei quattro personaggi che decidevano tutto, appalti, affari e avevano contatti con tutti, destra e sinistra». E intanto Rocco Buttiglione, tra un sigaro e l'altro, infila la sua coltellata: «Sono l'unico segretario che può dormire tranquillo...». Fabio Martini Veneziani: essere senza macchia è fondamentale. Molti elettori dicono: fascisti sì, ma onesti In alto: il magistrato Alberto Cardino Fm A il finaPacini BA sVeneziaè fondadicono In alto: il magistrato Alberto Cardino A destra: il finanziere Pacini Battaglia A sin. Fini

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