Quel sogno firmato Germania di Massimo Giannini
=1 NOMI E COGN HOMI Quel sogno firmato Germania ANS Karl Olaf Henkel non è un magnate della televisione, né ha mai nutrito ambizioni politiche. Eppure proprio Henkel, presidente della Dbi, la Confindustria tedesca, ha presentato in questi giorni un ambizioso documento a Helmut Kohl, con il quale promette al Cancelliere la creazione di 2 milioni di nuovi posti di lavoro da parte delle imprese tedesche da qui al 2000. Verrebbe, a noi italiani, la tentazione di sorriderne, memori come siamo del famoso «milione» di posti sul quale l'incauto Berlusconi premier si bruciò le prime carte della credibilità. Ma faremmo assai meglio a non sorridere, e a prendere qualche utile spunto sul modo in cui, in Germania, le parti sociali e il governo affrontano il dramma della disoccupazione e del rallentamento della crescita economica, e cercano di coniugarlo con il rigore contabile imposto dal trattato di Maastricht. Sarebbe tanto più utile farla, qualche riflessione parallela, in questi pochi giorni che mancano alla fine di settembre, nella quale si condenseranno tre scadenze cruciali: il varo della Finanziaria, la conferenza sul lavoro fissata a Napoli il 25 e 26 e lo sciopero dei metalmeccanici del 27, a sostegno del rinnovo contrattuale. Tre appuntamenti che si sovrappongono sul piano politico, oltre che sul calendario. E che richiederebbero il massimo della «tensione unitiva» dei soggetti coinvolti. Viceversa, in questi ultimi giorni sembra purtroppo di cogliere, tanto negli ambienti confindustriali che in quelli sindacali, uno scetticismo diffuso, qua e là persino la tentazione di considerare archiviata l'esperienza della concertazione a ogni costo, di finirla con i tavoli triangolari e di resuscitare le vecchie logiche dei rapporti di forza. Ecco perché toma utile la lettura del documento della Confindustria tedesca, prova di una fantasia e di un coraggio che l'Italia - nel dibattito sullo sviluppo economico e sulla riforma del Welfare State - dimostra oggi di non possedere. La Dbi, dunque, propone al governo e ai sindacali un nuovo «patto», che consenta appunto il grande scambio: 2 milioni di nuovi posti di lavoro, contro l'impegno delle imprese a «migliorare la propria capacità concorrenziale», quello dei sindacati ad accettare una maggiore flessibilità, quello del governo a fiscalizzare alcuni oneri sociali e a concedere sgravi alle attività produttive. Le misure ipotizzate da Henkel vanno così dalla «riduzione degli importi dei contributi per la prevenzione sociale al 37%, che aumenterebbe i salari netti e quindi la domanda», all'incentivazione «del lavoro part-time» e all'«ulteriore flessibilizzazione dell'orario di lavoro, il cui obiettivo è quello dell'allun- partI biliz; I il cui gamento persistente dei tempi di funzionamento delle macchine»; dall'introduzione del «lavoro a tempo parziale per fasce d'età» all'introduzione di «prestazioni tariffarie» da scambiare a livello aziendale con la nuova occupazione, per esempio a beneficio dei disoccupati di lunga durata, per i quali sarebbe previsto un «salario iniziale temporaneamente basso». E propone poi la «modifica del versamento continuato del salario in caso di malattia», che dovrebbe essere decurtino all'80%. Sul piano degli incentivi fiscali, il pacchetto Henkel è altrettanto articolato: «L'imposta sul capitale industriale e quella patrimoniale devono essere eliminate, l'imposta sul reddito professionale devi; essere ridotta e quella di successione riveduta». Non solo: per lavorile il mercato dei capitali di rischio la Dbi propone «l'esenzione fiscale per gli utili derivanti dalla partecipazione a imprese giovani» e «l'introduzione dei cosiddetti tax credits per coinvolgimenti in investimenti innovativi». Ma chi paga? Come si finanziano gli sgravi? La Dbi risponde: con «tagli drastici ai bilanci di Laender e Comuni», riduzioni (dei sowenzionamenti a industria, agricoltura e privati» e massicci piani di dismissione, perché «il potere pubblico ha l'obbligo di privatizzare di più e più in fretta». Su questo pacchetto presentato da Henkel è già partito un proficuo confronto, sia con Kohl sia con i sindacati. Allora non si vede proprio perché l'Italia, su questo fronte «apripista» in Europa con gli accordi di luglio del '93, dovrebbe fare oggi un passo indietro. E tornare ad antiche forme di conflitto, invece che realizzare la parte inattuata di quegli accordi. Certo, la vicenda dei metalmeccanici dimostra che, su quei patti, è necessaria una verifica congiunta, se non altro dal punto di vista «ermeneutico». Certo, le continue promesse del governo, cui non fa seguito nulla di concreto, possono ingenerare impazienze. Ma è da quegli accordi, e dallo spirito che li propiziò, che bisogna ripartire: non per abbatterli, ma per costruirci sopra qualcosa d'altro. Speriamo che gli incontri informali di questi giorni a Palazzo Chigi non siano solo inutili mattoni sulla sabbia. Massimo Giannini .injj NOMI E COGN HOMI
Persone citate: Berlusconi, Helmut Kohl, Henkel, Karl Olaf Henkel, Kohl
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